Josef Van Wissem / Jim Jarmusch CONCERNING THE ENTRANCE INTO ETERNITY
[Uscita: 28/02/2012]
# Consigliato da DISTORSIONI
L’esordio di Jim Jarmusch come musicista smentisce ogni facile previsione. Il regista statunitense, passato dalla macchina da presa alla chitarra, spiazza gli ascoltatori e i fan con un disco che meraviglia e sorprende fin dal primo ascolto. Cresciuto a pane e no-wave, e dopo collaborazioni con Tom Waits o John Lurie, ci si sarebbe aspettati da Jarmusch una direzione musicale rivolta se non proprio verso quei sentieri sonori, almeno verso una soluzione che guardasse in quella direzione. E invece Jarmusch, pur rimanendo fedele ai modi e alle maniere della sperimentazione, percorre una via assai differente da quelle per lui più prevedibili con un disco come “Concerning the entrance into eternity”: cinque pezzi di noise-folk dilatato e psichedelico, con venature quasi ambient. Il regista sceglie come compagno di strada Jozef Van Wissem, musicista e compositore olandese che in questi ultimi anni ha fatto rivivere ad uno strumento “obsoleto” come il liuto una nuova vita, sdoganandolo dalle accademie e dalla musica antica e, di fatto, reinventandolo in chiave contemporanea.
Alle atmosfere tra il bucolico e il colto del liuto di Van Wissem si accompagnano gli stridori noise e le tessiture rumoristiche della chitarra di Jarmusch (che si rivela un musicista assai interessante, e con uno stile proprio già ben definito), riuscendo a creare una strana convivenza davvero fruttuosa. Il risultato di questo incontro è un disco che oscilla tra antico e moderno, tra arcaico e contemporaneo, un lavoro in cui le radici ancestrali legate ad uno strumento dei tempi passati rivivono e dialogano con le atmosfere del (post) rock contemporaneo. Jarmusch crea il sottofondo ideale per le melodie del liutista, creando dei tappeti sonori che di tanto in tanto esplodono con acida potenza, portando in primo piano un suono distorto di grande effetto, dal sentore molto spesso “desertico” (specie in un pezzo come Continuation of the last judgement, dal sapore quasi morriconiano, in cui l’irrompere della chitarra elettrica sulla trama acustica, verso la metà della composizione, è da pelle d’oca).
Il disco miscela sapientemente drones, noise, fingerpicking e spunti classici, in un' amalgama di suoni che in teoria non avrebbe alcuna speranza di funzionare, ma che in pratica dimostra un’inedita convergenza verso l’accostamento di sonorità che sembrano, dopo aver ascoltato il disco, nate per convivere. La musica che ne viene fuori sembra uscita da una jam session lisergico-bucolica tra il già citato Morricone, il John Fahey più “aperto” e mistico (in He is hanging by his shiny arms, his heart an open wound with love sembra di sentire una versione barocca del chitarrista di Washington), gli ultimi Earth e il Neil Young della colonna sonora di “Dead Man” (film dello stesso Jarmusch, e che forse è l’unico legame forte che questo disco ha con la sua carriera registica). Un disco non certo facile, ma che, una volta assimilato, avvolge l’ascoltatore, in maniera quasi intima, nelle le sue atmosfere. Un esordio sorprendente.
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