Nick Cave & Warren Ellis Carnage
[Uscita: 25/02/2021]
Il lockdown è una gabbia dorata che sottrae le possibilità della vita, limitando i suoi ciclici sviluppi iscritti sulla superficie trasparente del tempo ordinario. Più che la dimensione sensibile della morte pandemica, è il silenzio quello che rimarrà nel ricordo collettivo, una cristallizzazione come l’ambra che cattura gli insetti per conservarli in eterno all’interno delle proprie fibre. In questo senso, è nel silenzio che si è consumato il massacro di una generazione ferma alla stazione dei treni delle occasioni perdute. Questa sospensione è raccontata da Nick Cave in “Carnage”, un vero e proprio stream of consciousness per giorni andati a male, scritto e composto durante la prima e più dura delle ondate di Covid-19, insieme a Warren Ellis. La religiosità ha sempre permeato l’opera di Nick Cave in un modo che fa esplodere le contraddizioni, come fosse la più umana delle reazioni all’Altro o verso qualcosa che fa penetrare incomprensibilmente la poesia nel dolore. I brani di “Carnage” non si discostano dalla linea d’ombra attraversata da “Skeleton Tree” a seguire, con uno spessore di pathos ancora più marcato ed una chiara ricerca di sottrazione. Gli otto brani costituiscono il fondale per la messa in scena di una carneficina tutta privata, consumata senza sangue ma non per questo meno cruenta proprio per il suo modo di annichilire lo spirito. L’album ha un connotato di apparente estemporaneità e di lontananza rispetto al tipico imprinting dei Bad Seeds. Sembrerà ovvio, ma “Carnage” non è un disco di Nick Cave & The Bad Seeds, bensì solo di Cave ed Ellis ed è questo che genera uno scarto. Musicalmente la scrittura di Ellis si avverte nella creazione di un ambiente che trae linfa dalle esperienze di colonne sonore o, forse, dal fatto di essere il musicista che meglio di tutti interpreta le traiettorie dei pensieri di Cave. Più semplicemente, questa musica ha invertito il tracciato delle parole, scorporandole da una dimensione individuale per renderle universali. Il dramma di Cave diventa così una consunzione quotidiana che ci appartiene perché attraversata da ognuno di noi, in un modo o nell’altro, come una lacerazione. L’opener Hand Of God è un inno alla fuga verso un nucleo in cui vita e morte coincidono: «Sto andando al fiume / dove la corrente scorre / vado al fiume / dove la corrente scorre veloce / nuoterò fino al centro / dove l’acqua è alta». L’eponimo Carnage è il canto di tutti gli addii («I Always Seem to be saying goodbye»), quello che si dice al giorno o alla pioggia che rinfresca l’aria. Quanta meraviglia si sprigiona da Albuquerque, brano che sembra appartenere alle sessioni di “Ghosteen”. Basterebbe solo leggere il testo per capire il senso di smarrimento nel girare a vuoto: «Un bambino nuota tra due barche / Sua madre saluta dalla riva, tesoro / E non arriveremo ad Amsterdam / O quel lago in Africa, tesoro / E non arriveremo da nessuna parte». Lavender Fields è una micro-sonata cameristica, vicina al mood di “L.I.T.A.N.I.E.S.”, opera composta da Nicholas Lens per cui Nick Cave ha scritto i versi. In chiusura, l’oscuro flusso misterico di Shattered Ground avvolge una declamazione solenne, mentre il classicismo di Balcony Man si attesta sulle sponde di “The Boatman’s Call” con la scoperta di quell’esistenza che ti esplode tra le mani: «Questa mattina è incredibile e lo sei anche tu». “Carnage” è un album di struggente intensità e misura che interseca la bellezza con l’inesprimibile bisogno di restare legati a noi stessi, solo per non perdersi. Cosa di cui abbiamo disperatamente bisogno.
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