Eden Ahbez Un precursore dell’ “Exotica”
Intro
Siamo nell’anno 1957 quando negli Stati Uniti viene pubblicato uno dei romanzi più influenti per la sua generazione ma soprattutto per quelle a seguire, si tratta di “On the road (Sulla strada)” dello scrittore beatnik Jack Kerouac. Il libro era stato però scritto e terminato fin dal 1951 quando Kerouac girovagava (anche) per la California, ed è proprio in quel romanzo che lo scrittore narrandoci dei bizzarri incontri fatti bazzicando quei luoghi descrive anche tipi: “simili a santoni che giravano mezzi nudi con barbe fluenti, capelli lunghi incolti e con sandali, che si facevano chiamare naturisti”. Naturisti: chi erano e chi sono costoro? Il naturismo è un modo di vivere in armonia con la natura caratterizzato dalla pratica della nudità in comune allo scopo di favorire il rispetto di se stessi, del prossimo e dell’ambiente. Il naturismo è un movimento che si propone un contatto diretto con la natura privo di artificiosità e convenzioni sociali partendo dal rispetto per le persone per arrivare a quello per gli animali e per l’ambiente. Un naturista conduce una vita sana, si alimenta con prodotti naturali, pratica attività sportiva all’aria aperta e il nudismo, quando gli è permesso, come componente sociale. Ma perché questa premessa, apparentemente fuori tema, per parlare di musica, o meglio, addirittura di una singola canzone, anche se tra le più famose al mondo? Perché la parola natura è contenuta nel titolo di quella canzone essendone un termine basilare per la comprensione della stessa e perché ci piace pensare che tra i santoni e capelloni con sandali e barbe fluenti incontrati da Jack Kerouac nei pressi di Los Angeles ci fosse anche un certo Eden Ahbez, un tipo strano, un naturista, un Nature Boy, che, come narra la storia, viveva accampato sotto la prima elle (L) della famosa scritta Hollywood sulla collina Losangelena portando capelli e barba lunga simile all’iconografia di un novello Gesù Cristo, che viveva seminudo indossando sandali e una tunica bianca, cibandosi solo di frutta e verdura sopravvivendo, come egli stesso affermava e siamo nel 1951, con soli tre dollari alla settimana. Ma chi era Eden Ahbez? Per scoprirlo dobbiamo fare un salto geografico e temporale all’indietro di diversi anni.
Germania, fine ‘800
Nella Germania a cavallo tra i due secoli ‘800 e ‘900 ci sono due Adolf piuttosto rivoluzionari che si muovono ognuno con le proprie drastiche teorie. Uno di cognome fa Hitler e crediamo che purtroppo sia abbastanza conosciuto, l’altro è un medico, si chiama Adolf Just e la sua rivoluzione personale predica il ritorno alla natura, il curarsi con metodi naturali e una vita sana e all’aria aperta. Ritorno alla natura è anche il titolo del libro da lui scritto e pubblicato nel 1896 che espone le sue bizzarre teorie curative che pur estremamente interessanti e divertenti non è il caso di esporre in questa sede. Il libro ha un successo clamoroso e per il suo contenuto medicalmente rivoluzionario viene osteggiato e messo al bando dalle autorità germaniche ancora pre Hitleriane. Il dottor Adolf Just ha un notevole seguito di sostenitori e seguaci e fonda quella che oggi si chiamerebbe una comune in mezzo ai boschi germanici dove mette in atto le sue teorie mediche avanguardistiche. Il dottor Just si prodigava a tal punto che le notizie sulle sue pratiche pacifiste ed ecologiste ante litteram pare fossero persino arrivate alle orecchie del Mahatma Gandhi che ne venne addirittura influenzato per la sua filosofia pacifista, e, forse per la sensibilità particolare insita nell’animo di certi uomini. Molti sono gli artisti che in quell’epoca si aggregano e conducono lo stile di vita di Adolf Just, tra questi vi sono pittori, scrittori, poeti e musicisti e pare che persino Franz Kafka ed Hermann Hesse siano ricorsi alle sue cure mediche non certo ortodosse. Ma l’aria che tira in Germania in quel periodo non è delle più salubri e il gruppo, che professa ovviamente anche il pacifismo, turbato da notizie politicamente preoccupanti decide di emigrare. Sono i primi anni del ‘900 e la meta, per chi predilige una vita naturale e all’aria aperta non può essere che la solare e più comprensiva California.
California, primi del ‘900: Eden Ahbez
In California altri uomini, altre donne e altri artisti si aggregano e si votano alla causa del naturismo/pacifismo teorizzato e praticato da Adolf Just. Molti nomi conosciuti all’epoca, siamo intorno al 1914, tra medici e intellettuali si dedicano al proselitismo naturistico attraverso conferenze, pubblicazioni e incontri. Molti di questi ultimi avvengono in un locale per vegetariani di Los Angeles gestito da seguaci delle pratiche professate dal dottor Adolf Just e dai suoi sodali. Tutto questo dura molti anni e bisogna arrivare fino al 1941 per incontrare un ragazzo newyorchese, tale George McGrew, che dopo una serie di vicissitudini (un’adozione, un periodo vissuto in Kansas e un altro piuttosto oscuro di cui non si hanno molte notizie) affascinato da quelle teorie naturistiche si ritrova a Los Angeles a frequentare proprio quel locale vegetariano dove riuscirà a farsi assumere come lavapiatti. Ma quel ragazzo, oltre che con spugne e strofinacci, se la cava anche con la musica: quando non lava i piatti suona il pianoforte nel locale allietando le serate dei clienti e, in questa veste di musicista a mezzo servizio, decide di cambiare il proprio nome in Eden Ahbez, scrivendolo però tutto in lettere minuscole perché solo Dio, e la parola Infinito secondo le sue mistiche teorie, possono fregiarsi di un’iniziale maiuscola. Passano altri anni e si arriva al 1947 quando sulle scene americane si muove con successo un cantante di colore dalla voce suadente e vellutata: il suo nome è Nat King Cole e il giovane musicista Eden Ahbez ne è affascinato e stravede quell’uomo. Ahbez oltre a suonare il piano scrive anche canzoni, ma non sono canzoni d’amore, lui, un ventennio prima della nascita del movimento pacifista hippie, scrive canzoni dove esprime in musica il suo pensiero mistico/ecologico sulla pace e sull’amore cosmico e universale. Ha formato anche un gruppo musicale con altri adepti naturisti e quale nome avrebbe potuto scegliere se non Nature Boys in ossequio al suo credo militante?
Nat King Cole
Ed ecco che quell’anno il famoso Nat King Cole in tour americano fa tappa anche a Los Angeles. Si esibisce al Lincoln Teather ed Eden Ahbez è tra gli spettatori. E qui la storia ha due diverse versioni anche se il prodotto non cambia: Ahbez, a fine concerto, grazie all’intercessione di un amico, riesce ad avvicinare Nat King Cole in persona consegnandogli lo spartito di una sua canzone. Seconda versione: Nat King Cole è inavvicinabile e Ahbez affida il testo e lo spartito al manager del celebre cantante e pianista. Poco importa quale delle due versioni sia quella veritiera, quello che conta è che quella canzone si intitola, guarda caso, Nature Boy: il testo, brevissimo, molto semplice e al limite della banalità, parla di un ragazzo che gira il mondo predicando l’amore universale, la musica - un poco più complessa, come vedremo tra poco - è romantica e dolce, adattissima alla voce di Nat King Cole. Vero è che testo e musica uniti formeranno quella che diventerà, forse, la canzone più famosa di tutti i tempi.
Storia di una canzone: Nature Boy
E a Nat King Cole e al suo entourage quella canzone piace. Piace al punto che il cantante la propone in concerto (qualcuno afferma che King Cole la eseguì direttamente quella sera stessa in cui gli venne consegnata) dove viene altamente apprezzata da pubblico e critica. Ne consegue che il brano merita la pubblicazione anche su disco, ma la ricerca dell’autore, ritornato ai suoi luoghi bucolici, pastorali e antimetropolitani, è ardua e complessa finché Eden Ahbez viene rintracciato sulla collina dove troneggia la grande insegna Hollywoodiana sotto la quale vive accampato come un barbone con una moglie e un figlio. Ahbez firma come autore della musica e del testo, la canzone viene pubblicata nel 1948 dalla Capitol Records ed è un botto stratosferico. Nature Boy finisce direttamente al primo posto in classifica, vi rimane per otto settimane e viene apprezzata al punto che migliaia di musicisti in tutto il mondo decidono di inciderla e di eseguirla ininterrottamente nel tempo da quel momento fino ai nostri giorni. Particolarmente amata nel mondo del jazz Nature Boy viene riproposta da grandi personalità che ovviamente non si possono citare tutte essendo centinaia, forse migliaia: tra queste ci sono: Sarah Vaughan, Frank Sinatra, Peggy Lee, Django Reinhardt e Stephane Grappelli, Cole Porter, Herbie Mann, Miles Davis, Sammy Davis Jr., Marvin Gaye, Stan Getz, Art Pepper, Ella Fitzgerald, Sun Ra, John Coltrane, The Modern Jazz Quartet, Abbey Lincoln, e più recentemente: The Great Society (Grace Slick pre Jefferson Airplane), Gandalf, Celine Dion, Cher, David Bowie, Jon Hassell, Caetano Veloso, Primus, Massive Attack, George Benson, James Brown, Toquinho, e moltissimi altri musicisti di ogni parte del mondo, dalla Svezia alla Finlandia, dai paesi arabi a quelli caraibici, dal Giappone al Sudamerica, in un girotondo totale attraverso il pianeta. Ma perché Nature Boy piace così tanto da diventare la canzone più famosa di tutti i tempi? Al di là del suo valore intrinseco e della sua rilucente e pacata bellezza c’è un film del 1948 che la propone nella sua colonna sonora: “The boy with green hair” (in italiano con lo stesso titolo: “Il ragazzo dai capelli verdi”), primo film e primo successo di quello che diventerà il grande regista Joseph Losey, che farà da traino a quel brano in un epoca in cui si andava molto al cinema. Poi c’è la sua scansione musicale in un certo senso particolare. Alcune parti della canzone, alcune cadenze e armonizzazioni, assomigliano a certe melodie ebraiche proprie della cultura yiddish di cui solo gli addetti ai lavori si accorgono e che mai erano state usate in musica leggera ed è a questo punto che c’è un clamoroso colpo di scena.
George McGrew confessa che quel cognome scozzese che portava prima di diventare il famoso Eden Ahbez è quello dei suoi genitori adottivi; in realtà lui nasce come George Alexander Aberle, figlio di genitori ebrei provenienti dalla Russia ed ebreo osservante egli stesso al punto che prima di apparire ed inserirsi nel “giro” dei naturisti californiani aveva tentato, senza esito, la fortuna artistica negli ambienti yiddish newyorchesi. L’ebreo Aberle conferma di non aver mai dimenticato le sue radici dell’Europa Orientale al punto di affermare che la melodia ebraica che riveste Nature Boy facendo il giro del mondo, è una nenia popolare russa che gli sembra di ricordare canticchiata dalla sua vera madre. A questo punto i colpi di scena si susseguono: alla rivelazione di Eden Ahbez fa seguito l’accusa di plagio da parte del musicista ebreo Ira Arnstein che accusa Ahbez di aver copiato da una sua operetta mistico/religiosa. Ma questo Arnstein è piuttosto conosciuto nell’ambiente per la sua facilità nel denunciare per plagio chicchessia e le sue accuse non troveranno seguito, al contrario di quelle di un altro artista ebreo Yerman (o Herman) Yablokoff che afferma che Nature Boy non è altro che la copia di un suo brano yiddish, dal titolo in inglese Be still my heart, che Ahbez gli ha scippato nel periodo in cui tentava di sfondare artisticamente nel giro ebraico di New York nel quale si muoveva egli stesso. La risposta di Eden Ahbez è da antologia dell’umorismo: risponde che quando viveva accampato sulle colline della California un gruppo di angeli discese dal cielo per ispirargli parole e musica di quella canzone. Alle matte risate del suo contendente seguirà un accordo privato tra i due: Ahbez accetta di pagare diecimila dollari (per alcune fonti venticinquemila) a Yablokoff pur di non essere trascinato in tribunale. E non è finita: qualcuno si accorge che la melodia di Nature Boy non è altro che un frammento del secondo movimento del “Quintetto per Pianoforte Op. 81” di Antonin Dvorak, ma si dà il caso che il grande compositore ceco sia morto da tempo per poter fare delle eventuali rimostranze.
E in Italia?
Naturalmente anche le menti migliori della musica italiana non si faranno sfuggire la ghiotta occasione di appropriarsi di un brano così famoso e accattivante, ne citiamo alcune senza pretese di completezza assoluta. Il primo è Natalino Otto che incide Ricordati ragazzo nel 1949, versione italiana di Nature Boy, dove solo la musica viene mantenuta nella sua partitura originale mentre il testo, che nulla ha a che fare con quello misticheggiante di Eden Ahbez, è scritto da Devilli, pseudonimo dietro al quale si celava il noto discografico Alberto Curci quando si cimentava come paroliere. Natalino Otto viene subito doppiato da Luciano Tajoli che ripropone il brano con lo stesso titolo italiano e con lo stesso testo così come farà anche il Quartetto Cetra, mentre il fisarmonicista jazz Gorni Kramer ne propone una versione strumentale con il titolo originale. Ancora in versione Ricordati ragazzo, Nature Boy sarà inoltre ripresa da Teddy Reno negli anni sessanta. Saltando fino al 1985 è Mina che ne propone una bellissima versione cantata in inglese nel suo album "Mina 25", mentre nello stesso anno si forma il curioso trio Robot (Rosanna Fratello, Bobby Solo e Little Tony) che ne propone un ibrido cantato in parte in inglese dai due maschi mentre Rosanna Fratello recupera e interpreta il testo italiano di Ricordati Ragazzo. Ovviamente anche il jazz italico ha dato espressione a Nature Boy in modi e tempi diversi, citando alla rinfusa ricordiamo le versioni di Giorgio Gaslini, Gianni Basso, Guido Manusardi, Enrico Rava, e Stefano Bollani. Arrivando ancora più vicini nel tempo abbiamo il duo formato da Petra Magoni (voce) e Ferruccio Spinetti (contrabbasso) che nel 2004 nell’album “Musica nuda” ne fanno una splendida versione di oltre sei minuti (che chi scrive ha avuto la fortuna di apprezzare anche dal vivo). Poi arriva Mario Biondi che nel suo album del 2010 “Yes you live” la ripropone anch’egli in lingua originale col suo vocione cavernoso, così come nello stesso anno il trio en travestì delle Sorelle Marinetti recupera Ricordati Ragazzo nel loro album di standards “Signorine Novecento”. Ultimo in ordine di tempo, per quanto ci risulta, è il jazzista Mauro Grossi che mette in atto un’interessantissima operazione nel suo relativamente recente album del 2012 pubblicato per Abeat Records intitolato “Eden” (ma guarda un po’…) dove esegue sedici diverse versioni di Nature Boy ognuna, ovviamente, con arrangiamenti, strumentazioni e musicisti diversi.
L'Exotica
Che si facesse chiamare George Mc Grew, George Alexander Aberle o Eden Ahbez, l’autore di Nature Boy non riuscì mai più a bissare quell’incalcolabile successo. Oltre a suonare (voce, flauto, pianoforte, bonghi) continuò a scrivere canzoni per artisti famosi (Eartha Kitt, Frankie Laine, Sam Cooke, tra gli altri) e per se stesso: musica strumentale con arrangiamenti esotici, ritmi primitivi, prevalenza di suoni cupi, ed un solo album di scarso successo, “Eden’s Island” nel 1960, dove mescolò un' 'exotica' ante litteram con la poesia beatnik.
Di Eden's Island rimane Full Moon, un brano esemplare dello space-age pop tutto particolare di Ahbez, ristampato nel secondo volume della compilation "Incredibly Strange Music- 1995- Asphodel Records" (da "Lounge Music", Francesco Gazzara, Odoya Cult Music, 2011).
Cercò a volte persino di plagiare quel suo brano famoso alla ricerca di un nuovo successo, ma senza la fortuna e il seguito di quella sua prima canzone che come abbiamo detto e visto è forse quella più famosa e conosciuta al mondo. Un altro album fu pubblicato postumo: "Echoes from Nature Boy", più orientato sull'easy listening, con la presenza del chitarrista e polistrumentista Buddy Merrill. Oggi la musica di Eden Ahbez viene etichettata con le suggestive etichette di 'exotica' e 'new age' e le ragioni per farlo non mancano di certo: del genere exotica, fiorito in America soprattutto negli anni '50, fu uno degli ideologi (inconsapevoli) e precursori insieme a Robert Sdrasnin, Yma Sumac, Arthur Lyman, Elisabeth Waldo, ed ai più titolati Martin Denny e Les Baxter. Anche un genio dell'arte pop americana come Brian Wilson non si sottrasse al fascino dell'estetica musicale di Eden Ahbez e di un album come Eden's Island: è lapalissiano ascoltando capolavori come "Pet Sounds" e "Smile" - soprattutto strumentali come Let's Go Away For Awhile e Pet Sounds - nei quali Wilson riprende le indolenti intuizioni esotiche, le percussioni, i legni morbidi di Ahbez.
Se andiamo a sfruculiare su you tube sono oltre trecentomila le visualizzazioni che ripropongono la song Nature Boy anche se ovviamente alcune si ripetono più volte. Coverizzata a oltranza e tutt’ora, a quasi settanta anni dalla sua nascita, utilizzata in decine di film, ultimo in ordine di apparizione il trascinante musical “Moulin Rouge”, di Baz Lurhman, (2001) dove viene cantata in apertura e chiusura del film, Nature Boy si pone come un punto di riferimento necessario e assoluto per la musica cosiddetta “leggera” di tutti i tempi e se consideriamo che almeno in parte tutti avevano ragione nell’appropriarsi di quella melodia popolare ebraica - ascoltata da molti e probabilmente creata da un’anonima tradizione orale, finita sia nell’Op. 81 di Dvorak (da sempre attento ricercatore di musica popolare dell’Europa dell’est), così come nell’operetta di Ira Arnstein, nei tasti del pianoforte di Herman Yablokoff, e persino nelle corde vocali della madre naturale di Eden Ahbez - bisogna riconoscere a quest’ultimo il colpo di genio di essersene appropriato consapevolmente facendola diventare un pacato inno mistico all’amore universale che magari non tutti hanno recepito in questo senso, ma che tutti hanno cantato e forse canteranno per sempre. Non crediamo di esagerare dicendo che quel brano ha buone probabilità di rimanere in eterno nella storia della musica e di ambire all’immortalità. Non come il suo autore: Eden Ahbez morì nel1995 in seguito alle ferite riportate dopo essere stato investito da un’automobile. Aveva ottantasette anni.
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