2013: il ritorno di David Bowie “STATION TO STATION”: IL CAPOLAVORO DIMENTICATO DI DAVID BOWIE
Sì, io la penso come Lester Bangs (che di David non era certo un fan): "Station to Station" è uno dei miei album preferiti di Bowie. Datato 1976, sintetizza ad arte il sound dell'epoca e lo trasforma in qualcosa di originale, rendendo l'ascolto piacevole, ancora oggi. Forse perché Station To Station è un album che riesce ad essere contemporaneamente d'avanguardia, fondendo linguaggi musicali differenti, e nello stesso tempo di formidabile impatto diretto all'ascoltatore, senza scadere nella banalità. L'album si apre con il rumore di un treno che corre. E sapete dove va?
Va verso le dimensioni ignote dell'Essere, in una sorta di ostinata ricerca spirituale. E chiude con il grande pathos della splendida versione di Wild is The Wind di Dimitri Tiompkin. Ma tutti i brani trasportano in atmosfere apollinee, talvolta epiche, costruite su un'architettura sonora che fonde Melody, ritmi soul e arrangiamenti rock. Il tutto, nell'incredibile zampillo vocale di Bowie, che in questo capolavoro espande al massimo le sue capacità canore, in una gamma di tonalità che esprimono sensazioni che vanno dall'ipnosi della lunga e incalzante Station to Station (il brano d'apertura), all'angoscia esistenziale di Word on a Wing, passando attraverso la lezione dei grandi interpreti soul in Golden Years e Wild is The Wind, senza peraltro rinnegare le origini rock che trovano nell'ironica TVC15 e nell'intensa Stay il terreno fertile per un nuovo approdo al genere.
Se i teenager del '72 avevano trovato in Ziggy Stardust un idolo da venerare e da affiggere sui muri delle proprie camerette, i loro fratelli minori, figli della disco più che del rock, trovarono nel Duca Bianco il cantore della loro generazione, con il suo charme da divo distante, inarrivabile eppure così vicino ai loro cuori e alle loro emozioni, tanto da farne una figura di culto che conserva tuttora il suo fascino e il suo mistero. Quando uscì Station to Station le utopie hippie di Woodstock erano state spazzate via da tempo e il fenomeno del glam-rock aveva esaurito la sua carica estetico-musicale trasgressiva. Il progressive iniziava a languire sotto il peso delle sue stesse proposte musicali, ormai ripetitive, consolidatesi nell'esibizione quasi narcisistica delle virtù soliste dei vari membri dei grandi gruppi dell'epoca. Di contro, l'esplosione della musica soul dettava i suoi nuovi ritmi a chi voleva proporre al grande pubblico un prodotto musicale facilmente vendibile. Non era più il tempo delle grandi utopie.
L'UOMO CHE CADDE SULLA TERRA
Al grande successo di Station to Station in Gran Bretagna e negli Stati Uniti diede un contributo decisivo l'uscita quasi contemporanea del film di Nicolas Roeg "L'uomo che cadde sulla terra", che contribuì a fare di David Bowie un personaggio particolare, che debordava naturalmente dai tipici stereotipi delle pop-star dell'epoca. La storia di Thomas Jerome Newton, alieno giunto sulla terra allo scopo di salvare il proprio pianeta dall'estinzione, trovò in Bowie l'interprete ideale, sia per la passata interpretazione in chiave rock dell'alieno Ziggy Stardust che per la stessa fisiognomica del cantante-attore, all'epoca segnato nel fisico e nel viso dagli abusi degli stupefacenti. Fu una combinazione sinergica: album e film finirono per promuoversi a vicenda, facendo di Bowie la stella più brillante dello star system dell'epoca. Non fu certo per caso che il look di David - dalla sua pettinatura al suo atteggiamento sul palco davanti al pubblico - fossero riprese dal personaggio interpretato. L'uomo che cadde sulla terra è una storia dove la fantascienza sembra essere solo un pretesto per raccontare un'America crudele e le storie di uomini che lottavano invano contro il potere per l'affermazione delle proprie speranze e dei propri ideali.
IL DUCA BIANCO
Il Duca Bianco era il nuovo ideale estetico bowiano, alieno da travestimenti e scenografie faraoniche, che trovava nella sua elegante e raffinata semplicità la propria intima ragion d'essere. E il White Light Tour di quell'anno ne fu la riprova. Il concerto al Nassau Coliseum di New York, proposto per la prima volta come preziosa testimonianza live insieme alla ristampa di Station to Station, è uno show in cui le canzoni vengono eseguite in maniera incisiva e con arrangiamenti che fondono i ritmi del soul con l'asprezza del rock, in una sintesi dirompente. Finalmente rimasterizzato, questo concerto aveva per anni rappresentato uno dei bootleg più ricercati dai collezionisti. Registrato da uno studio mobile della RCA, il nastro era poi inevitabilmente finito nel circuito delle registrazioni clandestine. Ma nelle canzoni di Bowie, così come nella musica in generale, lo spessore delle liriche è molto importante. In Station to Station i testi sono ricchi di riferimenti e di allusioni, tanto da costituire un capitolo a parte. Mostrano come l'arte sia, in fondo, la sintesi dei moti dell'animo. Come le parole servano a dipingere situazioni in maniera diretta e sintetica. E soprattutto, come talvolta la sofferenza sia la molla che permette di approdare alla creazione di un'opera d'arte. Una ricerca disperata di salvezza si può leggere tra le righe di Word on a Wing, uno dei capolavori dimenticati dell'artista:
"Lord I kneel and offer you my word on a wing, and I trying hard to fit among your scheme of things. It's safer than a strange land but I still care for myself, and I don't stand in my own light, Lord Lord my prayer flies like a word on a wing"
"Signore, mi inginocchio e ti offro la mia parola su un'ala, e sto provando in tutti i modi di rientrare nel tuo schema delle cose. E' più sicuro di un terreno estraneo ma ancora tengo a me stesso, e non sto in piedi nella mia luce. Signore, la mia preghiera vola come una parola su un'ala"
DI FERMATA IN FERMATA
In Station to Station convivono riferimenti impregnati di misticismo che spaziano dalla Kabbalah ebraica all'esoterismo della Golden Dawn. Non a caso, la ristampa dell'album in Cd del 1991 ha ripreso nel retro la foto di David che disegna sul pavimento l'albero delle Sephirot (l'Albero della Vita secondo la mistica ebraica). La title track merita un discorso a parte: è un brano lungo e ipnotico, trascinante e misterioso, per alcuni critici sarebbe addirittura il miglior brano in assoluto di David (da parte mia, sostengo che l'intensità di Heroes regge il confronto). Il titolo, come confermato in seguito dallo stesso Bowie, allude alle stazioni della Via Crucis: la sequenza di quattordici tappe sul cammino di Cristo verso la Crocifissione. Un destino che, prima o poi, accomuna tutti gli esseri umani, costretti ad un'esistenza priva di certezze, ma anche il ritratto dello stato di disperazione vissuta da David in quei mesi.
Nell'album, musicalmente convivono non solo il rock e il soul ma anche la sperimentazione elettronica, che vedeva all'epoca nei tedeschi Kraftwerk la punta di diamante europea: lo stesso gruppo teutonico renderà omaggio a David citandolo nel testo della propria Trans Europe Express. E proprio in Europa, ed in particolare a Berlino, farà tappa il treno di Station to Station verso una galleria di capolavori assoluti che consacreranno Bowie come vero leader degli anni Settanta, attraverso album dove passato e futuro si confronteranno scontrandosi, andando a braccetto senza conoscersi, magari detestandosi ma rassegnati a convivere in un rapporto di amore-odio senza alternative. L'arte, per Bowie s'accompagna alla vita, vissuta giorno per giorno. Di fermata in fermata ...
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