Frank Ocean CHANNEL ORANGE
# Consigliato da DISTORSIONI
La recensione di questo disco si deve essere persa nella calura estiva o nel marasma delle uscite di settembre. Ve la offro adesso, seppur in grave ritardo perché è disco davvero coi fiocchi che non può venire tralasciato, e men che mai dimenticato in questo 2012. Questo è l’album che sancisce l’ esordio ufficiale di Frank Ocean ed esce per la prestigiosa Def-Jam; disco che arriva dopo alcune collaborazioni di lusso (John Legend, Kanye West, Jay-z e Beyoncè) e dopo il mixtape semi-clandestino “Nostalgia, Ultra” del 2011 da cui furono distribuiti ufficialmente solamente i video di alcuni singoli sui quali svettava la sublime Novocane. Disco fantastico questo “Channel Orange”, flusso costante di meraviglie che generano dapprima curiosità, poi stupore e piacere d’ascolto sempre crescente, e infine una vera e propria dipendenza.
Album importante che traghetta nel futuro idee e stili che furono del Marvin Gaye dei capolavori, la qualità della scrittura del Prince più ispirato e le incredibili intuizioni, la cui portata è stata finalmente valorizzata, che a inizio secolo furono di D’Angelo. Lo fa vestendo con dei suoni di una classe e raffinatezza rarissima canzoni mozzafiato che sono il risultato di un’alchimia perfetta di scrittura, arrangiamento e produzione: magistrale bilanciamento di passato, presente e futuro del concetto di Black Music che ha del miracoloso. Un Soul (S maiuscola, please) tanto rispettoso del suo glorioso passato quanto profondamente immerso nel presente e proteso verso il futuro. Canzoni? Eccole: subito dopo il tradizionale intro troviamo Thinkin’ ‘Bout You con i suoi minimalismi alla James Blake che fanno da contraltare a un bellissimo cantato che si inerpica fino a al falsetto, poi, dopo una Sierra Leone dove la leggiadria degli archi è di una bellezza disarmante arriva la Sweet Life, dall’andamento davvero radio-friendly, che è puro Stevie Wonder e ha i suoi punti di forza nello sbarazzino stacco verso il ritornello e un finale che si potrebbe ascrivere agli Steely Dan.
Non voglio rovinarvi il gusto di scoprire da soli le altre gemme che compongono un’opera che deve essere valutata nella sua interezza, ma non posso evitare di citare Pyramids alla quale ai primi ascolti avevo annoverato alcune inutili lungaggini. Errore di valutazione madornale tanto che in realtà si pone con i suoi 9’53” come centro focale dell’ album e comprende al suo interno tutti gli elementi caratterizzanti l’opera. Strutturata in modo abbastanza singolare tanto da poter essere tranquillamente divisa in due parti a costituire due canzoni distinte, presenta una prima sezione funky-disco dove a dominare sono i synth, mentre la seconda metà si trasforma in una ballata soul elegantissima. Ci si ritrova trasportati verso atmosfere che rimandano alle notturne malinconie di "Blade Runner", ottenute con suoni sintetici e una chitarra effettata ad accompagnare delle parti vocali molto efficaci, condite da cori con un effetto autotune per una volta non troppo fastidioso.
Spiccano ancora il favoloso jazz-funk di Monks, e una Bad Religion che crea un binomio inscindibile con la successiva Pink Matter. La prima ha un cantato fantastico che si appoggia su un bellissimo tessuto fatto di organo, pianoforte acustico e elettrico e archi sostenuti a metà brano da una marziale batteria e da semplici claps nel finale; la successiva ha di nuovo la sua forza negli incredibili (credetemi, non esagero) 'up and down' vocali di Ocean ed è impreziosita dalla partecipazione di André 3000. Sarebbe doveroso soffermarsi anche sui testi che non mi sono sembrati affatto banali ma lo spazio stringe. Non succedeva davvero da tempo di avere tra le mani un disco che, oltre a essere uno dei migliori esordi di sempre, sarà di riferimento negli anni a venire. Pietra miliare.
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