Muse SIMULATION THEORY
[Uscita: 09/11/2018]
Inghilterra
A tre anni dal precedente “Drones”, i Muse ritornano sulle scene con il nuovo “Simulation Theory”, l’ottavo episodio in studio della band del Devon. Fin dai primissimi ascolti si evince come il trio capitanato da Matt Bellamy abbia avvertito con chiarezza la necessità di cambiare percorso dopo il mezzo passo falso di “Drones”, che più di un dubbio aveva destato sulla residua carica creativa di una delle band-icona degli anni 2000. Un tentativo ampiamente comprensibile, ma che parrebbe riuscito solo a metà. I Muse chiudono a doppia mandata il cassetto del rock sinfonico, quello fatto di riff di chitarra portentosi, tempestato di pattern elettronici e sovrastato dalla voce devastante di Bellamy. Al suo posto troviamo un sound avvolto dalle atmosfere post-futuriste tipiche degli anni ’80, così come i rimandi un po’ kitsch della copertina sci-fi. La chitarra nervosa e avvolgente di Bellamy scompare quasi completamente (eccezion fatta per Pressure, forse uno dei momenti meglio riusciti dell’opera, e Blockades), fagocitata pian piano dal sintetizzatore e dalle tastiere (The Dark Side): un cocktail che crea i presupposti per una svolta fin troppo banale verso atmosfere più decisamente pop (Break it to Me, resa ancor più confusionaria dal ricorso alle orientaleggianti scale minori armoniche) che alla band inglese non sono mai appartenute in maniera così netta e preponderante.
Nel complesso il trio di Teignmouth rinuncia candidamente nel nuovo disco ai mood cupi e apocalittici in favore di atmosfere più distese. Quello che i tre inglesi tracciano è un percorso che inizia con le atmosfere angoscianti di Algorithm per aprirsi con l’ultimo brano, The Void, in un messaggio di speranza. Nel mezzo tanti episodi che convincono poco se non nulla (il sound robotico-elettronico di Propaganda, racconta di una scarsezza d’idee piuttosto evidente, che ritroviamo anche in Thought Contagion), ma anche qualche guizzo che ci porta a considerare “Simulation Theory” non come un prodotto totalmente da bocciare (nulla più che carina la ballata synth-pop Something Human, in cui compaiono addirittura le chitarre acustiche, così come abbastanza pregevole è l’incedere di Get up and Fight). Menzione d’onore, infine, per il singolo Dig Down, in cui ritroviamo echi di Madness, uno dei brani migliori di Bellamy e compagni negli ultimi anni. Troppo poco, a conti fatti, per promuovere questo “Simulation Theory”: i Muse finiscono ancora una volta dietro la lavagna con un lavoro che proprio non convince.
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