Samara Lubelski FLICKERS AT THE STATION
[Uscita: 11/05/2018]
Stati Uniti
Il nome di Samara Lubelski non è accompagnato dalla notorietà che meriterebbe la sua grande capacità melodica; la sua abilità tecnica è accompagnata da una notevole versatilità che le permette di suonare chitarra, violino, sedere dietro il mixer e fondare il progetto avant-rock Augenmusik. La polistrumentista di New York per il suo ottavo album in studio ha deciso di non abbandonare il minimalismo molto elegante che la caratterizzava, ma al contrario di accrescere l’intensità che ogni singola nota esprime. “Flickers at the Station” è un lavoro decisamente espressionista in cui ogni singola nota porta su di sé l’intero peso della costruzione melodica. L’atmosfera in cui tutto il disco è avvolto ha talmente tanto l’odore degli anni sessanta che alla lunga si può persino percepire un disturbante afrore stantio come nell’esagerata The Measure, The Decline. Il disco è costruito come se Francoise Hardy avesse potuto ascoltare alla radio i Blonde Redhead di “La Mia Vita Violenta” e ne avesse potuto trarre una qualche ispirazione. I riferimenti di Samara Lubelski non finiscono qui, si distribuiscono con equilibrio lungo tutto il disco: in particolare Stereolab e Broadcast sembrano occupare tutta la parte centrale dell’album da Tunnel Visions a Soft Focus.
L’elegante chitarra di Black Dots è avvolta in drone sovrapposti di violoncelli/violini in distorsione, il marchio di fabbrica della Lubelski sin da primo album “In the Valley” datato 1997. La ricercatezza dei suoni e in genere il nitore delle tracce sono quasi truismi nel lavoro di un’artista che ha disegnato nel ruolo di ingegnere del suono il layout acustico di album importanti come “Halve Mean” dei Double Leopards. “Flicker at The Station” riesce ad assorbire tutte le influenze dell’artista di Soho e le risputa fuori nella sobrietà elegante della sua voce soffiata o nel dream pop etereo della strumentale Soft Focus, nella quale appaiono melodie di chiara ascendenza psichedelica, come più in generale in quasi tutte le undici tracce del disco. Lo stato di grazia armonico che aleggia nell’album è evidentissimo, ma anche in alcuni casi la difficoltà di Samara Lubelski a gestire il suo stesso impeto creativo con la sola arma della voce tenue/evanescente o con l’uso del Roland Space Echo gettato spesso alla rinfusa all’interno delle canzoni, forzandone il regolare corso. Il controllo della scrittura è forse l’ultimo ostacolo tra Samara Lubelski e il sublime.
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