Wand GOLEM
[Uscita: 17/03/2015]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Wand sono tornati trasportati da un tornado di suoni circolari ed ipnotici. Il precedente album, "Ganglion Reed", era uscito per la God's di Ty Segall con distribuzione Drag City, ma è la rumorosissima In The Red Records a supportare il nuovo lavoro. Gli heavy psych dudes di Los Angeles mettono nel beauty case l'eyeliner di Eno, indossano gli zatteroni, vestono le giacche col bavero esagerato di Ronno, la tuta spaziale di Ziggy Stardust nell'armadio, una macchina cattura cicloni tra gli strumenti musicali e realizzano il moderno Psych Glam Raw Power. Questa creatura è il maggiore Tom che passeggia nello spazio, al guinzaglio il bambino perso della bomba atomica, rovista come rabdomante dentro i buchi neri, cercando suoni provenienti da altri pianeti. E' uno psych pop sporco di polvere stoner, che a volte paga tributo ai Pink Floyd (quelli veri e geniali), ma quasi sempre è Moonage Daydream e “The Man Who Sold The World” dall'inizio alla fine, suonato nello stereo della Mercedes di Hammilton. E' un'esperienza, fuori dal corpo, di congiunzione cosmica. E' il ghepardo che cammina, lento, maestoso e pesante, nello spazio contro la tempesta solare. Wand sono degenerati che bruciano le notti giocando a Dungeons & Dragons e tracannano birra di fronte alla TV sempre accesa. Si svegliano nel tardo pomeriggio, ricreazione spaced out, ed eccoli a scrivere di ragni morti trovati nelle foreste morbide e di mondi fantastici, quasi ad esorcizzare la confusione delle loro menti ancora perse all'interno del cyberspazio.
Sono melodie di pop accattivante, spesso deturpate/stimolate da chitarre frenetiche, con fuzz parossistico, a creare un wall of sound che non consiste nella classica sovra incisione degli strumenti eseguita con sovrapposizioni millesimali di fuori sincrono, ma provocato dagli strumenti saturati a livello tale che le corde quasi vibrano da sole, senza bisogno di essere colpite dai plettri. Questo non è un wall of sound, è un sonic wall devastante di chitarre aliene e lo-fi macchiato di delizie psichedeliche. Corey Hanson è il cantante/chitarrista straordinario di questo combo meraviglia. Lo negherà sempre, dirà che mai li ha ascoltati e nemmeno sa chi siano, ma da gran sacerdote dei mondi favolistici che dipinge nelle sue canzoni ha preso le ugole di Marc Bolan e David Bowie, le ha carezzate con We Love You degli Stones, messe nel frullatore, fatto i gargarismi con l'intruglio ottenuto ed ha dominato la magia glam. Le melodie sono celestiali, ma quando il gruppo si rende conto di essere su una deriva troppo sdolcinata, reagisce con tonnellate di chitarre di pesantezza vera, à la Melvins/Sabbath, a sotterrare il tutto, ma sono armonie troppo perfette e potenti che si dibattono, intrappolate sotto quel delirio di gravità, fino a risalire faticosamente in superficie, sospinte dal riverbero della voce in falsetto e dalla audacia della produzione.
Il suono Wand è Michelangelo che prende a martellate La Pietà, è la perfezione del David di Donatello che vi cade sulla testa procurandovi l'estasi dolorosa, con gli angeli che vi soccorrono, intonando melodie rubate al Paradiso. L'album è pervaso di elettricità infinità e seducente ed anche in Melted Rope, l'unica canzone che potremmo definire acustica e che sembra una outtake di The Man Who Sold The World, si respira una tensione come se da un momento all'altro l'atmosfera potesse nuovamente precipitare, turbata dalla chitarra vestita di tempesta. Wand sono il gatto, adorabile compagno di giochi, che può graffiarci in qualsiasi momento. Solo che il gatto è un ghepardo che inconsapevolmente può produrre ferite letali. The Unexplored Map è preannunciata dal vento e mutua, spietata, l'intro chitarristico agli Alice In Chain, con la voce a ricordare il Syd Barrett solista. Le note sono dilatate e minacciose, sporcate da synths analogici, con basso e batteria ad impossessarsi della scena. Stacchi repentini di meraviglie acustiche rollingstoniane si alternano alla prevalente deriva stoney. Profumi di misticismo orientale. Self Hypnosys 3 Days è andamento circolare di punkey riff, voce di Marc Bolan in dopamina e vampate di rumore disorganizzato alla Butthole Surfers. E' un susseguirsi di stop & go con la batteria marziale ad organizzare le variazioni.
In Reaper Invert il basso riemerge deciso a sorreggere una fono sfera che sembra ancora presa dai dischi di Barrett. Poi la chitarra/supernova riprende la dittatura, ma la tessitura rimane sotterranea per riemergere improvvisamente a metà del brano con riff, di breve durata, che sembra traggano ispirazione addirittura da “Aqualung”. Melted Rope è meraviglia suprema. Synth in emulazione di suoni antichi e chitarra acustica a rievocare il David Bowie/Lauren Bacall, bellissimo, proiettato su “Hunky Dory”. L'assolo di chitarra sembra un campionamento di Mick Ronson. Cave In è un'altra gemma di purezza cristallina. Su un tappeto di chitarre liquide si instaura l'arabesco di voci alla George Harrison. La canzone che i Beatles avrebbero voluto registrare sul “White Album” per non perdersi nel tramonto della Swingin’ London. Sono riff minacciosi e ripetitivi, che dipanano la nebbia di Soho di fronte al Marquee Club. Note banali, ma suonate con strumenti mischiati al tornado. Flesh Tour è Tony Iommi/In-A-Gadda-Da-Vida realizzata in un bunker a 2000 anni luce di profondità. Le rullate della batteria dialogano con le chitarre disinvolte, ma il finale sommerso da riverberi e rumori è scontato. Floating Head ruba intro bass & guitar ai Sex Pistols, per poi tramutarsi in Bolan che imita Syd. Il pezzo è percorso da rasoiate crudeli di chitarra a rendere Wand simili a quegli artisti che una volta terminate le loro opere le distruggono, perché, il lavoro finito è morto. C'è un intermezzo tastieristico che sembra voglia ridicolizzare l'autocompiacimento dei gruppi progressive. I secondi finali paiono registrati al contrario.
Planet Golem è la forza implacabile dei Melvins sovrastata da voce monotona a salmodiare armonie pop irresistibili. La sezione ritmica garantisce una base quasi indistinta, sulla quale svettano chitarre spaziali che concludono il pezzo simili ad onde corte/calore bianco. La batteria nel finale insiste sui piatti a riecheggiare gli assoli di Ginger Baker/White Room/Live, per poi cedere la scena alla chitarra autistica ed alla voce al suo meglio. The Drift è il lato B di Hunky Dory suonato con un amplificatore rachitico, in un pomeriggio di tentativi di superamento dell'hangover a colpi di “Ostriche Del Deserto”. Un Sunday Lazy Afternoon, con la voce sardonica di Ray Davies a far capolino, le chitarre in lontananza, sovrastate da effetti pacchiani a voler concedere la tregua finale dopo l'ascolto di un album talmente bello da dover essere riascoltato immediatamente. Quando Iggy Pop fa James Osterberg ancora millanta di aver scritto i primi albums Stooges, ed afferma che il suo stile chitarristico (!?) è stato influenzato da Chuck Berry e dal rombo del Boeing. Wand nemmeno lo conoscono Berry, persi come sono a tentare di comprendere come hanno fatto gli Space Shuttle ad incastrarsi nei pick up delle loro chitarre. Intenti a sbattere gli amplificatori contro le casse alla ricerca del beat riverberato da mandare in loop. Flashback: gli Stooges a Londra si impegnano per divenire la next thing della MainMain di Bowie e DeFries. Nella loro arrogante megalomania reputano scarsi tutti gli artisti inglesi. Tutti incapaci tranne uno, adorano Marc Bolan. Wand realizzano la sintesi del sound Stooges/T.Rex, attualizzando due forme di rock tra le più eccitanti mai ascoltate. Questo disco è partito come un razzo, alto, altissimo, nella nostra classifica di fine 2015. Wand Is Gas !!!
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