Nick Mulvey FIRST MIND
[Uscita: 12/05/2014]
Inghilterra #Consigliato da Distorsioni
Difficile capire perché pochi si sono accorti della bravura di Nick Mulvey. Ha conosciuto la notorietà grazie ai Portico Quartet, gruppo formatosi nel 2005 nel sud di Londra, che si distingueva dalle normali band per l'uso di un nuovo strumento, denominato The Hang. Costruito in Svizzera, è un oggetto metallico, vagamente simile al coperchio di una pentola ma di dimensioni maggiori, con 7 fori ed un nucleo sollevato centrale: si suona prevalentemente sulle ginocchia ed ha un suono che ricorda le percussioni balinesi. Non a caso infatti i lavori dei Portico Quartet sono stati avvicinati a quelli dei grandi minimalisti come Philip Glass e Steve Reich, veri maestri di strumenti simili. Nick Mulvey ha preso parte ai due dischi di maggior successo, i due splendidi "Knee-deep in the north sea" (2007) e "Isla" (2010). Non è mai facile abbandonare una band all'apice della fama ma a quanto pare Mulvey vedeva all'orizzonte una ancora più proficua carriera solista. Tanto più che mentre nei P. Q.suonava le percussioni qui si cimenta e si fa apprezzare come chitarrista. Avete modo di apprezzare tutto questo in "First mind", il suo splendido disco di debutto uscito nel 2014. Impossibile ignorare un esordio di questa portata, fra i più sorprendenti degli ultimi anni, un disco che mischia il rock con la world music e contaminazioni etniche in generale.
Con le stesse idee meravigliose in testa di altri artisti simili e sulla stessa linea di galleggiamento dei loro capolavori del passato, "My life in the bush of ghosts" di Byrne e Eno, "Estrangeiro" di Caetano Veloso, "Graceland" di Paul Simon ed i nostri Mauro Pagani nel disco d'esordio e "Creuza de Ma" del grande Fabrizio De Andrè. Non siamo a quei livelli di grandezza ma Nick ha sfiorato il miracolo. E' uno di quei dischi da sentire tutto d'un fiato, da apprezzare in pieno dopo ripetuti ascolti, sempre alla scoperta di qualche sfumatura nuova, di qualche particolare che inizialmente era sfuggito. Lo stile chitarristico di Mulvey in questo disco risente in pieno del suo essere un percussionista, con il cuore a Cuba ma pure in Brasile e Marocco dove ha apprezzato ed assaggiato nuove armonie che lo hanno stregato. Le meraviglie qui dentro sono la sommessa First mind in apertura, Venus, al limite del reading e Juramidam, vero gioiellino di musica etnico-desertica accostabile alle cose dei malesi Tinariwen. La chitarra di April rimanda inevitabilmente a Leonard Cohen, bella Ailsa Craig, dedicata all'omonima isola scozzese, con i sapori tipici della musica celtica ed una delle poche concessioni alle sue origini europee. C'è molto Paul Simon in questo album, anche nel modo di porsi vocalmente: sentite Cucurucu, Nitrous e lo slow acustico e malinconico di I don't want do go home che chiude un disco variegato e intrigante come pochi. Esordio di classe e di somma maestria per Nick Mulvey, adesso non resta che aspettare trepidanti le sue future imprese.
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