Autechre EXAI
[Uscita: 4/03/2013]
Il battito elegante delle macchine, il perfetto dosaggio sintetico che riconcilia fantasia e tecnologia. Autechre sono un duo di elettronica e techno ambient ormai attivi da oltre un ventennio. Dalle divagazioni sperimentali della scuola di Detroit e Chicago, al filone UK garage, fino all’imposizione nel Regno Unito del genere IDM (Intelligent Dance Music) capitanato dalla Warp Records, Sean Booth e Rob Brown incarnano l’eccellenza dell’Artificial Intelligence, la musica sintetica di puro ascolto. Plasmano il suono e le sue frequenze con sofisticati programmi software ma conservano nella loro declinazione al futuribile inusitate basi jazz dub che, pur nella loro totale distorsione robotizzata, sono pregne di carica emotiva e sensoriale. Delle opere d’arte in forma astratta, suoni spesso freddi e minimali ma anche incredibilmente saturi di quell’alone di mistero e dispersione che non possono che rapire e affascinare. Il grande fascino del duo inglese è la loro propensione continua ad ampliare la tecnologia stessa del suono. Costruiscono generatori e controller di grande elaborazione ma riescono anche a dilatare, a donare atmosfera attraverso inserti analogici di sintetizzatore. L’armonia viene trovata da un carico di frequenze modulate che si disperdono in random, dalla ripresa delle stesse con piccole, impercettibili variazioni sia di densità sia di ritmo.
Il loro glitch interamente computerizzato, le disparità, le scale diatoniche disgiunte in realtà si riagganciano a retroattività concretiste ben incarnate dalla ricerca sul segnale acustico controllabile di Morton Subotnick. In questo ultimo lavoro saturo di ambizione e avanguardia ogni stralcio di melodia è sacrificato a battiti plumbei, a rarefazioni di ambient post atomico. Irlite (get 0) è giocata su una serie di loop glaciali e scratch in contro tempo. Flep è un dubstep che sfodera un range di bassi e sub bassi snervanti. Tuinorizn, 1 1 is, Fleure, spl9, sono i brani che giocano con maggiore accanimento su questo groviglio urticante di picchi acustici letteralmente passati sotto macero da una perizia tecnica e da una meticolosità asettica, da risultare assolutamente claustrofobica e opprimente. Runrepik è uno dei brani più ariosi e fantasiosi, giocato sull’estro della drum machine e i delay liquidi. Jatevee C, molto Orb, ha anch’essa un’atmosfera molto lirica. Poi Bladelores e Nodeszh che si addentrano nella loro dialettica più sofisticata e senza dubbio egemonica del brakbeat sincopato e della modulazione di frequenza in dispersione.
Tra le elegie robotiche più significative in un ammasso di ben diciassette brani piuttosto disomogenei (oltre due ore di bombardamento neuronale a tratti pesante da digerire) che poco vanno ad aggiungere alla linearità del loro tragitto ideologico di esplorazione. Un album dispersivo e poco incisivo che si tiene su una miriade di già detto e già fatto che molto vanno a sacrificare agli spunti più illuminati. I toni distaccati, capaci di dipingere acquerelli di surreale, di trepidante smarrimento, sono imbavagliati da una disciplina geometrica di rigore freddo e distaccato. Si fa sfoggio di pattern che hanno più il sapore di una esercitazione cervellotica, di compito in classe eseguito in modo ineccepibile dal secchione imperturbabile, bravo a fare equazioni, ma molto meno a far trasparire emozione dai suoi occhi nascosti dietro i fondi di bottiglia.