HMWWAWCIAWCCW? How much wood would a woodchuck chuck if a woodchuck could chuck wood?
[Uscita: 27/11/2012]
# Consigliato da DISTORSIONI
Il nero folk corale di How Much Wood Would a Woodchuck Chuck if a Woodchuck Could Chuck Wood? (abbreviato -per modo di dire- in HMWWAWCIAWCCW?) mi aveva colpito enormemente in un bellissimo split e un bellissimo vinile 7" che avevo ascoltato durante la stesura dello speciale dedicato alla Brigadisco Records. Un'accoppiata formidabile loro e i Father Murphy, distinti per le sonorità oscure e mistiche, capaci di coniugare tensione emotiva e coinvolgimento attraverso suoni dilatati e secchi, lugubri quanto profondi, inquietanti e arcanamente vicini agli spazi reconditi dell'inconscio e dello spirituale. Una bella realtà tutta italiana pensai. Successivamente poi, occupandomi della Boring Machines ed entrando in sintonia con la tipologia musicale proposta dalla label di Onga pensai: i Father Murphy non potevano mancare, ma anche gli HMWWAWCIAWCCW? non ci starebbero affatto male. Pensiero profetico o forse semplicemente ovvio e susseguente, sta di fatto che ora finalmente ci propongono un full lenght in piena regola con Boring Machine e Avant! Records. Io gongolo di felicità lasciando campo libero alla mia parte decadente.
Ancora una volta un vinile in cui predomina la densità del nero, un colore che ha la caratteristica di raccogliere in sè, di assorbire, per cui lo immagino come un contenitore emozionale, uno scrigno magico in cui le amenità dei pensieri e delle sensazioni, anche per un solo attimo vanno a convergere in una logica di senso. C'è poi il tronco che è un'altra caratteristica che contraddistingue il trio torinese. Una simbologia pregnante che parla insieme alla loro musica di flussi contorti e di spigolosità, di abrasioni e di fissità che però a ben rifletterci diventano sempre 'buoni conduttori' di energia, di compimento interiore, di introspezione e conoscenza di sè. Il primo brano For Nobody, riverberato, liquido, straniante, dai contorni distorti ricorda le atmosfere dei Death in June ma nell'incedere lento si susseguono scintillanti divagazioni di chitarra arpeggiata che, insieme agli echi vocali, conferiscono un grande spessore poetico.
La pesantezza dell'aspettazione, il pathos del silenzio che si carica gravitazionalmente dei respiri trattenuti ha la forza di una rappresentazione teatrale, in Joy and Rebellion si sprigiona arte drammatica attraverso un'onda melmosa di droni che si allarga concentricamente trascinando alla deriva turbamenti e riflessioni e creando una specie di ipnosi sensoriale. Save us ha invece i suoni secchi e nervosi dei Father Murphy e attraverso i cambi di tempo e i crescendo ritmati tesse attraverso le trame del suono il racconto illustrato di uno stato d'animo. La voragine lugubre di In Aria ha la stessa forza evocativa e scenografica che trova degni esponenti nella scuola gotica dei Current 93. Oh dark è uno psycobilly pressurizzato doom, Lux Interior alle prese con lo speech e con il growl. Mentre l'ultimo brano The Rock rompe ogni schema di ordinario ed opera un magnifico connubio tra la freddezza dell'oltretomba e lo spleen intimistico più profondo e di maggiore suggestione. E veramente sembra di leggere attraverso il linguaggio criptato di un tronco, la storia del tempo e dell'esistenza, il fluire e il divenire, in una spirale che si allarga e si restringe riflettendo l'inintelligibile.
Commenti →