Willy Mason CARRY ON
[Uscita: 3/12/2012]
Willy Mason debuttò giovanissimo nel 2004 con “Where The Humans Eat” sotto le ali protettive di Conor Oberst, poi un secondo disco cinque anni fa e adesso eccolo alla terza prova che a detta dello stesso artista apre una porta verso un mondo nuovo e ricco di possibilità. A sottolineare questa nuova strada intrapresa Mason cambia etichetta ed esce su Fiction Records. Siamo sempre nell’ambito del songwriter perdente e solitario, che si ispira alle radici del suono americano, fra alt country e folk, ma stavolta Mason, nato 28 anni fa a Martha’s Vineyard, Massachusettes, è andato a registrarlo in Inghilterra scegliendo come produttore Don Carter, uomo che si muove come un pesce nell’acqua del pop (Kylie Minogue) e dell’indie (Franz Ferdinand, Django Django). Il lavoro di Don Carter si fa sentire, pur non stravolgendo il mood malinconico, solitario conferisce alle canzoni sonorità e suoni che rendono più gradevoli, più colorate le canzoni di Mason. Gli innesti di una garbata elettronica, della drum machine, della chitarra elettrica, di percussioni che conferiscono un ritmo tribale e soffusamente dub, non inquinano l’originale ispirazione, ma smussano le asperità e anche certe debolezze che affioravano soprattutto in “If The Oceans Get Rough” del 2007.
Fra i brani più riusciti innanzitutto Restless Fugitive lunga ballata su un ritmo percussivo dub che richiama addirittura venature reggae e riverberi di chitarre dal sapore psichedelico ed evocativo, la breve, ma intensa Show Me the Way To Go Home, doloroso desiderio di far ritorno a casa, anche se ciò che lo attende potrebbe non essere proprio piacevole, ed è proprio la sensazione di non riuscire a trovare un proprio luogo che percorre il disco nella sua vena più dolorosa e malinconica. Carry On conferma il lato più notturno e oscuro con la voce roca accompagnata dal fingerpicking della chitarra, Painted Glass incontra psichedelia e country in stile Wilco e infine l’iniziale What Is This esalta la voce baritonale, tutt’altro che giovanile di Mason, in una ballatona che si infiamma nel finale sulle distorsioni della chitarra. Altre volte l’incontro fra le due anime del disco, quella amara, dolente di Willy Mason e quella pop del produttore Don Carter, producono esiti che lasciano un po’ perplessi, come nella fin troppo sbarazzina I Got Gold o nell’arrangiamento reggae di Talk Me Down.
Commenti →