Primo Maggio dietro le quinte: i lavoratori dello spettacolo
In un periodo di crisi strutturale come quello che stiamo attraversando, l'importanza di una ricorrenza internazionale come quella della Festa dei Lavoratori assume oggi una connotazione ancor più di primaria importanza rispetto al passato. Il Primo Maggio è il giorno in cui viene ricordato il sacrificio di numerose persone che hanno lottato affinchè fino a ieri si potessero godere, e oggi si debbano difendere e rivendicare, molti dei diritti inerenti alle tematiche del lavoro. Nel nostro paese, le celebrazioni ufficiali della Festa dei Lavoratori degli ultimi anni hanno però perso sempre più di spessore, fino a coincidere con l'evento mediatico del "Concerto del Primo Maggio". Lasciando da parte le polemiche rispetto a se e quanto sia vuota dei contenuti originali la giornata che puntualmente si consuma in Piazza San Giovanni a Roma, l'evento in sè mi da l'opportunità di introdurre un discorso del tutto particolare: quello dei lavoratori dello spettacolo, ed in particolare di coloro impiegati nell'industria degli eventi dal vivo.
E' facile supporre che tra i lettori di Distorsioni ve ne siano molti abituati ad andare a vedere e sentire spettacoli dal vivo ed è quindi lecito pensare che il tema qui trattato non vi lasci indifferenti. Anche perchè, e lo scoprirete leggendo, alcune cose interessano direttamente anche voi in quanto pubblico. Quella del sottoscritto è indubbiamente una visione parziale, come lo sono tutti gli sguardi rivolti da un'angolazione ben precisa. Una visione che deve però tener conto del clima sociale che tutti, nel bene o nel male, ci troviamo a condividere.
Difficile non riconoscere una certa ferocia negli attacchi che i nostri dirigenti 'politici' conducono ormai quotidianamente allo stato sociale, ed in primis ai diritti connessi al mondo del lavoro. Sembrerebbe che la lotta di classe sia viva e vegeta. Sicuramente si, ma a senso unico. Almeno a grandi linee, al momento infatti non si respira un'aria di rivolta sociale diffusa. D'altro canto, non è trascurabile il fatto che quasi vent'anni di berlusconismo abbiano lasciato un segno profondo nel nostro paese, inaridendone le coscienze su più fronti. Sembrerà quindi terribilmente normale, anche e soprattutto in occasione di una festa scomoda come quella dei lavoratori, la sfacciataggine e l'ipocrisia esibita delle cariche istituzionali nei loro discorsi. Non è complicato immaginarne alcuni passaggi, nei quali nobiliteranno ancora una volta il lavoro come pietra fondante della nostra civiltà, versando nuovamente le loro lacrime da coccodrillo nel momento in cui ci ricorderanno quanto siano necessari i sacrifici che (noi) stiamo compiendo, mentre nei fatti il sistematico sgretolarsi dei diritti democratici è già stato promesso come tributo ai cosiddetti 'investimenti esteri' o, per meglio dire, ai signori arroccati nei salotti delle agenzie di rating. Direi che c'è davvero ben poco di cui 'annoiarsi'.
Lavoratori del tutto particolari, che per un motivo o per l'altro non corrono minimamente il rischio che la noia li pervada, quelli dello spettacolo hanno avvertito negli ultimi mesi l'urgenza di uscire da dietro le quinte. I recenti incidenti, avvenuti durante il montaggio dei palchi di Trieste per Jovanotti e Reggio Calabria per Laura Pausini, nei quali sono rimasti uccisi prima il facchino Francesco Pinna e poi il rigger Matteo Armellini (il rigger è colui che lavora con i carichi in sospensione), hanno portato alla luce come troppe volte una serie di gravi disfunzioni inquinino pericolosamente questo ramo dell'industria dello spettacolo, tanto nell'ambiente delle grosse produzioni quanto in quello dei piccoli eventi, anche se con delle differenze.
In primo luogo la sicurezza, e non solo di chi lavora ma anche del pubblico. Molti degli spazi utilizzati per i grandi concerti sono infatti dei palazzetti concessi in deroga, ovvero dei posti per i quali si rilascia l'agibilità temporanea, ma che in verità non corrispondono sempre ai requisiti standard di sicurezza previsti per eventi del genere. E le location stesse non sembrano spesso adatte a ospitare show dalle strutture sempre più imponenti.
Nelle tournée più importanti, i lavoratori sono abitualmente soggetti a turni poco invidiabili: non è raro sforare le 16 ore continuative, nelle quali non sempre vengono garantite sufficienti pause per i pasti e per il riposo. A questo aggiungete che le stesse squadre il giorno seguente faranno le medesime operazioni in un'altra città; ciò significa che, finita una data, si parte e si dorme in pulmino per poi ricominciare il tutto in un altro posto. E' chiaro che, date le premesse, il livello di attenzione non potrà mai essere al 100%, con conseguente ricaduta sulle condizioni di sicurezza, anche stradale. C'è da dire che l'alta professionalità di chi opera nel settore ha fatto finora da contrappeso a molti dei fattori di rischio, una professionalità però non riconosciuta istituzionalmente. Non esistono infatti categorie né mansioni contrattuali del tutto determinate, piuttosto un' unica dicitura che va sotto il nome generico di 'Maestranze dello Spettacolo'.
Finora ho accennato alle grosse produzioni, capaci di muovere un giro di denaro non proprio irrilevante. Le cose vanno decisamente peggio per quello che riguarda le situazioni minori, cioè quel settore che vive di piccoli e medi eventi come concerti di piazza, piccoli festival, fiere, installazioni e via dicendo. Un circolo virtuoso, se proprio vogliamo chiamarlo così, si è spezzato: gli enti, le provincie e i comuni, ma anche le associazioni culturali, hanno sempre meno risorse da investire. Ne consegue che i piccoli e medi service (imprese per i servizi allo spettacolo) cercano di prendere ciò che rimane dei pochi lavori rimasti su piazza, lavori pagati poco e male dalle istituzioni quanto dai privati (non è ormai raro che un committente paghi oltre i 12 mesi).
In queste condizioni alcune imprese decidono addirittura di ritirarsi dalla competizione mentre altre cominciano a giocare anche troppo al ribasso. Potete facilmente immaginare quale sia il livello di precarietà di un lavoratore storicamente collocato in questo settore. Si aspetta, ormai con scarsa fiducia, quella che viene chiamata la 'stagione', un periodo mitologico di picco lavorativo che negli anni si va restringendo sempre di più. Se d'inverno sarebbe meglio auspicare un letargo, data la poca mole di occupazione, nelle punte estive si registrano stress fisici non indifferenti: anche qui si va spesso oltre le 14/16 ore di lavoro con mansioni multiple, come caricare un furgone, guidarlo, scaricarlo, montare, fare da tecnico del suono e/o delle luci. Anche qui le condizioni di sicurezza generale non vengono sempre rispettate al millimetro e anche qui la professionalità del lavoratore si trova a fare nettamente la differenza. Aggiungete anche il fatto che la contrattazione in termini di retribuzione avviene sempre tramite un accordo formale.
"Ma chi glielo fa fare?", non ve lo siete chiesto voi che avete avuto il coraggio di leggere sin qui? Bisogna ammettere che è una domanda che ci rivolgiamo sempre più spesso anche noi lavoratori dello spettacolo. Una delle motivazioni, non vi sarà certamente sfuggita, è il fatto che siamo altamente ricattabili e quindi, giocoforza, troppe volte costretti ad accettare situazioni limite. D'altro canto, alcuni di noi hanno cominciato a muoversi nella direzione di un miglioramento delle proprie condizioni proprio sull'onda emotiva dei recenti lutti: chi da strutture già esistenti, come alcune cooperative 'sane', e chi dal basso col progetto di creare un'associazione di categoria. "The Show Must Go Off" recita la più incisiva tra le parole d'ordine: fermiamoci per pretendere che di morti sul lavoro non ce ne debbano essere e che, al contrario, abbiamo diritti e dignità da far valere.
Un cambiamento serio, radicale e condiviso può avvenire soltanto attraverso una difficile unità tra lavoratori da sempre in competizione tra di loro. Contemporaneamente, c'è però bisogno che nel settore si verifichi una presa di coscienza la più ampia possibile, che porti anche a riconoscere come negli anni ci siamo resi complici di dinamiche che hanno compromesso una reale regolamentazione del sistema nel quale operiamo. E infine, risulta essenziale una costante attività di informazione rivolta a quella parte di società che solitamente va a sentire e vedere uno spettacolo dal vivo, così come è indispensabile anche sensibilizzare gli artisti (alcuni hanno già espresso la loro solidarietà), i quali possono incidere su scelte riguardanti la programmazione dei tour quali la vicinanza tra le date e l'imponenza dello show.
"Ma chi ce l'ha fatto fare?" Il dilemma è che amiamo, o quantomeno abbiamo amato, questo lavoro. Ci piace che dopo una fatica immane tutto ciò che abbiamo sotto controllo funzioni come si deve. Ci piace che nel momento in cui inizia lo show, quando si accendono le luci e i primi suoni compiono il loro interminabile tragitto, si inneschi in noi quella reazione chimica chiamata 'emozione'. Lo show siamo noi, assieme all'artista sul palco e assieme al pubblico.