Mick Harvey FOUR (ACTS OF LOVE)
[Uscita: 11/06/2013]
Mick Harvey, australiano, definitivamente affrancatosi dalla nomea di ex bassista (e arrangiatore) dei Bad Seeds di Nick Cave e prima dei Birthday Party, prosegue il proprio poliedrico itinerario di artista polistrumentista (anche di produttore di colleghi e compositore di musiche da film) con "Four (Acts of Love)", un album solistico - il sesto - frammentario nella capitolazione quanto coeso nelle tematiche: l’amore in ogni sua declinazione. Romantica innanzitutto. Suddiviso, come da titolo, in diversi sezioni dedicate al sentimento principe (Acts of Love), il disco si avvale della piena sensibilità stilistica (anche vocale) del nostro, affinata negli anni attraverso preziose esperienze, ad esempio con personaggi femminili della personalità di Anita Lane o di PJ Harvey e magnificata, tra gli altri, negli acclamati album di riletture in idioma anglofono di classici di Serge Gainsbourg ("Intoxicated Man", 1995, e il successivo "Pink Elephants", 1997, entrambi Mute), opere che ancora oggi scaldano il cuore di molti. E’ un compiuto tragitto tra luoghi sonori tanto cari all’origine desertica degli spazi vuoti dell’anima (pur se Act1 titola Summertime in New York). Sentite infatti l’iniziale Praise The Earth (Wheels of Amber and Gold), o le successive Glorious (firma PJ Harvey) e Midnight on the Ramparts, e dite se non si vuole tratteggiare un senso di mancanza, addolcita dal rimpianto, un blues macerato d’amore assente.
Fosse pure tra sincopati grattacieli che tremulano nella calura. Da Act2 - The Story of Love, invitiamo a cogliere God Made the Hammer, apice dell’intera raccolta. Non importa da quale cruscotto si ascolti questo brano. Fate però che sia mentre viaggiate in spazi aperti. Purchè stiate per approssimare o abbandonare qualcosa o qualcuno che desiderate amare. I Wish That I Were Stone segue con un giro di chitarra ed un pianoforte ariosi, tali da legarsi alla pièce precedente, come il finestrino abbassato a devastarvi la chioma. Story of Love (rilettura dei The Saints) chiude la sezione, tratteggiata dalla voce di Harvey, autorevole e suggestiva, tra pennate di chitarra luminescente, pezzo di tradizione che bacia anche un nostro personale desiderio di Gun Club. In Act3 - Wild Hearts Run Out Of Time, l’agio di concludere con introiezioni d’atmosfera: Where There’s Smoke (after) soffia da un deserto plumbeo; Wild Hearts non può che sembrare canzone di confine, notturna e accogliente, un neon che non riscalda ma consola; Fairy Dust, prima della reprise conclusiva di Praise The Earth (An Ephemeral Play), è sigillo intimo dei nostri desideri di affetto. Four (Acts of Love), produzione ben costruita, realizzata con la solita maestria strumentale, pecca solo per la fugacità degli spunti, per il mancato sviluppo di tematiche musicali, forse meritevoli di altro divenire. Album comunque prezioso, meditativo sebbene fuggevole, album minuto e profondo, da acchiappare come una falena, o una galassia.
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