Ufomammut ORO/OPUS PRIMUM
[Uscita: 13/04/2012]
Si allontanano dall'evanescenza della psichedelia e dallo stoner di più largo respiro ispirato alla sperimentazione di scuola classica (Black Sabbath, Hawkwind) che pure era in parte richiamato nel loro ultimo "Eve" (Supernatural Cat, 2010) gli Ufomammut. Per chi dopo il suo ascolto si fosse domandato con stupito interesse dove mai sarebbe andato a parare il power trio piemontese, la risposta può essere racchiusa nella magniloquente e preziosa parola palindroma del titolo. Un Oro in parte deprivato dal misticismo alchemico attribuitogli dalle scienze occulte ed esoteriche e dai rimandi etimologici alle sue caratteristiche di purezza e lucentezza per associarsi più strettamente a quelle di opulenza, massa e duttilità. Del resto la virata in casa Neurot lo lasciava pur presagire. Con questo ambizioso Necronomicon Lovecraftiano si dà infatti vita all'Opus Primum di una saga concettuale sulla trasformazione del suono in materia dura e omogenea.
Sotto questo punto di vista il progetto raggiunge ampiamente e magistralmente gli scopi prefissati, sviluppandosi in progressioni densissime e pompose che partendo da droni buzz e ritmiche lente e scandite vanno a montare e ad incanalarsi rigidamente su traiettorie ben calcolate e schematizzate. Geometrie espanse come frattali studiati e progettati millimetricamente che fanno guadagnare potenza ed impeto ma sottraggono a ricerca e divagazione. Prevale una ripetitività ossessiva e magmatica dei riff e dei toni bassi, il senso di asfissia si definisce meglio del pathos emozionale. La prima lunga traccia Empireum si snoda lungo uno sludge doom metal opaco e marziale a tratti disturbato da feedback che ha in sè tutti i prodromi di una ouverture ad effetto, rimanda alle cadenze sincopate e atmosferiche dei Pelican. I muri granitici che vengono eretti nelle fasi conclusive sono in realtà storie già raccontate, che pur rivelando una indubbia abilità e una compattezza sinergica perfettamente compiuta ed evoluta nel curriculum della band, non fanno guadagnare in originalità e fantasia le prodezze di Poia, Urlo e Vita. Mi viene da pensare alla ritualità di una Desert Session tenuta da dinosauri ed elefanti, ad uno scontro di titani che sfoderano maestria, potenza ed abilità.
Magickon, Mindomine e se vogliamo tutti e cinque i brani ideologicamente e dialetticamente compatti. Nessuno sconto a leggerezza e intuizione, nessun tocco di cuore o sperimentazione, solo freddo metallo pur se pregiato. Un'esplorazione sonora come plasmatura, una scrittura ridotta a pochi motti da predicatore esaltato. Un suono materico che viene modellato e forgiato, particelle compatte resistenti e caotiche reincanalate. I Tool che prendono a schiaffi gli Electric Wizard. I Black Sabbath e i Kyuss in una camera iperbarica. Francamente escluse le vibrazioni degli overdriver a manetta non se ne intravedono altre degne di surclassare manierismi esponenziali e rigori di logica già sentiti e ancora (in quanto a pesantezza) non del tutto digeriti. Comunque complimenti per il coraggio, senz'altro verrà apprezzato e lodato dagli appassionati del genere, di gente desiderosa di scendere all'inferno con biglietto andata e ritorno sono convinta ce ne è a bizzeffe, tanto vale usare traghettatori nostrani. Di certo mi sarei aspettata approdi su altri lidi per una band con un'esperienza più che decennale e senz'altro dotata di indiscussa e comprovata capacità, magari una compensazione della staticità con qualche tocco capace di personalizzare l'aridità del loro groove, la semina di stilemi capaci di identificarli più che collocarli nella scia dei Neurosis. Ma aspettiamo "Opus Alter" in arrivo a settembre per trarre le conclusioni, il discorso è ancora aperto e tutto può succedere.
Correlati →
Commenti →