The Saint James Society BAB(A/Y)LON RISING
[Uscita: 12/03/2013]
Ascoltando “Bab(a/y)lon rising”, siamo al nostro personale limite del sentirci metal-psichedelici. Ovvero dark-wave, con propensione a rendere smunti per espansione corporea plastici tatuaggi che effigiano i deltoidi grazie a carichi di palestra, esercizi cerebro-muscolari che strutturano un fisico in grado di sorreggere drumming affatto discreti per non dire dirompenti. Elettriche che giocano a sciabolare vocalità epiche, ricche di testosterone e bassi post punk vigorosi e traccianti, onusti di riferimenti di genere (Killing Joke, Sister of Mercy, Died Pretty e affini). E questo con peculiare capacità di accalappiare carature che il metal tralascia, ma la wave no: collocarsi cioè in alvei intellettuali, non di sola rabbia, velocità e sfogo, ma di distorsione introspettiva e misurata dissonanza, quasi elegante e avvolgente. Qui dentro, in realtà, ci sta di tutto: glitter, stoner, fuzz garage, psichedelia infetta ma patinata, blues catarroso da far espettorare consumati poseurs. Si gioca pesante ma levigato, e i The Saint James Society, di Austin – Texas, dopo l’assaggio di un EP ben accolto dalla critica (“The Saint James Society”, Tee Pee 2011), ne fanno il riuscito motivo del proprio esordio su lunga distanza.
Si ha conferma di una band ispirata che trasmette grandeur e volontà di potenza. Tra mazzate sonico - melodiche, si segnala con particolare tensione tendinea l’iniziale Refractions o la successiva title track, a scandire il portato dell’intero album, marmoreo nell’incedere, dal suono coinvolgente ed esoterico quanto sciamanica risulta la bella vocalità mai sparata di Brandon Burkart; anche in The Serpentine Higway, albero motore di un suono corposo che scarica tonnellate di ottani tribali, vi è segnale di una sottostante forza glam a blandire perniciose derive metal (così pure in The Book of the Giant Priest); più hard nella scrittura luciferina è Blood & Sand; più wave e stordente nell’approccio joy divisionano risulta Get Cold; Post Tenebras Lux e Celestial Symbols Interpreted sono contrappunti strumentali che esprimono l’afflato dei SJS verso soluzioni pianistico ambientali e droni post-wave; Ode the Turquoise Ox è un calligrafico bluesone dal retrogusto zeppeliniano che ci porta a blasfeme esclamazioni. Chiude degnamente House Of Snakes, sezione ritmica ridondante e senso rituale di chitarre lancinanti, il cantato in un ammaliante sussurro, questa volta femminile, che declama un francese ancestrale. In definitiva, un esordio che mantiene le luccicanti promesse, belle canzoni, nessuna novità, ma efficaci espedienti per chi ha espressioni da duro e cervello saturo di pulsioni romantiche e teschi che digrignano. Tutto ciò può ben modellarci nel nostro cammino. Come viatico per farci sentire più forti e coraggiosi.
un grande disco di esordio.
Glad that you appreciated it! thank you!
Rossana Morriello (Distorsioni Editorial Staff)