Richard Barbieri PLANETS + PERSONA
[Uscita: 3/03/2017]
Inghilterra #consigliatodadistorsioni
Musicista eclettico e prezioso, tastierista e compositore di eccellente spessore artistico, Richard Barbieri, già colonna portante dei grandi Japan di David Sylvian e in seguito illuminato componente dei valorosi Porcupine Tree di Steven Wilson, tra le più significative delle tante esperienze musicali a lui ascrivibili, annovera anche una raffinata produzione discografica in proprio. Sebbene il suo lavoro solistico più recente sia datato, oramai, 2008 (“Stranger Inside”), la verve creativa del Nostro si mantiene brillante anzichenò. L’uscita per i tipi della Kscope Records di questo suo ultimo lavoro, “Planets + Persona”, ne è indubitabile dimostrazione. Affiancato da Lisen Rylander Löve alla voce e al sassofono, Luca Calabrese alla tromba, Kjell Severinsson alla batteria, Klas Assarsson al vibrafono, Christian Saggese alla chitarra acustica, Axel Croné e Percy Jones al basso, Richard, che avoca a sé sintetizzatori, programming, Fender Rhodes, percussioni elettroniche, dà vita a un album di rara suggestione sonora. Una virtuosa miscellanea di stilemi, dall’elettronica al nu jazz, dall’ambient al tecno-pop più raffinato e sperimentale, in un crescendo di atmosfere di pregiati broccati musicali.
Tutto ciò è evidente a partire dall’iniziale Solar Sea, un distillato di suoni sintetici diluito in soluzioni di ispirazione jazzy, con in sottofondo la voce filtrata della Löve a dare splendore armonico all’insieme. New Found Land si apre con la tromba evocativa di Calabrese che si adagia mollemente su un variegato tappeto di tastiere elettroniche cui fa da contraltare il pulsare oscuro del basso. Di matrice decisamente più canonica è l’abbrivio di Night Of The Hunter mercé l’utilizzo di strumenti acustici sapientemente modulati, prima di cedere il passo a ritmi di pretto taglio avanguardistico, con l’irruzione delle percussioni elettroniche a dominare la scena. A viaggi cosmici e fughe siderali rinvia poi l’impianto elettro-spaziale di Interstellar Medium, traccia nella quale le “macchine” recitano un ruolo predominante, di quando in quando la voce della Löve vi tesse sopra arazzi di luce stellare.
La filastrocca iterativa per anime sintetiche di Unholy si stende su un sentiero minimalistico di poche, ossessive note, circolarmente coniugate in forma di ballata elettronica, con la solita voce sullo sfondo e un prezioso intarsio di sax a umanizzare il tutto. Dal sapore spiccatamente ambient è indubbiamente Shafts Of Light, immersa, come in aloni di brume perenni, in una quieta dimensione meditativa. Dalla finale Solar Storm germina una corolla sonora che coniuga in sequenza battiti robotici e atmosfere vertiginose in puro stile free jazz, col sax in folle corsa verso l’abisso sonoro, pullulante di schegge elettronicamente trattate e rese fluorescenti, per meglio illuminare l’ineludibile vuoto siderale cui preludono. Un esperimento di pregevole fattura.
Correlati →
Commenti →