Beth Orton SUGARING SEASON
[Uscita: 2/10/2012]
# Consigliato da DISTORSIONI
C'è tutta una tradizione di cantanti, diciamo così, “folk” britanniche, tra cui sfolgora la meravigliosa Sandy Denny, ma irraggiano anche Maddy Prior, o Jacqui McShee, o le ben più giovani sorelle Unthank. A buon diritto, in quella schiatta ci sta la buona vecchia Beth (Orton, of course), a maggior ragione perchè, come la povera Sandy, è sicuramente un'irregolare, una che ha saputo iniettare nelle sue ballate sussurrate una potente dose di elettronica, collaborando proficuamente con personaggi del calibro di William Orbit o dei Chemical Brothers, all'epoca del notevole album del 1996 “Trailer Park”, che si meritò l'appellativo di “tripfolktronica”. È passato un mucchio di tempo, Beth è diventata una signora, ha scodellato un paio di eredi e se n'è sbattuta della carriera, privilegiando le cure materne, magari anche perchè, dopo i successi del citato “Trailer Park”, del seguente “Central Reservation” e dell'album del 2002, “Daybreaker”, che la portò nella top ten delle classifiche inglesi, la formula si era un po' logorata.
Ricompare sugli schermi radar nel 2006, con un disco che segna un salto indietro verso gli esordi acustici e, quindi, l'abbandono dell'elettronica. La cosa convince la critica, ma comunque ci vogliono altro sei anni prima che Beth sforni un altro album, questo “Sugaring Season”. Il quale si piazza nella falsariga del precedente, lasciando da parte le contaminazioni per buttarsi a capofitto nelle atmosfere soffici e autunnali tipiche di certo “alt-folk”, in massima parte acustico, con poca batteria qua e là, chitarre arpeggianti e un po' di tastiere e un violino ad accompagnare la splendida voce della Orton, che, fatte le dovute proporzioni, ricorda a volte quella inarrivabile di Sandy Denny, in particolare nel mio pezzo preferito dell'album, Poison Tree, una ballata di pretto stile brit-folk. In altri momenti, vedasi un altro pezzo forte del disco, Last Leaves Of Autumn, fa capolino la Carole King più ispirata, sarà per merito del pianoforte in primo piano.
Ma sarebbe ingiusto affibbiare a Beth paragoni tanto impegnativi quanto limitanti, questo è un disco assolutamente personale, la sua voce può a tratti echeggiare quella di illustri colleghe, ma conserva comunque quel timbro un po' nasale, un po' sussurrato, che la rendono così affascinante. Ancora un paio di citazioni: l'iniziale Magpie, il pezzo più mosso del disco, che ci riporta indietro al periodo elettronico con l'arrangiamento degli archi che in qualche modo imita il tappeto sonoro creato da un synth con un effetto ammaliante e Candles, una ballatona in cui compare il piano elettrico. Per me un ottimo ritorno.
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