David Bowie 1a Parte: “The Man Who Sold The World”
I N T R O
Monumentale e fondamentale l'apporto dato e l'eredità lasciata da David Bowie alla storia della musica rock della seconda metà del XX° secolo e delle prime due decadi del XXI°, tanto da non poterlo esaurire sbrigativamente e comodamente in un solo Profilo-Approfondimento. Distorsioni ha pensato perciò di focalizzare e sviscerare meglio i momenti topici preziosi ed indimenticabili della lunga carriera dell'artista, con riferimento a singoli album o precisi periodi creativi, in differenti puntate (o sezioni se preferite) e senza una consequenzialità cronologica. Uno Speciale-work in progress in cui si cimenteranno di volta in volta collaboratori diversi del nostro sito, ma aperto anche ad eventuali 'contributi' esterni (che potranno essere inviati da subito al seguente indirizzo e-mail: wallybffl@gmail.com).
Ad aprire le danze è il nostro Ricardo Martillos. Sperando il nostro Bowie-work in progress sia di vostro gradimento aspettiamo vostri eventuali riscontri in merito e vi auguriamo buona lettura! (Pasquale 'Wally' Boffoli, direttore editoriale-artistico Distorsioni webmagazine)
THE MAN WHO SOLD THE WORLD : il disco ed i brani
Dopo il clamoroso successo alla fine degli anni sessanta con il singolo Space Oddity e relativo album, intitolato "David Bowie" per il 23enne londinese urgeva trovare rapidamente un degno successore a quel disco bello e inaspettato. Era un'epoca di ricchi fermenti musicali, la concorrenza era tanta e se sparivi dalla circolazione per più di un anno la gente si dimenticava di te. David Bowie registrò "The Man Who Sold The World" nell'aprile-maggio del 1970 a Londra, con la produzione del solito Tony Visconti e con una solida formazione che comprendeva lo stesso Tony al basso e piano, il grande Mick Ronson alla chitarra (foto qui sotto a sinistra, alla destra di David Bowie), Ralph Mace alle tastiere e Mick Woodmansey alla batteria. Venne registrato in Inghilterra ma l'album uscì inizialmente negli Stati Uniti per la Mercury Records, esattamente il 4 novembre 1970. Si dovette aspettare l'aprile del 1971, in pratica un anno dopo che era stato realizzato, per vederlo pubblicato anche nella madrepatria inglese.
Da questo disco, e poi dai successivi, risulta evidente che David abbia il dono magico di mutare pelle e cambiare continuamente orizzonti sonori, spiazzando più volte il suo numeroso seguito di ascoltatori. Rispetto al disco precedente infatti qui i toni si fanno a tratti più cupi, più duri, e la compatta formazione supporta magnificamente il nostro London boy. Si tratta di uno dei dischi più sottovalutati e meno considerati del ricco catalogo bowiano, ma non ha niente da invidiare a altre opere più celebrate, come i seguenti "Hunky Dory" (1970) e "The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars" (1972). Solo negli anni novanta, grazie alla fantastica cover della title track fatta dai Nirvana nel famoso "MTV unplugged in New York" (1993) il disco ha avuto la rivalutazione che meritava.
L'album si apre a sorpresa con un pezzo lunghissimo, la splendida e cupa The Width Of A Circle, otto minuti molto intensi, perfetta testimonianza di un artista che cerca di navigare in acque più torbide, a lui sconosciute, con il sound chitarristico di Mick Ronson molto compatto, non a caso assente nel lavoro precedente. Nei secondi finali del pezzo riecheggiano le note dell'Also sprach Zarathustra di Strauss, prese dal soundtrack del capolavoro di Kubrick "2001, a space odyssey". Quella dello spazio era una vera ossessione per il nostro eroe dai capelli rossi (al tempo). Ancora più bella la seguente All The Madmen, uno dei gioielli più scintillanti del primissimo Bowie, con la magnifica voce dei vent'anni, che scomparirà già dalla celebre seguente trilogia berlinese. Aveva delle liriche a tratti inquietanti: "preferirei stare qui con tutti i pazzi piuttosto che morire con gli uomini tristi che vagano liberi". Il brano venne proposto come singolo ma non aveva di certo i connotati ideali per bissare il successo della celeberrima Space Oddity dell'anno prima. Chiudono un lato A impeccabile la simpatica e più solare Black Country Rock e la bella ballad a tinte scure chiamata After All, che deve aver influenzato molti gruppi dark, quantomeno come stile vocale.
Girando il vinile Running Gun Blues pare quasi un anticipo dello Ziggy Stardust prossimo a venire, mentre Saviour Machine è una magnifica traccia folk psichedelica con splendidi inserti strumentali e la voce che vola altissima. Fra le vette del disco. Segue la poderosa She Shook Me Sold, con Mick Ronson di nuovo sugli scudi, a briglia sciolta, una traccia che ricorda molto le sonorità delle centinaia di gruppi hard blues che popolarono il sottobosco musicale inglese dei seventies. La quiete dopo la tempesta ha nome The Man Who Sold The World, il pezzo omonimo, una bellissima canzone che rivela, come meglio non si potrebbe, la maturità compositiva già altissima del giovane londinese. Un pezzo che ormai tutti conoscono grazie al compianto Kurt Cobain che ne fece una versione memorabile, non molto inferiore all'inarrivabile originale. Bowie scrisse versi che adesso risuonano attuali: "I must have died alone, a long long time ago" (Sarei dovuto morire solo, molto molto tempo fa)". Chiude The Superman, altra riuscitissima prestazione vocale di David e di contorno della sua compatta backing band.
THE MAN WHO SOLD THE WORLD: La storia delle quattro diverse copertine
Nel sempre variegato e pittoresco mondo collezionistico The Man Who Sold The World è sempre stata una delle prede più ambite dai folli cacciatori di vinile ed è facile capirne il perché. Come detto in apertura il disco uscì inizialmente solo sul mercato americano, con una copertina a fumetti di Michael J. Weller, un amico di Bowie. Il cartoon mostra un cowboy che regge un fucile di fronte al Cane Hill Hospital, a Couldson, Croydon, a pochi passi da Londra, adesso chiuso. Un ospedale che al suo massimo conteneva ben 2000 pazienti, alcuni davvero noti come la madre di Charlie Chaplin e i fratelli di Michael Caine e dello stesso Bowie. In Inghilterra invece uscì con la famosa e scandalosa (per l'epoca) "man's dress cover" che vedeva David, con lunghi capelli biondi in posa ambigua su un divano con abiti prettamente femminili. Un primo indizio delle sue originali divagazioni sessuali. Il tutto era opera del designer Michael Fish e gli stessi oltraggiosi abiti vennero indossati da Bowie per promuovere il suo primo tour negli States, con gli americani ancora ignari del fatto che sarebbero ricomparsi sulla copertina delle versione inglese. La bizzarra copertina fu ispirata da un simile ritratto di Dante Gabriel Rossetti, pittore e poeta londinese ottocentesco fondatore del movimento artistico dei Preraffaelliti. Ma la vera chicca delle quattro differenti edizioni di The Man Who Sold The World è l'incredibile edizione tedesca, denominata "round cover".
La copertina si apre in quattro parti e diventa un grande circolo, con uno strano essere volante, una sorta di mano che ha la testa del lungocrinito Bowie e delle ali per spiccare il volo verso mete spaziali con le dita che sembrano scacciare via il pianeta terra. Le copie di questa fantasiosa edizione tedesca e della "man's dress cover" inglese prima della morte di David cambiavano di mano per cifre altissime, adesso immaginiamo che voleranno cifre oltre le 1000 sterline, visto l'incredibile eco seguito al tragico evento del 10 Gennaio. La copertina con David sul divano fu rapidamente sostituita nel 1972 dalla RCA su scala mondiale con quella più rassicurante in bianco e nero e con il nostro eroe scalciante armato di chitarra elettrica in classica posa da Ziggy Stardust, che emergeva dall'ombra proprio in quell'anno. Di certo la meno bella delle quattro, ma che almeno in parte rendeva l'idea del contenuto musicale, non certamente solare. Al suo interno, al pari delle copie su Rca Victor di "David Bowie (Space Oddity)" c'era anche un mini poster che era l'esatto scatto del fronte copertina. Quest'ultima copertina rimase in circolazione fino al 1990 quando la Rykodysc ristampò il disco riproponendo l'originale copertina con David sdraiato con i lunghi capelli biondi. The Man Who Sold The World riascoltato 45 anni dopo appare davvero un magnifico disco del futuro Duca Bianco, brillante testimonianza di un geniale artista a divenire che raramente ha sbagliato un disco.
Correlati →
Commenti →