The Chrome Cranks 05 Settembre 2013, Milano, Lo-fi
La curva a gomito lungo la strada per arrivare al Lo-fi ci mancava e quando arriviamo stanno suonando i Nero & The Doggs, quartetto italico di stampo rock’n’roll alla MC5 e Stooges, li seguiamo per una mezz’ora e dobbiamo dire che il set non è male. Il pubblico presente non è tantissimo, forse anche a causa della data infrasettimanale - ma qui al Lo-fi ci sono abituati dato la tipologia di proposte musicali non esattamente ‘main-stream’ tipiche del cartellone ed il fatto di insistere in tal senso va solo in loro onore - ed è venuto chiaramente per i Chrome Cranks e così, quando alle 23.30 precise Peter Aaron e soci salgono sul palco si scatena subito il pogo all’insegna dell’iniziale Nightmare in pink tratta dal vecchio album “Dead cool" (1995), seguita senza interruzione dal blues sporco e tiratissimo di Lost time blues - tratta dal loro album probabilmente più conosciuto “Love in exile” (1996) - e dal jazzismo stravolto di Rubber rat dall’ultimo notevole lavoro in studio del 2012 “Ain't No Lies In Blood”, il primo inciso dopo 15 anni di assenza dalle scene.
Sempre da Ain't No Lies In Blood eseguiranno durante lo show parecchi brani, I’m trash, Living/Dead, Star to Star, Let It Ring, Black garage door, cover dei Libertines (non quelli di Pete Doherty ma un gruppo americano degli anni ’80), durante la quale uno scatenato Peter Aaron riesce a rompere una corda della sua Fender (un classico del ive-set dei Chrome Cranks), ma a continuare imperterrito fino alla fine. I quattro sono decisamente in palla, Peter è scatenato, salta, sputa sudore da tutti i pori, si sporge dal palco verso il pubblico e, seppur non dica una frase di saluto e non interloquisca per nulla con i presenti, traspare decisamente la sua vena da animale da palcoscenico. Dietro di lui, il motore della band è la batteria di Bob Bert (ex Sonic Youth e Pussy Galore) mentre il basso di Jerry Teel disegna ritmiche scarne quanto incisive e la seconda chitarra di William Weber, seppur relegato in una posizione semi nascosta, seduto su una seggiolino dall’aspetto piuttosto instabile, stende il giusto ed implacabile tappeto sonoro sul quale le evoluzioni di Aaron hanno modo di esprimersi al meglio.
Il set si conclude con Shine it on ancora da “Dead Cool” con un pubblico davvero entusiasta a sua volta nel suo bagno di sudore. Breve pausa e i Cranks rientrano per due encore, anche questi, come tutto il concerto, eseguiti a tutta velocità e sparati dritti in faccia senza possibilità di riprendere fiato fondendo blues monocorde a velocità hardcore. In tutto un’ora scarsa di concerto dove non si è certamente respirata un’atmosfera da revival nostalgico quanto piuttosto di pura energia, quella stessa energia che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 sprigionavano gruppi come Spencer Blues Explosion, Pussy Galore, Boss Hog, Bad Brains e Minor Treat. Decisamente un impatto positivo e ancora una volta la convinzione che il valore di certi gruppi sia rimasto davvero troppo sottovalutato allora come ora, ma Aaron e i suoi, a giudicare dalla furiosa energia e dal mood estremo capaci di sprigionare non sembrano curarsene più di tanto, … ”It’s only Rock’n’roll baby, and I like it!”
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