Still Alice Richard Glatzer, Wash Westmoreland
Alice Howland è un’affermata linguista della Columbia University, ha una vita professionale e affettiva di successo alla soglia dei suoi cinquant’anni. Tre figli perfetti, un marito adorabile. Il film comincia la sera del suo compleanno, al ristorante. Dopo solo pochi secondi eccoci all’interno della sua storia, seduti al suo tavolo accanto al suo sorriso e alla sua bellezza, e ci sentiamo parte della sua famiglia. "Still Alice" racconta una vita al suo "scollinamento"; Alice vede scivolare tra le sue dita, le parole, poi le facce e i luoghi, infine le persone, senza la possibilità di poterli riafferrare. Giorno dopo giorno la vediamo perdersi nel suo labirinto fino ad abitarlo completamente con l’unico filo sottile che può riportarla verso l’uscita. L'amore della sua famiglia. Anche in questa stagione, la cinematografia americana ci regala un film che affronta una malattia, ma questa volta l’approccio è diverso: Still Alice è un film intenso, semplice e per nulla retorico, e fedelissimo al libro di Lisa Genova.
I due registi inglesi Richard Glatzer e Wash Westmoreland non cercano mai la scena ad effetto, raccontano la malattia con grande delicatezza, demandando spesso alla regia il compito di raccontare il senso di disorientamento che l’alzheimer può infliggere alle sue vittime (straordinaria la scena della Moore che fa jogging). La Moore al suo sessantesimo film ha la possibilità di coronare una splendida carriera, lei, una grande attrice e non una star, una carriera lenta ma con una crescita graduale, senza passi falsi. Dopo la Coppa Volpi vinta a Venezia, un Orso D’argento a Berlino, una Palma d’oro a Cannes e un Golden Globe appena vinto a mani basse si candida per la sua prima statuetta Hollywodiana. Accanto a lei un bravo e consumato Alec Baldwin (diventato bravissimo dai cinquant'anni in poi ) e una Kristen Stewart finalmente libera dalla saga di "Twilight".
Quella che vi accompagnerà durante il film sarà una commozione continua e inarrestabile, vi ritroverete sicuramente di fronte a un film diverso da quello che avete immaginato, perché l’alzheimer è una malattia che non si racconta aggiungendo, ma sottraendo. La paura di perdere quello che abbiamo è il maggiore dei nostri timori, la paura di non poter conservare quello che abbiamo imparato, conquistato e conosciuto. La poetessa Elisabeth Bishop dice che l'arte di perdere non è difficile da imparare, perdi qualcosa ogni giorno. Perdi in fretta luoghi e nomi e destinazioni verso cui volevi viaggiare. E ancor di più, perdi reami che possedevi, fiumi e continenti, fino a perdere l'amore. Ed è proprio la parola "Amore" a chiudere l'ultima scena di questo film da non "perdere" assolutamente.
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