Janis Amy J.Berg
Uscita Italiana: 8 Ottobre 2015 - Durata 115' - Distribuzione: I Wonder Pictures - Genere: Biografico, Documentario, Musicale
Realizzare un buon documentario rock è sempre una cosa complicata. Soprattutto quando ci sono di mezzo personaggi celebri e mitizzati come la texana Janis Joplin. Il film realizzato da Amy J.Berg, nata solo 9 giorni dopo la morte di Janis, il 13 Ottobre 1970 (!), esce a breve distanza da quelli su Amy Winehouse e Jimi Hendrix quasi ad esaurire i tributi ai famosi appartenti al club dei 27. Molto prima di questi, nel 1991, era uscito il discutibile tributo a Jim Morrison da parte di Oliver Stone con il suo "The Doors". Lo schema usato per queste pellicole è in fondo molto semplice e spesso similare.
Si chiamano a raccolta familiari, amici, compagni di scuola, musicisti sopravvissuti, si sottopongono a brevi interviste e testimonianze, si aggiungono rare foto d'archivio, filmati non sempre inediti e spesso già circolanti in rete, si intreccia ed incolla il tutto come in un gigantesco cocktail e come per magia abbiamo il film già pronto per la distribuzione per le sale. Lo schema usato in questo "Janis" non diverge di molto da queste coordinate. Nella versione originale la regista Amy J.Berg ha scelto Chan Marshall (Cat Power) come voce narrante, quando Janis Joplin legge le sue frequenti lettere ai genitori. Decisamente consigliata in luogo di quella italiana dove abbiamo Gianna Nannini che pur facendo del suo meglio non riesce a rendere con lo stesso pathos della Marshall l'intensità della voce della texana.
Per chi non ha letto biografie o libri sulla vita della sfortunata e favolosa Joplin il film sarà una sorpresa e nasconderà più di una amara verità. Non tutti forse sono a conoscenza che in gioventù la ragazza veniva derisa ed umiliata dai compagni di classe, con atti a dir poco spregevoli al limite del bullismo vero e proprio. Addirittura molti di loro la votarono ad un concorso come il ragazzo più brutto della scuola (!). Bastò ampiamente questo episodio per decidere di abbandonare la città natia, Port Arthur e cercare gloria e soddisfazioni in California, la terra dove negli anni sessanta tutto era possibile e nella quale chiunque poteva liberare la propria creatività. Viene fuori che Janis quasi per caso si rese conto di avere quella voce incredibile, che non sempre riusciva a controllare, tanto che i folk club dove si esibiva quando era ventenne le stavano decisamente stretti. L'incontro fondamentale con i Big Brother & the Holding Company, in quel di San Francisco, rappresentò la svolta della carriera insieme ad una memorabile esibizione al Festival di Monterey nel 1967.
Il resto è storia nota, ci aggiungiamo i vari flirt a lei attributi, con Ron Pig Pen dei Grateful Dead, al grande Country Joe McDonald dei Fish, ed altre storielle non si sa quanto veritiere (pure Jim Morrison si era invaghito di lei). Ma quello che il film della Berg sottolinea a più riprese è il fatto che la cantante era il più delle volte sola, in preda a solitudine e crisi umorali. Voleva diventare famosa, avere macchine belle (coma la sua famosa Porsche psichedelica), vestirsi come gli artisti più in voga, vedere le sue foto su giornali e riviste per mostrarle anche a chi l'aveva sempre derisa. Questo il film della Berg ce lo spiega sufficientemente bene. Purtroppo quella dei sixties era l'epoca delle droghe, eroina in primis ma pure acidi che giravano a profusione, soprattutto nell'ambiente musicale.
Si può quindi ben dire che più che boy-friend o spasimanti sono state le droghe pesanti, unite a grosse quantità di alcool gli abituali compagni d'avventura della Joplin. Un modo per cercare di superare queste crisi d'identità come sentimenti di inferiorità solo in parte mitigate dal successo che fece di lei una delle più grandi rockstar al femminile di sempre. Sintomatiche alcune testimonianze come quella di un incontro con Bob Dylan al quale la giovane Janis, appena agli inizi di carriera si rivolse così: "un giorno diverrò famosa come te" o quella di un musicista della Kozmic Blues Band che quando la sentì per la prima volta non riusciva a capacitarsi che quella non era una cantante nera. Interessante osservarla quando canta attorniata dai Grateful Dead al completo con Jerry Garcia che confessa di averla sempre amata o quando registra Summertime in studio.
La Joplin stessa confessa che insieme a Odetta, Bessie Smith ed Aretha Franklin era il grande Otis Redding il suo vero amore, dal quale imparò molte movenze del suo repertorio. Quello che fa difetto a questo documentario è lo stesso di simili iniziative, ovvero la ridotta percentuale musica. Sembra incredibile che in quasi due ore di proiezione non ci venga mai fatto ascoltare o mostrato una canzone integralmente, senza che questa venga fastidiosamente interrotta dai fitti interventi e testimonianze delle persone a lei legate. Certo questi video sono già noti a molti ma sul grande schermo è sempre una grande emozione vedere Janis Joplin che ci delizia con Summertime o Ball & Chain. Non che gli interventi dei due fratelli minori siano di scarso interesse sia chiaro, così come quelli degli ex Big Brother, del Dead Bob Weir o dello stesso Joe McDonald ma il tutto poteva entrare lo stesso nella narrazione della vicenda Joplin. Del resto un film per quanto ben realizzato non potrà mai rendere bene l'idea quanto una biografia completa su di una artista dalla vita così travagliata anche se dalla brevità artistica incredibile (1967-1970).
Quello che si chiede il fine estimatore musicale, diverso dal fan sfegatato, è quali magie Janis Joplin avrebbe potuto regalarci se avesse avuto una backing band con i fiocchi alle spalle in luogo dei suoi vari gruppi, Big Brother in testa, suoi grandi amici e pure simpatici, ma, come dice nel film Albert Grossman, piuttosto scarsi e non degni di supportare la grande cantante texana. Ma la Joplin stessa viene definita negli interventi di alcuni musicisti intervistati "leader delle sue band ma incapace di guidarle sufficientemente bene". E qui ritorna la sua insicurezza di base. Poco ci racconta questa pellicola riguardo alla sua prematura scomparsa avvenuta in un motel di Hollywood il 4 ottobre 1970, morte tutt'ora avvolta da un fitto e irrisolvibile mistero.
Un film che si lascia vedere e che emoziona a tratti, ma non certo il modo migliore per testimoniare la bella eredità artistica che Janis ci ha lasciato. Per quello ci sono i dischi, tutti quelli ufficiali, "Cheap Trills" soprattutto, ma ovviamente anche "Pearl" ed alcuni straordinari live usciti postumi, "Live at Winterland 1968" e "Live at the Carousel Ballroom 1968". Se siete a completamente a digiuno della vicenda Joplin diremmo che questi sono i primi passi da muovere. Questo interessante Janis, è un documentario non certo straordinario e definitivo, ma quantomeno colma un clamoroso vuoto cinematografico che durava da oltre 40 anni, dall'ottimo "Janis" (1974), del canadese Howard Alk (assisitito dal solito Albert Grossman), su una delle più straordinarie voci bianche di sempre.
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