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11 Dicembre 2015 , , ,

Joy Division Una lezione sull’ombra

2015

                             I N T R Ojoy division

 

Approntare un profilo monografico sui Joy Division, non è semplice. Non tanto per l’eccessiva complessità della loro musica o per gli intrecci socio-antropologici contemplati nella loro poetica, quanto perché in tanti ne hanno discettato, forse troppi, e senza cogliere, talvolta, la mera peculiarità del messaggio concettuale dei Nostri né la portata cosmicamente tragica della loro presenza sulle scene musicali di quegli anni. Troppo concentrati, evidentemente, e ai fini di vieti refrains giornalistici, a uso e consumo di certo voyeurismo da sindrome post-mortem, sul suicidio di Ian Curtis, a tal punto da trascurare il dato essenziale del passaggio sulla scena rock dei ragazzi inglesi: la loro musica. I Joy Division sono il frutto della sconfitta di Joy 11un’intera generazione, inquadrati in un contesto di profondi cambiamenti nella struttura della società, europea ma in specie britannica, che tendeva già alla rivolta punk e al tentativo di scardinare attraverso un concetto estremo di proposta artistica le basi stesse di quell’ordinamento sociale.

L’insegnamento che hanno trasmesso, al di là del livello squisitamente tecnico delle loro esecuzioni, è che l’arte, la musica, quella vera, non può mai prescindere da un profondo sentimento del tragico, non è ricerca di consensi, di successi, di captatio benevolentiae, e non ha mai funzione autoconsolatoria, autoassolutoria, ma è coinvolgimento totale e irrimediabile di ogni energia vitale, spendita di sé e di ciò che di più segreto dorme nel nucleo più nascosto dell’essere. In questo senso, la musica dei Joy Division è miticamente tragica, e in ciò riposa la loro inscalfibile grandezza.

 

Dalle parti di Manchester

 

warsaw-the-leaders-of-men_LRGIn principio sono i Warsaw, non prima di un passaggio nominale come Stiff Kittens, sull’asse Salford/Macclesfield, località ai margini di Manchester. Siamo nel 1977, anno seminale nella storia del rock planetario, ebbro di contorsioni e urla ferine di matrice punk: Sex Pistols, Buzzcocks, Ultravox! (quelli col punto esclamativo, ancora, e soprattutto sotto l’egida fulgida di John Foxx), Stranglers, i formidabili Clash… Nella primavera dell’anno fausto in questione si esibiscono sul palco dell’Electric Circus di Manchester, quattro ragazzi sconosciuti sotto l’usbergo del nome Warsaw, per l’appunto, mutuato pari pari dal brano Warszawa del Duca Bianco David Bowie, contenuto nel mirifico “Low”. 

I giovani virgulti sono: Peter Hook, al basso; Bernard Sumner (alias Albrecht, alias Dicken), alla chitarra; Tony Tabac, alla batteria; un certo… Ian Curtis da Macclesfield, alla voce. Non certo una prova rimarchevole, ancora troppo acerbi, derivativi, troppo legati a schemi punk stereotipati e impersonali.

La stoffa c’è, tuttavia, e se ne accorge Paul Morley, inviato di New Musical Express, che, pur ravvisandone una certa acerbità d’approccio musicale, ne rileva le potenzialità future. Il batterista Tabac lascia il gruppo per problemi di salute, e viene cooptato Steve Brotherdale, che però dopo alcuni concerti vira verso i più noti Panik, lasciando vacante il ruolo di batterista. Un amico e concittadino di Curtis, Steve Morris, Short_Circuit_-_LATECviene infine ingaggiato dai Warsaw. Questa sarà la line-up classica anche dei Joy Division. Intanto, più volte viene cullata l’idea di incidere un Ep, cosa che per problemi di vario genere, tra cui, occorre dirlo, la qualità ancora mediocre del gruppo, non avrà compimento. L’unico passaggio su supporto fonografico ufficiale dei Warsaw, finora, è costituito da un brano, At A Later Date, inserito in un mini lp live antologico, "Shot Circuit, Live At The Electric Circus", uscito nel 1978 a cura della Virgin, per sostenere economicamente l'omonimo punk live club di Manchester, ormai sull’orlo del fallimento e a rischio di chiusura. Brano che non lascia traccia alcuna, sul piano qualitativo.

Fanno parlare di sé, invece, i Nostri, a proposito di talune presunte simpatie filo-naziste (cosa insussistente e definitivamente fugata, in seguito), originatesi da alcune dichiarazioni durante i concerti del gruppo da parte di Ian Curtis, in relazione al gerarca Rudolph Hess, di ambigua interpretazione. Joy 4Nel dicembre del 1977, i Nostri licenziano per la Pennine un Ep, “An Ideal For Living”, che contempla quattro brani: Warsaw, No Love Lost, Leaders Of Men, Failures. Il suono è ancora grezzo, sebbene dotato di una certa energia e corredato da ottimi testi, tuttavia ancora troppo poco originale; le tracce suonano come fossero la copia di quelli di gruppi più noti e già affermati, un punk di maniera senza grandi picchi di qualità e distinzione. I Warsaw, dopo un certo apprendistato, duro e insoddisfacente, s’apprestano, tuttavia, a mutare il corso della storia, loro e di quella della musica rock degli anni a venire. La crisalide sta per tramutarsi in farfalla, una farfalla dalle ali nere protese verso la leggenda.

 

La Divisione della Gioia: nascita di un mito

 

normal_joy_divisionAlla fine del 1977, il gruppo heavy metal londinese Warsaw Pakt, con l’album “Needle Time”, era balzato in vetta alle classifiche d’ascolto, nel Regno Unito, ragion per cui, al fine di evitare d’essere travolti da pericolose insidie di omonimia musicale, i nostri Warsaw sono costretti a mutare nome. Un curioso romanzo dell’ebreo polacco Ka-Tzetnik 135633, numero di matricola tatuato sull’avambraccio degli ebrei deportati nei lager nazisti, “House Of Dolls”, fornisce lo spunto per la nuova titolazione della band. Nel romanzo si narra la storia di una giovanissima ebrea, Daniella, che viene prelevata dal ghetto di Varsavia, dalle squadracce naziste, e condotta in un campo di lavoro, presto tramutatosi in bordello ad uso dei gerarchi delle SS e chiamato provocatoriamente “Divisione della gioia”, Joy Division, per l’appunto. Ecco il nuovo nome del gruppo, non senza polemiche degli organi di stampa, viste le precedenti accuse di filo-nazismo in capo ai ragazzi mancuniani. Il dado è tratto, tuttavia, e i Nostri iniziano un’intensa stagione di concerti dal vivo che li porterà in breve tempo a esser notati non solo da schiere di nuovi proseliti ma anche e soprattutto Joy 6da critici musicali e operatori discografici. Rob Gretton, influente critico musicale del New Musical Express, ne diviene addirittura il manager.

Così come Tony Wilson, in seguito fondatore della Factory Records, benemerita etichetta indie per la quale incideranno usque ad finem i Division, dalle antenne di Granada Tv li esalta come uno dei migliori gruppi emergenti in Gran Bretagna. I Joy Division sono maturati moltissimo dai Joy 8tempi dell’esordio a nome Warsaw. Il suono è più consapevole e meno derivativo, più cupo, meno legato tout-court agli stilemi del punk più ortodosso, pregno di riflessi oscuri e venato da brividi di sottile elettronica. I testi, poi, di Ian, sono vieppiù intensi, segnati dalla poetica della fine imminente, dallo spleen più irrimediabile, dalla perdita di speranza complessiva. Colpiscono come un pugno nello stomaco e rappresentano icasticamente la condizione di una generazione intera tagliata fuori da ogni possibilità di futuro. E’ iniziata, senza che ancora nemmeno i quattro ragazzi inglesi lo sappiano, la leggenda dei Joy Division.

 

Nella terra dei “Piaceri Sconosciuti”.

 

Peter Saville è un disegnatore creativo e geniale, tra le mille prove di copertina per il primo album dei Joy Division, il fido designer della Factory opta per l’immagine che a giusto titolo è entrata nella leggenda visiva della storia del rock: il grafico stilizzato di una stella nell’atto di collassare. “Unknown Pleasures”.  Facciamo, però, un passo indietro. Dopo la ben poco esaltante prova discografica con l’Ep “An Ideal For Living”, anche o9778nella versione rivisitata, i Joy Division hanno l’onore di essere ospitati nella mirifica trasmissione della BBC, Radio One, diretta dal leggendario John Peel, e di suonare molti dei pezzi che poi finiranno nel loro primo Lp. Uscirà in seguito il disco di questa formidabile session, da cui s’evince incontrovertibilmente il nuovo corso della band, con un suono nettamente superiore e più maturo rispetto al periodo Warsaw. Ottengono, quindi, un contratto con la Factory per l’incisione del loro primo album sulla lunga distanza. Nel frattempo, i concerti reiterati del gruppo se contribuiscono a gettar luce sul talento dei quattro di Manchester, fanno emergere un problema di portata assai seria che avrà riflessi sull’intensa quanto breve carriera dei Nostri: l’epilessia di Ian Curtis, i cui attacchi virulenti, oltre a minarne in maniera significativa la salute dal punto di vista psico-fisico, ne condizionano anche le esibizioni sul palco, quando nel bel mezzo di un concerto lo si vede non di rado stramazzare al suolo in preda a violente quanto spaventose convulsioni. Un tentativo di primo Lp, invero, v’era già stato, quando ai ragazzi inglesi era stato fatto firmare un contratto-capestro dalla RCA, con royalties bassissime e percentuali risibili per le eventuali vendite. Accordo che, dopo infinite difficoltà burocratiche, era stato rescisso, in ragione del pagamento di qualche centinaio di sterline in capo al gruppo.

Unknown Pleasures”, dunque, luglio 1979.  Nasce qui uno dei più potenti dischi della storia del rock. Il suono finalmente maturo, spogliato delle ingenuità precedenti, dietro la mirabile regia di Martin Hannett, sonorità oscure come un cielo invernale, crepe rosso-sangue sui muri della disperazione umana disegnata dall’uso degli strumenti come su sudari di nubi in disfacimento, i testi genialmente funerei di Ian che martellano sul tappeto marcescente delle sinapsi, arse da un doloroso fuoco nero. La batteria fuori-sincrono di Disorder ad aprire il lato A, Outside, dà subito l’impronta riconoscibile del nuovo stile dei Nostri: la voce Joy 7di Curtis è affilata e potente, ma profonda e cupa a un tempo, il basso pulsante di Hook sembra provenire da avernali profondità, e la chitarra di Sumner taglia le carni del suono come con lame d’acciaio. Day Of The Lords, arde sul piatto come una fiamma oscura, una nenia in chiave rock proveniente dai regni del più puro nichilismo. Candidate è un soffio di alienazione e deserto interiore, una cantilena mortale e sincopata, punteggiata dalla voce sfinita ma catacombale di Ian Curtis: “Ho lottato per nulla, ho lavorato duramente per questo, ho tentato di avvicinarmi a voi. Mi trattate così…”. C’è già tutta la filosofia dei perdenti, la nullità di ogni sforzo dinanzi all’ineluttabile scacco. Insight, rivisitata rispetto alla versione eseguita dinanzi a John Peel, col suo basso potente, la batteria che batte il ritmo di un cuore agonizzante, la voce di Curtis che racconta dell’ennesima sconfitta esistenziale, risalta formidabilmente. Una perla superba, tra le altre, è poi la sepolcrale New Dawn Joy 10Fades che chiude il primo lato del vinile, una camminata ai margini del vuoto, con la voce di Ian contrappuntata dal fuoco liquido della chitarra che intesse inni mortiferi alle divinità delle tenebre: “Ho preso io la colpa, senza direzione, così semplice da vedere”.

Il lato B, Inside, s’inaugura con la robotica She’s Lost Control, dal punto di vista meramente ritmico forse la canzone più semplice del disco, godibile e melodicamente virante verso un techno-pop d’indubbio impatto. “Nel gioco d’ombra, inscenando la tua morte, sapendo più cose / poiché gli assassini erano tutti schierati in quattro linee, ballando sul pavimento e con gelido acciaio / l’odore dei loro corpi… / feci un movimento per realizzare. Riuscii solo a stupirmi / mentre tutti andavano via /  ho fatto ogni cosa, tutto quel che volevo /  ho permesso che ti usassero per i loro fini /  al centro della città /  nella notte /  aspettando te”. E’ la filastrocca tenebrosa di Shadowplay, cronistoria immaginifica di uno stupro, narrazione della violenza che si riconnette a quel “Casa delle Bambole”, nel romanzo già citato di Ka-Tzetnik 13563, storia di schiavitù sessuale ai danni di ragazze ebree nei lager Joy 9nazisti. Chitarra in distorsione e batteria fuori tempo, voce imbevuta di strati di nero bitume, sono le caratteristiche salienti della magistrale e ruvida torsione sonora di Wilderness, mentre, dopo l’inserto punk di Interzone, la conclusiva I Remember Nothing suona quasi come un’eco di remote ascendenze psichedeliche, tra Doors e Grateful Dead, tanto deliquescente è lo svolgersi del nastro sonoro, pregno di effetti nebulosi e torpidità sensoriali: “Eravamo degli estranei /  degli estranei / per troppo tempo lontani / lontani troppo a lungo / eravamo degli estranei violenti / troppo a lungo / siamo sempre troppo fragili / abbiamo solo  sprecato tempo / io nel mio mondo / sì, tu lì vicino / gli intervalli di un solo istante / eravamo da ogni parte / eravamo estranei l’uno all’altro / lontani per troppo tempo”.  Così si chiude, con un sigillo di marmo funerario, uno dei dischi d’esordio più potenti e profondi della storia del rock, frammento imprescindibile di grandezza inaudita e pietra miliare per le generazioni future.

 

Canti del Nulla

 

Il successo inopinato di Unknown Pleasures mette in chiara difficoltà la stessa etichetta discografica, la Factory, le diecimila copie stampate vanno celermente esaurite e deve trascorrere parecchio tempo ancora prima che esse possano essere ristampate. Sull’onda del successo dell’Lp, i Joy Division incidono due nuovi singoli: Transmission e Atmosphere. Continua, frattanto, con una qual certa frenesia, l’attività joy-division-dvd-here-are-the-young-men-d819concertistica della band. In particolare, i due concerti dell’Apollo Theatre di Londra del 27 e 28 ottobre, registrati da Richard Boon, verranno nel 1982 inseriti nella videocassetta ufficiale della Factory, “Here Are The Young Men”, curata dalla Ikon, per ricordare la formazione, a quel tempo ormai disciolta. Sono immagini povere, sfuocate, con una resa qualitativa pessima, e, dal punto di vista eminentemente musicale, contemplano delle esibizioni dei Division alquanto scadenti. Il merito di questo supporto filmico, però, è dato dal fatto che rappresenta uno dei pochissimi momenti in cui la band è stata immortalata dal vivo. In specie, fanno impressione la teoria di movimenti obliqui e la famigerata danza “epilettica” di Ian, spettrale presenza imbevuta di sinistra luce, sul palco. A tal proposito, la salute del Nostro peggiora vieppiù: sempre più frequenti gli attacchi del male durante i concerti; sempre più cupa la sua personale discesa agli inferi, con cosmiche appendici loveapart7depressive, in ragione anche del fatto che i rapporti con la moglie Deborah s’incrinano via via, fino all’inevitabile spettro della separazione. Nei discorsi con gli amici, Ian fa sempre più riferimento al suicidio come momento catartico e liberatorio. Tuttavia, anche in questi delicati, talora drammatici, frangenti l’attività del gruppo procede spedita. Nell’aprile del 1980 viene inciso un nuovo singolo, dapprima in versione 7’’, successivamente in 12’’, “Love Will Tear Us Apart”.  Uscirà postumo, dopo la morte di Curtis. Proprio il brano omonimo, rappresenta quasi il presagio del dramma umano che si sarebbe consumato di lì a poco, sua prefigurazione e prodromo.

 

La Caduta dell’angelo silente

 

Quando la routine diventa pesante e le ambizioni finiscono/ e il risentimento diventa sempre più grande ma le emozioni non crescono più / e stiamo mutando le nostre abitudini / imboccando strade diverse / allora l’amore ci separerà ancora/. Perché il letto è così gelido quando sei voltata dall’altra parte? / E’ sbagliato il mio tempo / o il rispetto reciproco si sta inaridendo? / Eppure c’è ancora quest’attrazione che abbiamo nutrito Joy 15lungo la nostra vita. / L’amore / l’amore ci separerà ancora. / Stai urlando nel sonno tutti i fallimenti che ti ho confessato? / C’è un sapore nella bocca / quando giunge la disperazione…/  E’ qualcosa di così buono / Non può proprio funzionare più? / Quando l’amore / l’amore ci separerà ancora”. E’ impressionante come il testo composto da Ian Curtis, su una base di un brano di pura matrice techno-rock, si prefiguri, oltre che come la testimonianza dell’amore finito con la moglie, quale il manifesto programmatico della sua fine. Rob Gretton accetta di far svolgere ai Joy Division un lungo tour estivo in America, insieme ai Buzzcocks. Nel frattempo, i Joy Division avevano lavorato al secondo album, “Closer”.

Inciso nel marzo del 1980, il disco uscirà solo dopo il suicidio di Ian Curtis. In copertina, una foto di Bernard Wolff che ritraeJoy 18 un sepolcro monumentale, con al sommo una  statua in marmo raffigurante un angelo piegato sulla lastra tombale, presente nel cimitero di Staglieno, Genova. Ogni cosa lascia presupporre la tragica fine del leader e supremo mentore della band. All’alba del 18 maggio del 1980, il corpo senza vita di Ian Curtis viene rinvenuto dalla moglie Deborah Woodruff.  Ian si era impiccato nella notte, aveva deciso di imboccare, in silenzio e in totale solitudine, il sentiero oscuro che solo è destinato agli angeli maledetti e segnati ineluttabilmente dal genio impietoso dell’autodistruzione. Aveva appena ventitré anni. La tomba di Ian Curtis, nel cimitero di Macclesfield, con incise la data della sua morte e le parole “Love Will Tear Us Apart”, è meta da allora d’incessante pellegrinaggio da ogni parte del mondo, come soltanto è riservato agli arcangeli caduti del rock.

 

Il sonoro frullo d’ali della fine: "Closer"

 

Joy_Division_CloserCloservede la luce, la luce nera del tempo funerario di Ian, in un’atmosfera di prevedibile lutto. E’ un disco colmo di presagi, di indizi, di sfumature preconizzanti la tragedia, una tragedia che scorre come un fiume carsico sotto ogni singolo solco. Come disco, qualitativamente disquisendo, è certamente inferiore a “Unknown Pleasure”, meno fresco in quanto a creatività, più pesante nella concettualità testuale, meno fluido nelle trame armoniche, ma è un grande disco. Atrocity Exhibition  immette nel tessuto dell’album, come traccia iniziale, violente quanto oblique scariche di chitarra, il suono è un pastiche di punk sincopato e rock industriale. Isolation  è una danza ipnotica ai bordi dell’abisso, si sente la mano pesante di Martin Hannett in quanto a spruzzi di elettronica matrice. “Isolamento , isolamento, isolamento / madre, ho provato / sto facendo il meglio che mi è possibile / mi vergogno delle cose che fatto / mi vergogno di quello che sono”.

Passover immerge ineluttabilmente in un'image_bookatmosfera inferma, ebbra di miasmi mefitici, l’aria si fa irrespirabile, colma di cupi afrori, la voce di Ian è un lamento saliente dal regno dei morti con l’accompagnamento del suono funebre della chitarra di Sumner. “Questa è la crisi che sapevo sarebbe giunta / distruggendo l’equilibrio cui ero arrivato / (…)… Come posso andare avanti con questa riserva di difese? / Disturbando e svuotando la mia mente? / Tengo il conto dei miei debiti / quando ogni cosa è stata detta e fatta / so che perderò sempre”.  Colony recupera stilemi di mera ascendenza punk, con la chitarra che graffia potentemente, la voce di Curtis che ascende a vette di inusitata ruvidezza, il basso ossessivo, il rullo della batteria come proveniente dal sottosuolo. A Means To An End fa parte di quel gruppo di brani cheJoy 14bordeggia il suono plasticamente punk delle origini, a creare quasi uno stacco dalla materia drammatica delle tracce più cupe e disperate, dirupanti persino nel paradigma delle nenie funebri e coperte di sudari d’impressionante impatto poetico. Come, ad esempio, Heart And Soul, che apre la seconda parte del disco, disperata e vertiginosa discesa nei meandri infernali del cuore umano. “L’esistenza, cosa vuol dire? / Vivo nel miglior modo che posso / Il passato è adesso parte del mio futuro / Il presente è irraggiungibile, irraggiungibile. / Cuore e anima, uno arderà, uno arderà, arderà / Cuore e anima, uno arderà/.

Da questo punto in poi l’album visualizza come in un grafico di morte la discesa ctonia di Ian Curtis, la sua irrimediabile caduta negli abissi della desolazione umana. Twenty-Four Hours, corredata dall’incedere lento e solenne della sezione ritmica, solo di rado sommosso dall’impennarsi del tono chitarristico, fa da sfondo al lamento funebre di Ian : “Ho guardato al di là del presente / non c’è assolutamente niente ". La messa cantata nei toni del nero universale che è contemplata nella terribile ma stupenda The Eternal è come Joy 13un dolce viatico verso il finire della luce. Un crepuscolo ancora ebbro dei riflessi del giorno che sfuma sempre più, per scale d’arcobaleni infranti, verso il manto mortale della tenebra. Decades  è il canto finale del cigno che, sconfitto dalle ragioni del mondo, salpa per le regioni paurose del morire. “ Ecco i giovani uomini, un peso sulle loro spalle / ecco i giovani uomini, dove sono stati? / Abbiamo bussato alle porte delle camere più oscure dell’Inferno / Spinti al limite, ci siamo trascinati a stento, dinanzi alle quinte dove si rifacevano le scene / Ci vedevamo come non ci eravamo mai visti / Il ritratto dei traumi e della degenerazione / le sofferenze che avevamo provato / e di cui non ci eravamo mai liberati”. Dalle sacre ceneri dei Joy Division, a cura dei membri superstiti, nascerà l’avventura dei New Order: ma questa è un’altra storia, fiorita ai margini dell’asfodelico pianto dei morti che ancora invocano dall’ombra.         [R.S.]  

 

    

 

Bibliografia - Cosa puoi cercare e leggere su Ian Curtis e Joy Division  (a cura di Pasquale Wally Boffoli)

 

FromTheCenterMartin Drichel: "Shadowplay - The Story of Joy Division" (1988, Germania, ReadyMade Publishing)

 

* Alfredo Suatoni: "Joy Division: Dal cuore della città"  (1990, Stampa Alternativa, con allegato un 7"/CDS da un Warsaw Demo)

 

* Deborah Curtis: "Così vicino, così lontano. La storia di Ian Curtis e dei Joy Division (Touching from a distance - Ian Curtis And Joy Division"  (1996, Giunti editore) 

 

joy-225x300Marco Broll:  "Joy Division: All The Lyrics" (1997, Stampa Alternativa, con allegato CD con 4 brani (You're are no good for me, Komakino, Incubation #1, Incubation #2))

 

Mick Middles e Lindsay Reade: "Ian Curtis - La vita e i Joy Division" (The Life of Ian Curtis Torn Apart) (2011, Odoya/Cult Music) 

 

Alessandro Angeli: "Transmission: Vita, morte e visioni di Ian Curtis, Joy Division (2014, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri/Grande Sconcerto)  

 

 

Rocco Sapuppo

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