Antonio Pagliaro Il bacio della bielorussa
«La prima volta che ammazzai avevo diciassette anni e non ero stato ancora combinato.
Fu don Turi a farmi chiamare.
Don Turi Chiarenza è un pezzo da novanta, venerato da tutti perché è persona di cuore e grande senso di giustizia. E' uomo generoso che aiuta ai bisognosi, protegge ai deboli e punisce a chi non ha educazione.
Don Turi è di Resuttana, il quartiere dove sono nato e cresciuto io, è potente come domeneddio e tutti ci portano rispetto. Dicono che è amico di onorevoli e ministri. Io non la posso dire questa cosa, però posso dire che tante volte ho visto macchine importanti coi vetri scuri fermarsi davanti a casa sua, e scendere persone che prima avevo visto solo nella televisione.
Certo che essere chiamati da lui un grande onore fu.»
Di Antonio Pagliaro abbiamo già parlato in occasione del suo precedente libro La notte del gatto nero, a nostro avviso uno dei noir più originali e interessanti del panorama italiano, da quel libro veniva fuori una visione molto cupa e pessimistica della società italiana e siciliana in particolare, una vicenda nella quale alla fine non si salvava nessuno, tutti irrretiti in un vortice di violenza scatenato dal male che pervade la vita sociale. Un male non metafisico, ma prodotto dalla corruzione, dall'avidità, dalla violenza del potere, e che ritorna protagonista di questo nuovo lavoro uscito anch'esso per l'editore Guanda. La struttura di questo thriller ad alta tensione è complessa, divisa su due scenari diversi, la piovosa, grigia Utrecht e la solare, caotica Palermo, e con due piani narrativi, il primo narrato in terza persona e il secondo in prima dal killer della mafia Franz La Fata. Ma soprattutto Pagliaro rinuncia a un protagonista, i personaggi che volta in volta appaiono e sembrano svolgere un ruolo centrale finiscono poi per scomparire, o a curarsi le ferite di un attentato, o inghiottiti e impossibilitati a risolvere il caso o invischiati nella meschinità della propria vita personale, come accade al commisssario Alberto Chiaramonte. Scelta non facile, quella di rinunciare al protagonista/risolutore che grazie alla sua abilità rimette infine le cose al loro posto, ma coerente con una visione sfiduciata e negativa della giustizia presente nell'opera del giallista palermitano. Ma la scrittura di Pagliaro, rapida essenziale, asciutta, esente da qualunque retorica e abilissima nella costruzione dei dialoghi, si sente la lezioni del grande noir americano, ne rende la lettura appassionante e rapida come si conviene al genere.
Il plot prende le mosse dal ritrovamento di due cadaveri in un canale di Utrecht, un duplice omicidio le cui indagini sono affidate all'ispettore John Paul van den Bovenkamp, sul quale il plumbeo cielo olandese ha impresso le stimmate della malinconia, mentre dalla madre ha ereditato la passione per i Beatles e il doppio nome di battesimo. Con pazienza e metodicità scoprirà che i morti ammazzati sono due fratelli palermitani, titolari di una non proprio florida agenzia investigativa, a questo punto si rende necessaria la collaborazione con le autorità palermitane, l'intreccio però si infittisce coinvolgendo autorità politiche, mafia, massoneria, una fitta rete di compiacenze dedite ad affari poco puliti e a pratiche criminali, uomini così potenti da riuscire a bloccare il lavoro investigativo quando questo mette in pericolo l'organizzazione. Lo scenario si sposta così a Palermo dove spicca la figura del già citato Franz, arruolato giovanissimo come killer dalla mafia, il suo racconto in prima persona è un viaggio nella sua mente, ne seguiamo i ragionamenti, la logica implacabile, il freddo raziocinio, una carriera condotta con lucidità nel mondo del crimine fino a che non commetterà il primo errore della sua lunga carriera, innamorarsi della bella scrittrice Gaia («Prima che mi innamoro io si devono asciugare le balate della Vucciria...Questa femmina mi fa diventare un minchia. Io sono un soldato, non posso innamorarmi mai. E' semplice, semplice.»). Non riveliamo altro, sappiate solo che la rete sembra avvolgere implacabile e ineluttabile ogni angolo della città, ma neanche l'Olanda ne è immune, nulla sfugge ai tentacoli della piovra, gli uomini e le donne sono schiacciati, impotenti di fronte alla rete di complicità e connessioni criminali, non c'è posto per solitari Robin Hood, non c'è posto per la speranza. La scrittura di Pagliaro è rapida essenziale, asciutta, dura quando serve, esente da qualunque retorica e abilissima nella costruzione dei dialoghi, si sente la lezioni del grande noir americano. Non c'è spazio per la consolazione nella lucida e brillante scrittura di Antonio Pagliaro, e ne rimane ben poco anche nella realtà.
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