Patti Smith BANGA
[Uscita: 05/06/2012]
#Consigliato da DISTORSIONI
Patti Smith è entrata in studio cinque anni dopo l’album di cover “Twelve” ed otto dopo “Trampin’”, due buoni - non eccelsi – album, che hanno comunque mantenuto acceso il fuoco del suo mito senza problemi. Sì stiamo parlando, lo dico senza esitare, di un'icona vivente, di un’artista che ha visitato attraverso le decadi scorse rimbaud-iane stagioni all’inferno, subìto perdite affettive ripetute senza soccombere ad una - sarebbe stata comprensibile - dannata depressione che avrebbe ucciso chiunque: anzi ne ha portato fieramente le cicatrici e le stimmate, sublimandole nell’anima, in sfaccettati parti artistici, in un ripetuto peregrinare per il mondo. Con “Banga” sono entrati negli Electric Lady Studios di New York City con la Smith molti musicisti suoi fedeli amici di una vita (anzi di tante vite), a ribadire un legame artistico-umano ormai indissolubile: i chitarristi Tom Verlaine e Lenny Kaye (altre due icone viventi!) prima di tutti, Tony Shanahan (bass), Jay Dee Daugherty (drums), Jack Petruzzelli (guitar), il figlio Jackson, la figlia Jesse Paris; appaiono anche la band italiana folk-rock Casa del Vento e Johnny Depp.
Il risultato di questo straordinario, magistrale lavoro d’équipe è un album in cui si stenta davvero a trovare qualcosa di non valido: “Banga” riporta Patti Smith (non esagero) ai vertici di un’introiettata ispirazione spirituale e di una creatività - latitava un po’ nel pur non disprezzabile “Trampin’ " - che con un mood più meditato e marchiato dai mille accadimenti personali ed artistici rinnovano i fasti dei capolavori del Patti Smith Group della seconda metà anni 70 (“Radio Ethiopia” ’76, “Easter” ’78, “Wave” ’79), prima di quel lungo, angoscioso silenzio che sarebbe durato quasi dieci anni. Certo in “Banga” le chitarre tuonanti e l’energia rock allo stato brado di quei lavori seminali si sono sublimate nelle performance sfumate ed avvolgenti di un violino, dei violini, di una fisarmonica, di un clarinetto basso, di un mandocello (Jay Dee Daugherty), che a volte assumono le sembianze di pallidi fantasmi.
Le songs di BANGA
Cartina al tornasole di questo rinnovato splendore sono senz’altro gli oltre dieci minuti di Constantine’s Dream, concepita con Lenny Kaye: raggiunge punte di insperata visionarietà espressiva e strumentale. La Smith vi si produce in un ennesimo saggio del suo carismatico talento poetico improvvisando in studio liriche allucinate sulle visioni mistiche del pittore italiano Piero Della Francesca – suo il quadro che dà il titolo al brano – nel giorno della sua morte. La sua omelia sacro-profana è tradotta in sincrono - discretamente - in italiano per circa un minuto da un membro della Casa del Vento. Una sua antica consuetudine quella di caracollare spudoratamente senza freni attraverso i secoli, con approccio romantico naif tipicamente americano, riesumando figure cardine della cultura e della letteratura europea e americana: “Banga” anzi sembra serializzare una volta di più quest’abitudine inveterata; vi si celebrano – in ordine sparso - in una serie di ballate elettriche incredibilmente ispirate, icone vecchie, vecchissime e nuove: Amy Winehouse (This is the girl), l’attrice Maria Schneider (Maria), Banga, il cane di Ponzio Pilato (!?) nel romanzo di Mikhail Bulgakov' “Il Maestro e Margherita” (la titletrack), il filosofo Seneca (Seneca).
E poi il regista Andrej Arsen'evic Tarkovsky (Tarkovsky -The Second Stop is Jupiter, song costruita su un tema del jazz-cosmopatico Sun Ra, secondo vertice fortemente visionario dell’album), Amerigo Vespucci (Amerigo), Johnny Depp (Nine, dedicata all’attore per il suo compleanno). La commossa Fuji-san è siglata dalla dedica al popolo giapponese vittima di un recente terremoto. Se avete quindi ascoltato solo il single tratto da "Banga", la languida e fascinosa pop-song Aprile Fool, dopo aver letto questa recensione non potrete non aver intuito che è solo la punta di un lavoro-iceberg perfettamente bilanciato tra sobri, profondi rapimenti melodici ed incredibili mesmeriche improvvisazioni in studio. A sigillare il tutto una rispettosa, commovente cover dell’indimenticata After the Gold Rush (Neil Young): si conclude con un commovente coro di bimbi, "… look at Mother Nature on the run in the twenty-first century’'; e poi, infine, l'appendice Just Kids sulle vicende giovanili dell'eroina rock e Robert Mapplethorpe, brano che non è presente sulla versione ufficiale dell'album. Lasciate che il mistico impatto di "Banga" travolga la vostra estate e le sue mille banalità, mi ringrazierete.
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