Gentlemen – Tokyo Tribe – Eau Zoo 32° Torino Film Festival
INTRO
Dalla nostra inviata al 32° Torino Film Festival, Rossana Morriello, qui di seguito, in tempo reale, tre schede critico-informative su altrettanti film visionati.
"GENTLEMEN": regia di Mikael Marcimain
Svezia/Sweden, 2014, HD, 141’, bn/bw-col.
A fine anni ’70 un giovane scrittore in difficoltà economiche, Klas Östergren, incontra Henry Morgan, pugile e pianista jazz, e si trasferisce a casa sua. Comincia quindi a scrivere la sua storia piuttosto misteriosa, dal legame con l’amante di un ricco imprenditore coinvolto in affari poco puliti alle vicende del fratello Leo Morgan, promettente giovane talento che negli anni della contestazione giovanile diventa un ribelle e visionario poeta, tossicodipendente, poi rinchiuso in un ospedale psichiatrico. L’intreccio di "Gentlemen" è abbastanza stereotipato, Henry racconta, Klas scrive e il film si muove su due linee temporali che si intersecano, quella attuale, degli anni ’70 e quella raccontata da Henry e scritta da Klas degli anni ’60, in cui vediamo Leo passare attraverso varie tendenze, sotto lo sguardo pesantemente ironico e disincantato del regista; prima è un mod, poi diventa hippy (ha una band e la sua figura di poeta maledetto cita chiaramente Jim Morrison), per finire negli anni ’70 della disillusione e della tossicodipendenza, come fu realmente per molti. Lo stesso sguardo accompagna i personaggi anche negli anni ’70 quando Henry è alla ricerca di un tesoro nascosto e allo stesso tempo indaga sul misterioso caso Hogarth che ha coinvolto anni addietro un amico dei due fratelli. La trama sarebbe anche, se non particolarmente originale perlomeno interessante, ma il modo in cui il regista costruisce la storia rende il film poco piacevole da seguire: effetti fotografici per rendere le immagini sgranate e vintage, alternanza di colore e bianco e nero, sovrapposizione di piani temporali continua e poco efficace, alternanza serrata con le scene del passato, trama che si interseca continuamente, spesso su se stessa, invece di dipanarsi, atmosfere claustrofobiche, personaggi poco risolti. Insomma, c’è troppo di tutto ciò nel film e il risultato risulta artificioso e pretenzioso. Si aggiunga che la durata è eccessivamente dilatata e che una buona mezz’ora inziale poteva esserci tranquillamente risparmiata.
"TOKYO TRIBE": regia di Sion Sono
Giappone/Japan, 2014, HD, 116’, col.
"Tokyo Tribe" è un musical hip hop, basato sul manga omonimo scritto da Santa Inoue, in cui i dialoghi sono totalmente sostituiti dalle parole delle canzoni che accompagnano tutto il film. Se si superano quasi due ore di musica hip hop ininterrotta (impresa non facile), il film rivela un’identità molto forte e un modo di fare cinema decisamente originale. Immagini cariche al limite del surreale, spesso montate in uno stile tra il videoclip e il videogame, e naturalmente molto vicine al fumetto manga, che proprio per l’eccessiva ricchezza e opulenza trasmettono un senso di decadenza, quasi come un Blade Runner post-moderno, in un accostamento sollecitato anche dalla pioggia costante che accompagna molte delle scene. Il tono del film è ovviamente ironico e provocatorio, come nello stile del regista, con momenti talmente geniali da diventare immediatamente cult, carico (anzi sovraccarico) di sesso, droga e soprattutto violenza, ma risolta in maniera splatter e in stile fumettistico. La storia narrata si svolge in una sola notte nelle strade di Tokyo e racconta degli scontri tra le gang della città, tra le quali primeggia la gang capeggiata da Buppa, personaggio incredibile nella sua depravazione, attorno al quale ruota principalmente la storia. Gli attori non sono professionisti ma ragazzi provenienti realmente dalle strade di Toyo e questo aggiunge un tocco di realismo in un universo completamente surreale, al quale però non manca una morale finale.
"EAU ZOO": regia di Emilie Verhamme
Belgio/Belgium, 2014, HD, 78’, col.
Lou e Martin sono due adolescenti che vivono in una piccola comunità su un isola. Allo scopo di auto-preservarsi e difendersi dalla minaccia del mondo esterno, il ‘continente’ come viene definito nel film, la comunità mette in atto le pratiche più assurde e paradossali e i comportamenti più irrazionali e antisociali. Si assiste alla messa in scena dell’archetipo della regressione della natura umana che caratterizza tutta la cospicua letteratura legata al luogo, reale o immaginario, dell’isola (si pensi al ‘Signore delle mosche’ di William Golding, per esempio). In realtà, contestualizzata nella modernità, vi si può anche leggere tutta la paura dell’altro, del diverso, di colui che arriva da lontano che caratterizza la nostra società e che i genitori dell’isola nel film trasmettono ai loro figli. I figli vivrebbero in un mondo diverso se potessero, si costruiscono infatti una realtà parallela sull’isola, sono ancora incontaminati dalle paranoie dei genitori e in questo risiede la denuncia della regista che conclude il film con la frase “smettere di riprodurvi”. Archetipo su archetipo la storia di Lou e Martin ripete quella dei Romeo e Giulietta shakespeariani. Come dire che i secoli passano, la civiltà evolve, ma la natura umana rimane immutata.
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