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12 Agosto 2013 , ,

The National + Johnny Marr 01 Luglio 2013, Milano City Sound, Ippodromo del Galoppo


Johnny Marr Johnny Marr

 

Immaginate un passato glorioso che si incrocia con un presente quanto mai attuale e sfolgorante e con un futuro le cui premesse sono di luminosa carriera. Ora visualizzate Johnny Marr, la metà storica degli Smiths suonare con quel tocco magico che solo lui sa dare alla sua chitarra brani come There’s a light that never goes out, Bigmoth strikes again e How soon is now uniti a canzoni del nuovo lavoro solista da poco pubblicato "The Messenger” ed avrete l’idea di cosa significhi “passato glorioso” e “presente attuale”. Ma andiamo con ordine, la giornata è quella del primo Luglio e l’occasione è la seconda data Italiana del Tour di The National con supporter  l’italico Colapesce ed appunto, Johnny Marr. Quando arriviamo, Colapesce ha appena terminato il suo set ed il caldo è impressionante. Sono quasi le 20 e c’è ancora poca gente, a conferma della cattiva abitudine italiana ad arrivare tardi ai concerti: beh, peggio per loro perché si perdereranno circa 50 minuiti di un set davvero fantastico da parte dell’ex chitarrista di una delle bands storiche del british sound anni ’80. Johnny “Fucking” Marr è accompagnato da tre ragazzotti che si dimostrano all’altezza ma, certo, se anche Andy Rourke (bassista della band originale) che ad un certo punto ci ritroviamo ad un metro da noi a sorseggiare birra e gustarsi il concerto, si fosse unito al compagno sarebbe stato davvero fantastico. Marr esegue quattro brani dalla discografia della sua band originale, più Getting Away With It degli Electronic (il progetto di un po’ di anni fa con il cantante dei Pet Shop Boys) ed alcuni brani dal suo disco solista. Certo, le canzoni nuove, paragonate a gemme come quelle sopra citate perdono di forza, ma si dimostrano canzoni davvero valide e ci fanno pensare come sia davvero un peccato aver dovuto attendere così tanti anni per poterle ascoltare così come sia davvero un peccato, in mezzo a tante reunion inutili, non  vedere Morrisey e Marr mettere finalmente da parte i loro dissapori e regalarci nuovamente le emozioni che solo quell’accoppiata, con quelle canzoni, riesce a dare. Sì perché ascoltare There’s a light that never goes out cantata da Morrisey ma senza la chitarra di Marr e viceversa  dà l’idea di stare ascoltando qualcosa di fantastico a cui però manca qualcosa. Alla fine del set siamo tutti così contenti che ci diciamo “Ok, potremmo anche andare a  casa adesso”.

 

The National

 

the nationalBeh, non avremmo fatto errore più grande perché la performance di The National, guidati da Matt Berninger, originari di Cincinnati ma ormai in pianta stabile a Brooklyn, ci regalerà una performance stratosferica. Sono le 21.30 e la gente adesso è arrivata e ha riempito la parte di ippodromo destinata al concerto e con la gente sono arrivate, in pari numero,  anche le zanzare che ci martorieranno per tutta la serata. A dire il vero ci sono anche le tribune che però rimangono abbastanza deserte per una affluenza che alla fine mi dicono intorno alle cinquemila persone (che direi eccezionale per un gruppo che altrimenti non senti mai nè alla radio e tantomeno in televisione a dimostrazione che ormai chi ascolta certa musica ha altri canali da cui attingere) per una location a dire il vero abbastanza triste. Salgono sul palco i nostri ed attaccano I Should Live In Salt dal nuovo “Trouble will find me” seguita da Don’t swallow the cap sempre dallo stesso disco. Matt si presenta con la sua barbetta, gilet ed occhialini ad accentuare questa sua aria da intellettuale timido ma pronto a scatenarsi con quella sua voce baritonale e a lasciarsi guidare dal flusso del suono potente generato dagli altri membri della band salvo poi riportare l’ordine in pezzi più lenti. Tra un brano e l’altro, Berninger  sorseggia vino (in un bicchiere di vetro e non di plastica perché è così che si fa!), dedica un brano come Demons all’onore di avere condiviso il palco con Marr. La complicità tra il leader del gruppo ed il pubblico cresce col passare dei brani e toccherà l’apice durante gli encore con Mr. November dove il nostro scende tra il pubblico una prima volta generando un’onda in movimento pronta a seguirlo ovunque vada. La stessa scena ma sul lato opposto del palco, si ripete al brano successivo,  Terrible Love mentre la conclusiva  Vanderlyle Crybaby Geeks,  eseguita in acustico con tutti i membri della band (accompagnati per l’occasione da due turnisti che curano fiati e tastiere) come già avevano fatto la sera prima a Roma chiude un concerto durato circa un’ora e quaranta. Non vi tedieremo con la scaletta del concerto (per quella scorrete la pagina) o con Matt nationalche ci annuncia che oggi è il compleanno del batterista Bryan Devendorf e approfitta per un brindare e scolarsi alla fine tutta la bottiglia di rosso che circolava sul palco perché The National sono anche questo. Quello che conta è l’emozione che questa band riesce a trasmettere, l’energia ed il romanticismo unito a quel pizzico di grandeur Bohémien che li rende magari un gruppo ancora seguito (almeno da noi) dai cosiddetti hypsters piuttosto che dalla massa (ma questo è anche colpa dei mass-media che a gruppi come questi o Arcade Fire dedicano qualche articolo in occasione delle loro calate nel nostro paese salvo poi dimenticarsene per il resto del tempo) ma che non solo rappresentano un presente dell’indie rock quanto mai attuale, ma è sicuro erede di gruppi come i REM e a cui è facile auspicare una luminosa carriera (a meno di improvvisi scioglimenti, cosa peraltro già annunciata alcune volte dai membri della band). In una serata così ti scorre davanti il passato il presente ed il futuro e pensi che probabilmente senza persone così il mondo sarebbe un posto peggiore di quanto già non sia, perché almeno sai che passano gli anni ma un rifugio del cuore è sempre possibile trovarlo… basta cercare.

 

Ubaldo Tarantino
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