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8 Novembre 2012 ,

Steve Hackett GENESIS REVISITED II

2012 - Indide Out
[Uscita: 22/10/2012]

Steve Hackett  Genesis Revisited Come vive una cover band dei Genesis la sua esperienza? Lo so bene: la vive con gioia perché vede diventare realmente riproducibile ciò che per decenni i suoi elementi (di certo, in maggioranza, fanatici della band progressive britannica) hanno solo potuto immaginare di riuscire a interpretare. La vive anche col terrore di perdersi nelle continue variazioni, nei virtuosismi quasi impossibili e, in generale, in tutto ciò che rende ancora questa musica ostica e, al tempo stesso, sublime. Quando un brano di quelli tosti riesce bene, ci si guarda con un mutato rispetto per gli altri componenti del gruppo e per se stessi; è come se si fosse fatta insieme una traversata atlantica a vela o scalato in cordata una vetta difficilissima. Questo deve essere stato anche lo stato d’animo (descritto con precisione anche da Hackett nelle note di copertina) che animava la trentina di musicisti che ha preso parte alla realizzazione di questo doppio CD e lo stesso chitarrista che ha fatto parte dei Genesis ai tempi d’oro e preso parte alla nascita e alla costruzione dei pezzi da riprodurre.  

 

Ed è proprio qui il limite del disco: riprodurre, non re-interpretare, non rivisitare (come il titolo dell’album suggerirebbe), ma semplicemente riprodurre molto (troppo?) fedelmente atmosfere, suoni, arrangiamenti, partiture. Se si escludono una manciata di invenzioni acustiche, quasi tutte inserite all’inizio dei brani, si potrebbe dire che si sta ascoltando il compito in classe di una cover band spettacolare e talentuosa, ma al tempo stesso timorosa di sbagliare un accordo o, semplicemente, di metterne un altro al suo posto. Questo perché ciò la esporrebbe alle critiche del pubblico sempre troppo competente e fanatico (nel senso buono del termine) che viene agli show; un pubblico che conosce la bibbia dei dischi dei Genesis a memoria, che li ha gustati migliaia di volte e fatti suoi. Un pubblico che non vede di buon occhio alcuna diversione, alcuna rivisitazione, alcuna invenzione. Certo, il talento di Hackett non si discute, così come non si discute anche quello dei suoi compagni di avventura. Nei brani si sente che ci sono rispetto ed amore veri per ciò che si sta suonando. Io, però, preferisco a questo punto l’originale e penso anche che, se i musicisti sono straordinari (la band  di Steve, anche quando suona dal vivo, è davvero strepitosa), Hackett non ha ancora trovato un elemento fondamentale per riprodurre i Genesis.  Non ha trovato un’altra voce simile a quella di Gabriel o perlomeno a quella di Collins. Lo stesso successe a Tony Banks e Mike Rutherford ai tempi in cui (con l’abbandono di Collins) cercarono nell’improbabile Ray Wilson un sostituto.

 

Steve Hackett  Genesis Revisited In tutto l’album, l’unico pezzo degno di nota vocalmente , a mio avviso, è Eleventh Earl of Mar, dove Nad Sylvan riesce a trovare le sonorità tipiche della voce di Phil Collins. Per il resto, rimanendo in ambito nautico, calma piatta. Ma ai Genesis veri non puoi togliere la voce (e quella di Gabriel, in particolare). Allora, meglio sarebbe stato osare, reinterpretare, rivisitare al punto da non cercare più paragoni fra due cose quasi identiche, ma solo confronti fra due cose simili, ma allo stesso tempo “diverse”. Ciò avrebbe però richiesto enorme creatività, che è forse la cosa di cui si sente per davvero la mancanza in questo disco. L’album scorre come un deja-vù a cui però manca un particolare, qualcosa che il mio orecchio da fanatico cerca e non trova. Faccio qualche eccezione: The Return of the Giant Hogweed è, a mio avviso, migliore dell’originale in quanto a forza vitale; qui la chitarra è diversa (Hackett ha studiato tante variazioni ai riff originali), l’arrangiamento molto più cattivo, il suono molto più duro (il che ben si addice al racconto delle piante giganti in guerra contro l’umanità intera). Si sente un tocco di modernità che non guasta. Anche l’assolo alla fine di Supper’s Ready è come sempre l’ho immaginato: non impietosamente tagliato e dissolto via per ragioni di lunghezza eccessiva del vinile, ma lungo e solenne, proprio come si addice a quel brano. Rimane, comunque, un ideale compendio (potrei definirlo, con reminescenze da Liceo, un bignamino) della produzione dei Genesis da “Nursery Cryme” a “Wind & Wuthering” con qualche innesto (forse superfluo) della produzione solista del nostro, ai tempi della militanza nei Genesis. 

Marco Lamalfa

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