Progressive: Genesis NURSERY CRYME: Il trionfo del progressive, miti e favole
"Nursery Cryme" (12 Novembre 1971, Charisma)
La grafica
E’ una illustrazione di Paul Whitehead a campeggiare sulla copertina di “Nursery Cryme”. L’illustratore all’epoca collaborava, oltre che con i Genesis, anche con altri gruppi che incidevano per l’etichetta Charisma come, ad esempio, i Van der Graaf Generator. Per apprezzare appieno l’allegoria del disegno, la copertina deve essere aperta. In primo piano la figura di una bimba inserita in una bucolica ambientazione mentre il sole tramonta. La bimba sta giocando sull’impeccabile campo da croquet attiguo a una tipica residenza di campagna della nobiltà britannica e sta sorridendo in modo piuttosto inquietante mentre impugna la mazza. Ai suoi piedi giacciono diverse teste mozzate di bimbo mentre, sullo sfondo, si intravede la sua tata che pattina sul prato perfettamente rasato indossando ai piedi delle curiose rotelle.
Nursery Cryme story
Nursery Cryme è il terzo disco dei Genesis. Il vinile (strutturato canonicamente su due facciate della lunghezza di circa 20 minuti cadauna) è suddiviso in 7 tracce e rappresenta per il gruppo, sia musicalmente che a livello di organico, un’evoluzione decisiva. Dopo il semi acustico e tenebroso “Trespass”, col quale i Genesis si erano scollati di dosso quella fastidiosa etichetta di beat band acquisita dopo l’uscita del loro primo album intitolato “From Genesis to Revelation” (in gran parte influenzato dal fenomeno Beatles) il gruppo musicale formatosi all’interno della Charterhouse (una severa public school londinese frequentata da giovani provenienti da famiglie molto benestanti o aristocratiche) cambia pelle. Se ne va il talentuoso Antony Phillips (chitarre) per problemi personali e il suo posto viene preso da Steve Hackett. Il chitarrista aveva avuto l’intuito di mettere il seguente annuncio sulla rivista Melody Maker: ‘chitarrista cerca band - sono un musicista determinato ad andare oltre le forme musicali stagnanti ‘.
Peter Gabriel lesse l’annuncio e ne fu colpito a tal punto che Hackett venne subito contattato e, dopo un provino, inserito nell’organico. Se ne va anche John Mayew (batteria) e il posto viene preso da un talento in crescita di nome Phil Collins, già attore di teatro (aveva interpretato anche un ruolo in un adattamento di Oliver Twist) e di alcune pubblicità TV. Curiosamente, anche Collins fu reclutato attraverso un annuncio sul Melody Maker, ma stavolta inserito dagli stessi Genesis, alla ricerca di un drumming più incisivo. Si compone così il quintetto che avrebbe sfornato, nel periodo dal 1971 al 1974, quattro fra le migliori produzioni del progressive britannico e cioè “Nursery Cryme”, “Foxtrot”, “Selling England by The Pound” e “The Lamb Lies Down on Broadway”. Il titolo dell’album è un gioco di parole fra Rhyme e Crime. La nursery è il luogo dove di solito vengono tenuti i bambini piccoli a giocare e a studiare. Le Nursery Rhyme sono antiche filastrocche per bambini, che in Inghilterra vengono ancora oggi usate a scopo didattico (un corrispondente in lingua italiana potrebbe essere, ad esempio, quella che recita ‘Trenta giorni ha novembre con april, giugno e settembre…’).
Siccome l’album inizia con quello che è un vero e proprio omicidio, non si capisce quanto involontario, ecco che Rhyme (poesia) è sostituita da Cryme (crimine), anche se con la ‘Y’ al posto della ‘I’ per mantenere il gioco di parole. Nemo propheta in patria: potrebbe essere
una massima facilmente applicabile ai Genesis di questa era. Si parla del 1971, anno nel quale il fenomeno progressive era in piena ascesa e gruppi quali Yes, Jethro Tull, Emerson Lake & Palmer e King Crimson (tanto per citarne alcuni) riscuotevano successi di vendita e pubblico sempre più clamorosi. In controtendenza, i Genesis nella loro patria di origine venivano considerati quasi come una band di serie B e nel ricco mercato discografico e delle FM-radio USA erano fuori dai posti importanti delle classifiche di vendita e di ascolto. In altre parti dell’Europa (soprattutto in Belgio, Germania e Italia) le cose andavano un po’ meglio.
Il precedente album “Trespass” non aveva venduto quanto si sperava alla sua uscita e di conseguenza le date dal vivo spesso non richiamavano un pubblico degno della loro bravura. I loro live erano realizzati sempre in stretta economia (qualcuno dell’entourage a loro vicino, in seguito, dichiarò che ebbe l’impressione che quei ragazzi avessero saltato più di un pasto) e spesso funestati da problemi tecnici, dovuti in primo luogo alla scarsezza dei mezzi. Tuttavia i componenti della band erano sempre animati dalla convinzione nelle proprie capacità e gli spettatori erano affascinati, oltre che dal loro talento, anche dalla voce e dalla inesauribile fantasia di Peter Gabriel. E’ in questo contesto che i Genesis vivranno dapprima la lavorazione e, successivamente, la promozione live di Nursery Cryme.
La prima facciata: The Musical Box
Nella parte interna della copertina ci si imbatte in un testo che ci introduce alle liriche della prima traccia del disco ovvero The Musical Box (Il carillon).
‘While Henry Hamilton-Smythe minor (8) was playing croquet with Cynthia Jane De Blaise-William (9), sweet-smiling Cynthia raised her mallet high and gracefully removed Henry's head. Two weeks later, in Henry's nursery, she discovered his treasured musical box. Eagerly she opened it and as "Old King Cole" began to play, a small spirit- figure appeared. Henry had returned - but not for long, for as he stood in the room his body began ageing rapidly, leaving a child's mind inside. A lifetime's desires surged through him. Unfortunately the attempt to persuade Cynthia Jane to fulfill his romantic desire led his nurse to the nursery to investigate the noise. Instinctively Nanny hurled the musical box at the bearded child, destroying both.’
‘Mentre Henry Hamilton-Smythe (di 8 anni) stava giocando a croquet con Cynthia Jane De Blaise-William (di 9 anni) quest’ultima, sorridendo dolcemente, alzò in aria la sua mazza e graziosamente staccò con un colpo secco la testa di Henry. Due settimane dopo, nella cameretta di Henry, lei scoprì il suo prezioso carillon. Mossa da curiosità lo aprì e, mentre iniziava il motivo di "Old King Cole", comparve un piccolo spettro. Henry era tornato, ma non per molto. Infatti, mentre era in piedi nella stanza, il suo corpo iniziò ad invecchiare rapidamente, conservando però la mente di un bambino. I desideri di una vita si agitarono in lui. Sfortunatamente, il suo tentativo di persuadere Cynthia Jane ad appagare la sua brama romantica, spinse la tata ad entrare nella cameretta per investigare circa la fonte del rumore. La tata, istintivamente, prese il carillon e lo scagliò contro lo spettro del bambino invecchiato, mandando entrambi in frantumi’
L’album si nutre ancora in parte della vena compositiva del chitarrista uscente, Antony Phillips. Il suo apporto in questo disco è fondamentale nel brano di apertura, The Musical Box che diventerà un vero e proprio cavallo di battaglia della band dal vivo - e in quello di chiusura, The Fountain of Salmacis. Di fatto la melodia di The Musical Box riprende quella di una composizione di Phillips originariamente intitolata F# (anche se questo retroscena non verrà affatto menzionato nei credits del vinile). Nei primi solchi, “Nursery Cryme” ricorda le atmosfere acustiche del precedente “Trespass”. Dal vivo, all’inizio del brano, Tony Banks lasciava le tastiere e imbracciava la chitarra a 12 corde, arpeggiando insieme a Mike Rutherford e a Steve Hackett. La voce di Peter Gabriel inizia a narrare la storia di Cynthia, del carillon e di Henry che ritorna sotto forma di spirito, evocato dal motivo di Old King Cole (non a caso, proprio una delle Nursery Rhyme). La parentesi acustica finisce presto. Henry invecchia di una vita intera nello spazio di una canzone. L’accelerazione anomala del suo ciclo vitale viene rappresentata da due parti strumentali caratterizzate da un classico e drastico cambio di tempo (anche se tutto il brano si dipana su una scansione in 4/4).
Queste parti strumentali sono enfatizzate da notevoli assolo chitarristici, i primi di una lunga serie memorabile a firma di Steve Hackett. L’uso delle tastiere è magistrale: Tony Banks, forse anche per una questione economica, sia in questo disco che nel successivo Foxtrot, è ancora legato alle classiche tastiere. Egli non aveva seguito la tendenza del momento che voleva i tastieristi sempre più orientati verso l’uso dei moderni (per l’epoca) sintetizzatori preferendo il pianoforte, l’organo Hammond e il mellotron (uno degli strumenti dalle sonorità maggiormente progressive). Questo però non incide minimamente sulla qualità delle sue esecuzioni: le sue invenzioni, il suo tocco pulito e la velocità sono da vero virtuoso dei tasti bianchi e neri. Sublime il finale del pezzo, quando Henry implora Cynthia di toccarlo (‘Why don’t you touch me now?’. ‘Perché non mi tocchi ora?’) in un crescendo di pathos vocale e musicale. La voce di Gabriel si fa matura e incanta l’ascoltatore ma è tutta la band a fare un salto in avanti nel proprio futuro da cui, da questo momento, non tornerà più indietro.
For absent friend
Il secondo brano, For absent friend ha una particolarità davvero singolare. A cantare è Phil Collins il quale dimostra, per la prima volta, di essere dotato di un’ottima voce per alcuni versi simile a quella di Gabriel (soprattutto sui registri alti). Una specie di prova generale, poiché Collins è destinato ad essere quello che unirà nei dischi (e soprattutto nei live) due doti difficilmente conciliabili: quella di suonare la batteria in modo egregio e, allo stesso tempo, di seguire Gabriel con la voce facendogli da supporto (in tanti casi con risultati davvero brillanti). In seguito Collins, com’è noto, sostituirà definitivamente Gabriel quando questi deciderà di darsi alla carriera solista. Il brano è molto breve e completamente acustico, cantato quasi costantemente su un registro di falsetto (che al batterista/cantante riesce molto naturale); racconta di due vedove che si ritrovano a fare visita al cimitero dove sono sepolti i loro mariti e rispettivi amici.
The return of the Giant Hogweed
‘And now.... for something completely different’ (e adesso… qualcosa di completamente diverso) avrebbero commentato, più o meno nello stesso periodo, i Monty Python: infatti, dopo l’acustica visita delle vedove al cimitero, si scatena velocissima la chitarra distorta di Steve Hackett per l’intro ad una storia che parla di piante molto pericolose. Il pretesto per il brano è basato su fatti reali. La specie di cui si parla è l’Heracleum Mantegazzianum – in italiano Panace di Mantegazzi o Panace gigante - imprudentemente importata da alcuni botanici nel XIX secolo per abbellire i ricchi giardini occidentali. La pianta, originaria del Caucaso, fu dapprima introdotta nei giardini inglesi, per poi diffondersi rapidamente anche in Scandinavia, Germania, Svizzera e Italia settentrionale. Essendo molto adattabile e infestante, la sua artificiale diffusione di fatto si rivelò un errore, soprattutto perchè risultò essere altamente tossica e pericolosa sia per gli esseri umani (ai quali causa una fortissima fotosensibilizzazione della pelle e degli occhi) sia per le piante autoctone (di cui impedisce la crescita, a causa dell’eccessiva ombra che produce sotto la sua chioma).
The return of the Giant Hogweed racconta di come queste piante diventino gigantesche e si trasformino in una minaccia per l’umanità intera la quale non trova alcun rimedio (neanche nella chimica) per sconfiggerle. Si arriva ad ipotizzare, con paradossale pessimismo degno di un racconto o di un ‘B-Movie ‘ di fantascienza con tanto di alieni cattivi e spietati, che la pianta si adatti così bene da uccidere col suo veleno qualsiasi essere umano capiti nelle vicinanze. Si simboleggia una natura che si ribella all’uomo che vorrebbe sottometterla solo per il proprio futile piacere. Voce, chitarre, pianoforte e ritmo si fondono in un lungo pezzo che più prog non si può, caratterizzato da tempi dispari alternati a cambi di melodia continui.
Notevolissima la parte centrale del pezzo con Banks impegnato al piano in un velocissimo arpeggio affiancato dalla chitarra di Hackett, il tutto contrappuntato dalle rullate di Collins, e dal basso di Rutherford. A proposito di Mike Rutherford: una nota caratteristica nella musica dei primi Genesis è quella che l’uso del basso elettrico è ridotto quasi all’osso. Spesso i Genesis, nei loro live, utilizzavano il basso a pedale poiché il bassista del gruppo supportava Steve Hackett alla chitarra (utilizzando uno strumento con due manici – uno di chitarra e l’altro di basso). Dal successivo album in poi (Foxtrot) Rutherford suonerà molto di più il basso a corde, ma in Nursery Cryme questa assenza ritmica spesso si ‘sente’ parecchio. Il primo a notare questa anomalia fu Phil Collins che convinse nel tempo il suo compagno a dedicarsi maggiormente allo strumento.
La seconda facciata: Seven stones
L’intro di mellotron e chitarra di Seven stones apre la seconda facciata dell’album. Il testo di Seven stones parla di come il caso, a volte, possa salvare le anime e le vite di coloro i quali si affidano ad esso e di come, al contrario, la programmazione e il voler conoscere a tutti i costi in anticipo l’esito delle cose (come, ad esempio, la data esatta in cui si dovrebbe seminare per poter ottenere il raccolto migliore) diano come risultato completi fallimenti. Chi lo racconta, per bocca di Gabriel, è un vecchio saggio. Il suo motto è:
‘And the changes of no consequence will pick up the reins from nowhere’
‘E i cambiamenti che non hanno conseguenze non porteranno mai ad alcun risultato’
In pratica, bisogna cambiare, improvvisare e sapere interpretare i segni che il caso ci manda (il numero sette o un gabbiano che vola) per poter fare le giuste scelte. Chi, come il contadino nell’ultima strofa, paga per poter conoscere in anticipo i risultati di una semina è destinato quasi certamente ad un fallimento; difatti egli viene deriso dal vecchio, che intasca i soldi e va via senza dargli risposte lasciandolo solo e alle prese con la propria frustrazione. Si tratta del brano che più di tutti in questo album poteva essere preso come estratto per un singolo (e infatti fu la facciata B di un 45 giri) poichè maggiormente riconducibile al formato di canzone per durata e musicalità. Struggente il finale, con il mellotron in primo piano e la chitarra arpeggiata a supporto.
Harold the barrel
Il quinto brano, Harold the barrel, fa parte di quelle suite quasi teatrali e spesso grottesche che da ora in poi non mancheranno mai nei dischi dei Genesis “era Gabriel” (successivamente ci saranno, ad esempio, Get 'Em Out by Friday, The battle of Epping Forest, The Colony of the Slippermen e la stessa Supper’s Ready). In questi brani Gabriel caratterizza, attraverso una diversa impostazione vocale, i personaggi che descrive nei testi. Dal vivo, questo aspetto sarà spesso enfatizzato da pittoreschi costumi da lui stesso disegnati e indossati. La composizione ha un andamento saltellante, caratterizzata dal piano, dal basso e dalla batteria. Le mille voci di Gabriel rappresentano via via i diversi personaggi che appaiono nella storia: lo speaker della TV, l’uomo della strada, l’inviato della BBC, il consigliere, il sindaco, il pubblico inglese (una sorta di coro da teatro classico greco), il sig. Plod, la madre di Harold e il malcapitato Harold (il protagonista). Quest’ultimo, forse stressato da moglie e figli o dal proprio lavoro o da tutte queste cose assieme, un mattino scappa di casa; immediatamente viene fatto oggetto di pesanti accuse da parte dei suoi concittadini.
L’uomo della strada esclama:
‘Father of three it's disgusting - Such a horrible thing to do’
‘Padre di tre figli, è disgustoso! - Che orribile cosa da fare!’
In seguito, viene rintracciato mentre siede pericolosamente in bilico sul davanzale di una finestra situata al piano alto di un palazzo. Viene costantemente seguito in diretta dalla BBC (sono già i primi tentativi di reality TV) e percepisce che, di sotto, lo aspetta una folla inferocita e desiderosa di dargli una severa lezione. Alla fine Harold, anche a seguito del maldestro intervento della madre che, invece di consolarlo, lo esaspera ancora di più facendogli notare che ha la camicia sporca davanti alle telecamere:
‘Your shirt's all dirty, there's a man here from the B.B.C. - You just can't jump’
‘La tua camicia è tutta sporca, c’è qui quello della BBC – Non puoi saltare!’
si fa coraggio e salta per davvero.
Arlequin
La sesta traccia è un pezzo totalmente acustico, Arlequin, nel quale si risente il falsetto di Collins, questa volta strettamente legato alla voce di Gabriel. Riesce davvero difficile riconoscere i due diversi timbri l’uno dall’altro. Il testo è oscuro. Si parla di terre desolate, offuscate dalla nebbia, riscaldate dal fuoco come unico ricordo del caldo sole d’estate e nelle quali i diversi colori sfumano l’uno nell’altro creando un grigio uniforme. Forse Arlecchino simboleggia, con il suo variopinto costume, i colori persi, così come persi sono anche il raccolto e le voci festose dei bambini che un tempo giocavano nel torrente. Le chitarre acustiche duettano arpeggiando ma è l’intreccio delle voci a risaltare di più in questo pezzo piacevole, ma tutto sommato non indimenticabile.
Il brano finale dell’album viene introdotto da un testo scritto che ci spiega cosa siano, nella realtà, gli ermafroditi (nel regno animale e in quello vegetale) e chi fosse (nella mitologia) Ermafrodito così come ci è stato tramandato dal mito ovidiano:
‘Hermaphrodite: a flower containing both male and female organs; a person or animal of both sexes’
‘The child Hermaphroditus was the son of Hermes and Aphrodite, the result of a secret love affair. For this reason he was entrusted to the nymphs of the isolated Mount Ida, who allowed him to grow up as a wild creature of the woods. After his encounter with the water-nymph Salmacis, he laid a curse upon the water. According to fable, all persons who bathed in the water became hermaphrodites’
‘Ermafrodita: un fiore contenente gli organi sia maschili che femminili; persona o animale di entrambi i sessi’
‘Il piccolo Ermafrodito era il figlio di Hermes e Afrodite, il risultato di un amore clandestino. Per questa ragione fu affidato alle ninfe dell'isolato Monte Ida, che lo allevarono come una selvaggia creatura dei boschi. Dopo il suo incontro con la ninfa dell'acqua, Salmace, egli lanciò un incantesimo sulle acque. Secondo la leggenda, chiunque si fosse bagnato in quelle acque sarebbe diventato ermafrodita’
The Fountain of Salmacis riprende appieno le atmosfere progressive lasciate al termine di Seven Stones per riproporle alla massima potenza. Il lungo intro, basato su un minimo scostamento da un’unica nota suonata alla tastiera, con l’ingresso successivo di piatti e chitarra in un crescendo quasi sinfonico, ci introduce nel mondo della mitologia. Il tema mitologico ricorrerà spesso nei testi dei Genesis, anche dopo l’uscita di Gabriel. Vi si parla di Ermafrodito (il bellissimo semi dio) e di Salmace (la ninfa del lago) e di come egli respinga fino all’ultimo l’amore di lei. Alla fine però, con uno stratagemma, ella lo attira vicino ad una fonte e riesce a possederlo così intensamente che entrambi rimangono avvinghiati strettamente l’uno all’altra diventando un unico corpo (né uomo, né donna). In questa forma scompaiono lentamente, affondando nelle profondità del lago. Steve Hackett qui dà una dimostrazione di quanto la sua chitarra possa essere rapida, pulita ed incisiva (poco prima della descrizione dell’unione fisica, quando Salmace ancora corteggia il recalcitrante Ermafrodito), ma anche evocativa e struggente sul finale del pezzo, quando entrambi si rendono conto che il loro destino è segnato e vanno affondando lentamente nel lago
‘Both had given everything they had. A lover's dream had been fulfilled at last, Forever still beneath the lake’
‘Entrambi avevano dato tutto ciò che avevano. Il sogno di un'amante è stato infine appagato, per sempre immobile in fondo al lago’
Ascoltando il suono complessivo di questo brano si può affermare che esso rappresenta ‘lo stile Genesis’, quello cioè che li diversifica da tutti gli altri gruppi progressive. Vi si apprezzano il raffinato intreccio melodico tra tastiere e chitarre, nel quale si fa fatica a distinguere dove finiscano le prime e dove inizino le seconde, la voce di Gabriel, il drumming di Collins quasi in punta di bacchetta, a volte, ma potente e corposo quando serve. Anche il basso qui appare finalmente protagonista. La musica dei Genesis dell’età matura è questa: un continuo mutare di dinamiche e di ritmi (spesso dalla scansione dispari) unito ad una partitura musicale mai banale e dalla complessità non indifferente. Anche dal vivo i Genesis cercavano sempre di essere fedeli a ciò che era stato elaborato in studio, senza arrangiamenti volti a rendere i pezzi più facili da eseguire e questo dava ai fan un motivo in più per essere presenti ai loro concerti. Tirando le somme, sebbene non privo di indecisioni, Nursery Cryme è il primo di una serie di 4 pietre miliari del progressive d’oltre Manica. Un disco da ascoltare senza pregiudizi di genere che darà, anche a chi lo ascolterà per la prima volta, emozioni assicurate.
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