Paul Revere & The Raiders La leggenda di Paul Revere
I N T R O
Bosie, Idaho, fine anni '50. Paul Revere Dick, un ragazzone poco più che ventenne, già parrucchiere con alle spalle la gestione di ben tre negozi e ora titolare di un fast food, stanco di vendere hamburger e patatine fritte, decide di provare a dare una svolta alla propria vita e di gettarsi nel mondo del rock'n'roll. Paul trova l'incoraggiamento di un proprio dipendente con il quale ha stretto amicizia, il più giovane Mark Lindsay. Il primo suona il piano, anche se ben presto passa all'organo, mentre in secondo, dotato oltretutto di un bell'aspetto, rivela un'ottima voce, ruvida e negroide. L'intraprendente Paul lo convince anche ad imparare a suonare il sax. Reclutati altri compagni d'avventura, il gioco è fatto. Ecco i Downbeats. Serve un contratto discografico e Revere, che per gli affari ha già dimostrato di avere fiuto, va appositamente ad Hollywood con un nastro contenente la prima registrazione originale del gruppo, Beatnick Sticks. Riesce a procurarne non uno, ma cinque, tra i quali sceglie quello che gli pare il più vantaggioso, con la Gardena Records. Con una felice intuizione Revere cambia nome al proprio gruppo e i Downbeats diventano Paul Revere & The Raiders.
I non appassionati di storia americana forse non sapranno che un altro Paul Revere, circa due secoli prima, era stato un controverso patriota della guerra di indipendenza americana. Una delle vicende per cui è noto si riferisce ad una cavalcata compiuta nottetempo, insieme ad un manipolo di accoliti - e quindi di cavalieri, di Raiders - per avvertire le truppe rivoluzionarie dei movimenti degli inglesi.
Gli esordi discografici. Louie Louie (1961-1963)
Già uno degli svariati singoli che la Gardena immette sul mercato nel 1961, richiama le gesta del personaggio storico (Paul Revere's Ride). Agli esordi la band si esibisce però ancora con il tipico abbigliamento di quegli anni: abito elegante, capello cortissimo e facce da bravi ragazzi. Nello stesso anno la formazione ottiene un discreto successo locale con Like Long Hair. Esce anche un album dallo stesso titolo, non molto significativo del sound per cui il gruppo diverrà famoso negli anni a venire. Nel repertorio trovano posto infatti molti brani strumentali (Tall Cool One, proposta negli stessi mesi anche dagli Wailers, la Summertime di Gershwin o improbabili temi per immaginari film di spionaggio come Orbit The Spy), a fianco di alcuni rock'n'roll non certo indimenticabili (Sharon). Revere viene chiamato sotto le armi, ma - fatto questo abbastanza curioso per chi per decenni ha calcato le scene vestito da soldato americano - opta per l'obiezione di coscienza. Nel 1963 viene dato alle stampe, per un'altra piccola etichetta (la Sande), anche un secondo, omonimo e ancora piuttosto incerto album, "Paul Revere & The Raiders", infarcito di rifacimenti di vecchi brani rock'n'roll.
Più di tre decadi dopo, prima dello scoccare del terzo millennio, nel 1999, Gardena Records ripubblicherà su vinile Like Long Hair, quel primissimo documento discografico risalente al 1961, col nome "Rock 'n' Roll With Paul Revere And The Raiders". La band nel frattempo si sposta a Portland, nell’Oregon e si fa le ossa suonando assiduamente nelle sale da ballo con un repertorio che pian piano si indirizza verso il rhythm'n'blues (con cover di Ray Charles, James Brown), proto-garage rock (Louie Louie, Have Love Will Travel), senza dimenticare il rock'n'roll (Chuck Berry, Jerry Lee Lewis). La svolta è rappresentata dalla scelta di mettere su disco la versione di uno propri cavalli di battaglia dal vivo: Louie Louie di Richard Berry, un brano facilissimo da suonare che sebbene non sia ancora diventato un vero e proprio hit, al tempo è nel repertorio di tantissime piccole band. Nelle stesse settimane - e curiosamente proprio nello stesso studio di registrazione di Portland - la medesima idea viene anche ai Kingsmen. Sono quest'ultimi a farne la versione definitiva, un classico immortale del garage-rock. I Kingsmen non riusciranno mai a replicarne il successo e e si vedranno relegati, ben presto, al ruolo di semplici meteore degli anni '60, mentre per Paul Revere & The Raiders, Louie Louie è solo il primo passo di una carriera lunga e ricca di successi.
Garage-rock a stelle e strisce (1963-1966)
La Columbia rimane infatti colpita dal loro rifacimento, che pubblicato su 45 giri sempre per la Sande, ottiene un discreto successo locale. Il singolo viene ristampato e ridistribuito su larga scala dalla Columbia e riesce a vendere benino in tutti gli stati del nord-ovest. La nuova etichetta crede davvero nella band e ha i mezzi per un lancio in grande stile. In ossequio al personaggio storico omonimo del proprio leader, i ragazzi adottano un bizzarro abbigliamento da soldati dell'epoca della guerra di indipendenza. Un'immagine che li rende immediatamente riconoscibili, anche se contribuisce a far sì che la band non venga mai presa sul serio dalla critica. Gli impegni promozionali del gruppo richiedono il trasferimento in pianta stabile in California e Mark Lindsey, all'epoca ancora poco più che un ragazzino, dopo alcuni mesi in cui mette in dubbio la propria permanenza, si trasferisce insieme agli altri a Los Angeles. La formazione non brillerà mai per stabilità, con una vorticosa girandola di cambi attorno ai due membri fissi Paul Revere e Mark Lindsey. La più nota, tra le tante line up, è quella che vede ora, agli inizi del 1965, anche Drake 'Kid' Levin alla chitarra, Phil 'Fang' Volk al basso e Mike 'Smitty' Smith alla batteria.
La Columbia ha intenzione di presentare Paul Revere & The Raiders come la risposta americana alla british invasion dei vari Rolling Stones, Animals, Yardbirds e, naturalmente, Beatles e li affida al produttore Terry Melchior, un vero e proprio membro aggiunto del gruppo, che mette anche la propria firma su svariati brani. Il primo album del nuovo corso è l'arrembante, sin dal titolo, “Here They Come!”, ancora ricco di cover di area rhythm'n'blues. Sul primo lato scorrono i brani più ritmati, una serie di cover già ampiamente rodate dal vivo: Louie Louie in apertura, poi tra le altre Money (That's What I Want), Do You Love Me dei Coasters e Fever di Little Willie John. Sul lato B, appena più rilassato, spuntano anche canzoni scritte dal gruppo, come Sometimes (uscita pure su singolo e ripresa anni dopo dai Flamin' Groovies su “Shake Some Action”) o la ballata A Kiss To Remember You By.
La casa discografica piazza anche la band come ospite fissa in un programma televisivo per teenager,“Where The Action Is”, condotto da Dick Clark, dandole così modo di acquisire una grande notorietà in tutti gli Stati Uniti. Sul finire dell'anno Paul Revere & The Raiders pubblicano due singoli che rimangono tra i loro colpi migliori di sempre: Steppin' Out e Just Like Me, con il secondo che sfiora la top 10. Si tratta di autentici classici del garage-rock, guidati dalla voce rabbiosa di Lindsey e dai trascinanti riff in cui l'organo del leader si intreccia con la notevole chitarra di 'Kid' Levin. Secondo una leggenda che non potremo mai verificare, il chitarrista, che in concerto era solito suonare anche con la chitarra dietro la schiena e sopra la testa, al termine di un'esibizione a Seattle, riceve i complimenti di un giovane e ancora sconosciuto chitarrista di colore... In effetti i ragazzi americani scoprono il garage rock fondamentalmente grazie a questa band, che appare ogni settimana alla TV e che ha i propri dischi che suonano nelle radio e nei juke-box di tutti gli Stati Uniti. I due hit vengono astutamente posizionati in apertura delle due facciate del successivo e più solido album del gruppo, “Just Like Us”, che esce nei primi giorni del 1966. Il resto del programma è ottimo, anche se si affida forse troppo su una serie di cover non molto fantasiose, che rivelano, qualora ce ne fosse il bisogno, i punti di riferimento del gruppo: Rolling Stones (dei quali riprendono l'ovvia Satisfaction), Them (Baby Please Don't Go) e Animals (I'm Crying). Sono tempi frenetici per Revere e la casa discografica impone ritmi serrati per sfruttare il momento favorevole.
'Calci' e corse di mezzanotte: l'orgogliosa risposta all'english beat
Passano pochi mesi ed è pronto un altro LP: “Midnight Ride”. Non tutto il repertorio è scintillante, ma si apprezza lo sforzo dei ragazzi di sviluppare un repertorio originale. La carta migliore del mazzo stavolta è Kicks, un pezzo scritto dalla coppia di autori Barry Mann e Cynthia Weil per gli Animals e che si dice, dopo il loro rifiuto, grazie ai buoni uffici di Terry Melchior, viene affidato ai Raiders. Un'altra versione della storia dice che sia stato lo stesso manager del gruppo, rimasto colpito da un altro loro brano, We Gotta Get Out Of This Place, un grande successo in mano agli Animals di Eric Burdon, a stimolare la coppia di autori a scrivere un brano analogo per i suoi protetti. A prescindere da come sia andata davvero, l'intuizione è vincente e il singolo scala la classifica statunitense sino al 4° posto, nonostante il rischio di essere bandito dalle radio, per un testo che pur condannando l'uso delle droghe, può creare qualche facile malinteso. Sembra che gli autori abbiano avuto in mente la vera storia dell'amico Jerry Goffin, anch'egli autore americano di successo in quei fatidici anni '60 in coppia con la moglie Carole King, e al tempo inguaiato con brutte storie di dipendenza dalle droghe.
L'eco di Paul Revere & The Raiders arriva un po' anche dalle nostre parti. Kicks viene reinterpretata in italiano anche da Caterina Caselli che in quello stesso anno la inserisce nel proprio album di debutto (“Casco D'Oro”). La canzone è presente anche nel 'musicarello' “Perdono”, con protagonista la cantante modenese. Se Revere e i suoi cercano di staccarsi dall'influenza della british invasion, ora il sound della band ammicca a quello di formazioni americane del periodo, come i Monkees (I'm Not Your Steppin' Stone è nel repertorio di entrambi i gruppi) o i Turtles e cerca di sviluppare un repertorio originale, con il contributo di tutti i Raiders. There She Goes ricorda i primi Byrds, mentre Louie Go Home, uscita da tempo anche su 45 giri, è l'ultimo tentativo dei ragazzi di sfruttare l'onda lunga del successo di Louie Louie, proponendone una sorta di sequel apocrifo. Non diventerà un altro classico, ma godrà di rifacimenti assai nobili, come quelli degli Who e di un giovane David Jones (prima di diventare Bowie). Grazie ad un accordo commerciale con la Vox - la casa produttrice di strumenti ed amplificatori - in concerto tutti i componenti del gruppo si esibiscono completamente amplificati. E' una novità assoluta per quei tempi e i Raiders possono vantare quindi anche questo primato.
Mark Lindsey sempre più leader (1967-1968)
Prima che il 1966 finisca è pronto il terzo album per la major: “The Spirit of '67”. Levin durante le registrazioni è sostituito da Jim 'Harpo' Valley, anche sei poi il primo rientra, seppur temporaneamente, per il successivo tour estivo. Si perfeziona nel frattempo l'asse Terry Melchior/Mark Lindsey, che sposta sensibilmente gli equilibri interni. I due scrivono la maggior parte delle canzoni e sono responsabili anche degli arrangiamenti, che si fanno sempre più elaborati. La democrazia dei dischi precedenti pare essersi trasformata in una sorta di rigida suddivisione degli spazi, con Phil Volk autore e voce solista in ben di due brani. Pure il batterista 'Smitty' ha un brano tutto per sè (Our Candidate). Anche se Paul Revere dà il nome al gruppo, si limita in realtà ad esserne il tastierista, benché sul palco si faccia indubbiamente notare. In effetti però non canta, compone solo scampoli di qualche brano, non si occupa della produzione e in generale sembra non dispiacersi affatto che Lindsey abbia preso il comando. Il successo e l'estrema creatività di dischi-capolavoro usciti nel 1966 come “Revolver” e “Pet Sounds” spinge i Raiders a prestare maggior attenzione alle possibilità che offrono gli studi di registrazioni. Ne esce un disco ricco di sovraincisioni.
Undecided Man, carica di archi, sembra quasi un plagio di Eleanor Rigby. Il sound del gruppo inizia a perdere l'energia che lo ha caratterizzato fino a pochi mesi prima. Tipica del periodo è Good Thing, ennesimo singolo di successo, dove i notevoli impasti vocali in odore di Beach Boys offuscano le chitarre. Per cavalcare l'onda di Kicks, la coppia Weil/Mann offre al gruppo la simile ma efficace Hungry, con un Mark Lindsay ben calatosi nel ruolo di un focoso fidanzato, ansimante per amore. E' un altro classico del garage-rock, che raggiunge un ragguardevole 6° posto in classifica.
Un altro discreto singolo di successo, The Great Airplane Strike, ancora vagamente stonesiano, contribuisce a spingere l'album ai piani alti delle classifiche. Si tratta del terzo album di fila del gruppo ad entrare nella top ten americana, ma da qui in avanti, almeno sulla lunga durata dei 33 giri, qualcosa comincia a incrinarsi. I tempi stanno infatti rapidamente cambiando e nel pieno del 1967, con il diffondersi delle contestazioni giovanili, della controcultura, una band votata al disimpegno come questa, comincia leggermente a stonare.
I ritmi delle uscite discografiche si fanno così appena meno frenetici, per permettere anche alla band di aggiornarsi e stare al passo coi tempi. Il nuovo singolo, la zuccherosa Ups and Downs, prosegue il trend delle ultime cose, con un elaborato arrangiamento di archi. Il disco successivo è un'antologia: l'ottimo “Greatest Hits” che ben rappresenta e idealmente chiude la fase più spensierata e fortunata dei Paul Revere & The Raiders. Nel periodo natalizio, la band non si sottrae neppure al disco di Natale (“A Christmas Present... And Past”, prima foto sotto a destra), una mossa quasi obbligata dello star system americano.
Revolution!
Il vero è proprio nuovo album è “Revolution!” che nel titolo sembra apparentemente cogliere il segno dei tempi. La rivoluzione cui alludono i nostri non è però quella della summer of love, bensì quella inneggiata, quasi due secoli prima, dall'altro Paul Revere, come conferma lo scatto scelto per la copertina, con i musicisti raffigurati con delle teiere e tazzine da tè, chiaro rimando alle vicende del Boston Tea Party, divenute poi simbolo di proteste politiche di segno liberista. Musicalmente la band, nel tentativo di non scontentare nessuno e con la tipica leggerezza di sempre, cerca di stare con astuzia a metà del guado. L'hit da alta classifica non manca nemmeno stavolta: il singolo Him Or Me?/What's Is Gonna Be si arrampica fino al 5° posto e introduce un album che sarà sempre discretamente venduto, ma meno dei precedenti, che nella prima metà del programma si assesta sul sunshine pop, tipico delle ultime uscite. Sul lato B vengono invece piazzati alcuni brani dai timidi sapori psichedelico (I Hear A Voice). Con ampio uso di delay e phasing, la discreta I Had A Dream, finisce per ricordare certi simili esperimenti 'floreali' dei Monkees di quel periodo. Il brano esce anche su 45 giri e viene scelto per tentare l'affermazione anche su altri mercati, tra i quali quello italiano, con una versione cantata nella nostra lingua, dal titolo Io Sogno di Te e testo affidato alla coppia Pace (futuro Squallor) e Panceri. La direzione della band è sempre più in mano a Lindsey, tanto è vero che da alcuni anni ormai e fino al 1970, (quasi) tutti i dischi vengono accreditati a 'Paul Revere & The Raiders featuring Mark Lindsey'. In studio il frontman e il produttore Terry Melchior tendono ad affidarsi sempre più spesso a turnisti, relegando i membri della band a poco più che dei figuranti per le frequenti esibizioni televisive. Una scelta che contribuisce a creare tensioni e dissidi interni, che portano ad una serie di avvicendamenti sempre più rapidi nella formazione. Alla chitarra solista troviamo ora Freddy Weller, mentre arrivano Keith Allison al basso e Joe Correro alla batteria.
Qualcosa sta succedendo (1968-1969)
Per non farsi travolgere dai rapidi cambiamenti culturali e di gusto musicale dei giovani americani si cerca di non perdere la conquistata popolarità televisiva. E se “Where The Action Is” chiude i battenti, il gruppo riesce a farsi scritturare per il nuovo programma prodotto da Dick Clark: “Happening '68” (intitolato dopo alcuni mesi, semplicemente “Happening”) e che ispira il titolo anche di uno dei due album pubblicati quell’anno. I ragazzi dismettono temporaneamente i buffi abiti da soldati, che attiravano lo scherno dei giovani hippies. La casa discografica cerca di battere nuove strade e indirizza i Raiders verso Memphis, tra le braccia di Chips Moman, musicista e autore locale, che in coppia con Dan Penn ha già scritto brani divenuti subito dei classici come Dark End Of The Street o Do Right Man, Do Right Woman. L’idea piace al solo Lindsey, tanto che il resto del gruppo rimane in California e compare al completo, ma solo nel disegno della copertina di “Going To Memphis”, il disco frutto di quelle sessions. Alle registrazioni partecipa invece, non accreditata, la crema dei musicisti del posto. Lindsey scrive sette brani che si adattano al blue eyed-soul suonato dai valenti turnisti di Moman, a cui vengono affiancati una manciata di cover (tra cui la celebre Soul Man di Sam & Dave) e il nuovo singolo Piece Of Mind, proveniente invece da una precedente sessione registrata a Los Angeles dai 'veri' Paul Revere & The Raiders, per l’ultima volta sotto la direzione di Terry Melchior. Tra fuzz e accenni gospel il 45 giri, ancora discretamente venduto, ha evidentemente il compito di non disorientare troppo i fan della band.
“Going To Memphis” sembra in effetti, per il resto, quasi un disco dei Box Tops e rappresenta una sorta di parentesi nella discografia della band, in cui molti intravedono l’inizio della carriera solista di Mark Lindsey. Il problema è che nessuna delle canzoni si lascia ricordare e così anche questo estemporaneo tentativo in area country/soul, finisce per non entusiasmare nessuno.
Mark Lindsey torna quindi in fretta negli studi di Los Angeles e senza più l’apporto di Melchior, prende solitario il timone della band. Si riparte dal sound più elaborato e appena spruzzato di psichedelia lasciato in sospeso con Revolution per confezionare quello che rimane il massimo sforzo produttivo della storia della band: “Something Happening”. Ispirato dalle trovate di studio e dagli effetti del “Sgt. Pepper", Lindsey - autore di pressoché tutti i brani e anche produttore - cerca di portare il sound dei Raiders alcune miglia più in alto, per dirla con i Byrds. Siamo però nel bel mezzo del 1968 e i giovani americani non si lasciano certo impressionare dai timidi esperimenti di Lindsey (le acide, per gli standard del gruppo, Communication e Observation From Flight 285 in ¾ Time) e stavolta anche il pubblico più fedele rimane piuttosto indifferente. Le vendite dell'album sono ai minimi storici. Per la verità, sul formato ridotto i Raiders se la cavano ancora benino e singoli come Too Much Talk (che ricorda sfacciatamente nell'incipit la beatlesiana Paperback Writer) e Don’t Take It So Hard, scelti al solito tra le canzoni meno ardite del lotto, finiscono comunque in classifica. Non contribuisce certo ad accaparrarsi nuove simpatie l'immacolata immagine da bravi ragazzi della porta accanto sfoggiata nella foto di copertina. Traspare evidente il timore di non alienarsi il pubblico più tradizionalista, che potrebbe spaventarsi da certi ammiccamenti (Free, Love Makes The World Go Round) alla generazione che in quei mesi si appresta a vivere Woodstock e la contestazione alla guerra in Vietnam.
Marshmallow, pop e bubblegum music (1969-1970)
Anche se non tutte le ultime scelte artistiche si sono rivelate dei successi, il gruppo è di nuovo in pista nel 1969 con un altro disco, che già dal titolo conferma la propria attitudine, per così dire, ‘cerchiobottista’: “Hard’n’Heavy (with Marshmallow)”. A dire il vero il marshmallow (dolciume americano morbido e zuccheroso) sembra decisamente prevalere, con sonorità sempre più inoffensive, a cominciare da Mr.Sun, Mr. Moon, il miglior hit tratto da questo LP. La musica proposta è ora puro pop con vaghe tinte country e solo qualche fugace ricordo del garage-rock di pochi anni prima (Without You, Time After Time). Si comincia ad usare, nei loro confronti, la certo non lusinghiera etichetta di bubblegum music. La critica è forse un po’ ingenerosa nei loro riguardi, ma i ragazzi se la sono indubbiamente un po’ cercata. Lindsey in questa fase comincia a non mettere più la band in cima ai propri interessi e inizia a progettare una carriera solista in proprio. Anche per questo motivo, nel disco cominciano a riaffiorare brani scritti da altri componenti del gruppo, in particolare dall'attuale chitarrista Weller.
Il ritmo di due dischi all’anno viene confermato anche per il 1969, con l’uscita, ad appena pochi mesi di distanza, di “Alias Pink Puzz”. Rispetto alla prova precedente, nel complesso, c’è poco di nuovo e anzi, forse il livello medio delle canzoni segna un leggero scadimento, senonché stavolta, Paul Revere & The Raiders pescano dal cilindro un pezzo come Let Me, in cui sembra rivivere la grinta dei giorni migliori. Puro garage-punk degno di stare accanto a brani come Kicks o Just Like Me, tra i classici della band. E’ però un fuoco di paglia. Nel disco trova spazio anche Freeborn Man, che inaspettatamente, negli anni a seguire, viene ripresa più volte da artisti country-pop come Glenn Campbell, ma anche da band southern-rock come gli Outlaws. Che Paul Revere & The Raiders si trovino un po’ a disagio nei tempi che stanno vivendo, è confermato dalla scelta di affiancare, per un tour in Europa, i Beach Boys, altra band che in quei mesi mostra più di un segnale di spaesamento. Per il nuovo decennio la band cerca di fare un restyling a cominciare dal nome, accorciato in Raiders e vede un Mark Lindsey sempre più leader, anche se distratto dalla propria carriera solista. Lo stesso anno il cantante coglie infatti, con la leggerissima Arizona, un personale successo commerciale. Il primo disco del nuovo corso del gruppo è invece “Collage”, in cui seppur con qualche inciampo, si nota l'apprezzabile tentativo di aggiornare il sound con chitarre distorte e fiati ‘progressivi’. A livello di vendite è però un nuovo fiasco, sia per l’album che, stavolta, anche per i singoli estratti (Just Seventeen, il brano di punta, arriva a malapena al 70° posto in classifica).
Indian Reservation: l’ultimo colpo di coda (1971-1975)
Accade a questo punto l’impensabile. Nel 1971 i Raiders decidono di incidere Indian Reservation (The Lament of The Cherokee Reservation Indian), un brano a favore dei nativi americani scritto addirittura nel 1959 da John D. Loudermilk (quello di Tobacco Road) e già incisa con buoni riscontri da Don Fardon, l'ex-voce dei Sorrows. Sulle potenzialità del singolo, che dà il titolo anche a un nuovo album, la Columbia - a ragione - crede moltissimo, tanto che spinge i Raiders in un intenso tour promozionale. Il risultato è il primo posto in classifica tra i singoli negli USA, il primo ed unico nella storia della band e addirittura al 3° posto in UK, con vendite record per l’etichetta discografica. Il 33 giri, invero più modesto e leggero del precedente, va al traino e risulta il più venduto del gruppo da anni. Si tratta però di un colpo di fortuna, di un jolly pescato in una fase irrimediabilmente calante della storia del gruppo, che infatti non riesce a consolidare la rinnovata popolarità. La stessa Columbia non fornisce l’adeguato supporto al disco successivo della band, il leggerissimo e sempre orientato ad un pop con vaghe tinte west-coast “Country Wine” (1972), che vende pochissimo, così come i dimenticabili singoli che ne vengono estratti. La band arriva così stancamente e senza nuove uscite discografiche fino al 1975, ovverosia alla fine del contratto con la Columbia, per poi sciogliersi nell’indifferenza generale.
La reunion e gli ultimi anni all’insegna del revival (1976-2014)
Non passa nemmeno un anno che la sigla viene riesumata una prima volta da Paul Revere, stavolta senza Mark Lindsey, ma con alcuni dei protagonisti dei primi anni '70 (come il batterista Omar Martinez), per sfruttare la ricorrenza del duecentenario dell’indipendenza americana. Il ritorno è in pompa magna stile, con tanto di matrimonio del capo-banda celebrato sul palco proprio nella ricorrenza del 4 luglio 1976 e recupero dalla naftalina di quei costumi da soldati con cui la band si esibiva in scena circa un decennio prima. Al posto dei teenager, c'è però ora il pubblico meno esigente che alimenta i circuiti del revival e dei raduni dei reduci di guerra e delle commemorazioni storiche. Nel frattempo alcuni dei protagonisti del punk si rendono conto che le loro radici affondano nel garage e qualcuno rende omaggio, non sempre rispettoso, ai classici del genere. I Sex Pistols e i Minor Threat riprendono I'm Not Your Steppin' Stone, mentre i Circle Jerks e Joan Jett danno invece nuova linfa a Just Like Me.
Il revival del garage-rock, cui si assistite a partire dagli anni '80, riporta l'interesse su molti degli originari protagonisti della scena, ma trascura i Paul Revere & The Raiders. La scelta di essersi rivolti apertamente ad un pubblico perlopiù conservatore e ultra-patriottico ha inimicato molte delle residue simpatie rimaste, così che molti preferiscono ignorare il ruolo avuto dalla band nell'affermazione del genere, quanto meno negli anni centrali dei 60's. Non a caso, per molti, i Raiders sono ora paradossalmente solo il gruppo-meteora di Indian Reservation. Paul Revere con nuove incarnazioni dei Raiders continua sporadicamente ad esibirsi dal vivo, ma bisogna attendere sino al 1982 per ascoltare un 'nuovo' disco, quando viene dato alle stampe l'auto-prodotto “Special Edition”, con una manciata di nuove composizioni, scritte in prevalenza dal cantante Michael Bradley e alcuni brani del vecchio repertorio risuonati per l'occasione.
E' la prima di una serie di uscite discografiche aventi tutte caratteristiche simili. Si tratta di dischi oggettivamente trascurabili, che vengono pubblicati da piccole etichette discografiche, mal distribuiti, ristampati più volte con titoli diversi e sempre con scarsità di notizie sulle registrazioni e sui musicisti effettivamente coinvolti. Il materiale è quasi sempre rappresentato da registrazioni dal vivo e/o rifacimenti in studio dei soliti, vecchi classici e non è facile fare ordine in una discografia del genere, peraltro già copiosa di suo. E' chiaro che possono rivestire un qualche interesse solo per i collezionisti allo stadio terminale. Già l'anno successivo si replica quindi con “Paul Revere Rides Again”, che almeno ha una copertina gradevole alla vista. La scaletta parte con l'ennesima versione di Louie Louie e continua come è facile immaginare...
L'instabilità regna sovrana: Revere licenzia Bradley e si affida al cantante di origini cubane Carl “Carlo” Driggs, già a capo dei dimenticati Kracker (alcuni dischi all'attivo nei primi '70 e opening act per i Rolling Stones). Il nuovo frontman rimane a fianco del vecchio Paul per oltre un ventennio, in una formazione che ad un certo punto include anche Jamie Revere, uno dei figli del titolare. Per le sortite live degli ultimi anni, ricorre invece ai servigi del poliedrico Darren Dowler, già protagonista di altre operazioni all'insegna della pura nostalgia (vedi le varie rimpatriate di Lettermen, Jordanairies, Fifth Dimension...), chitarrista addirittura dei primi Backstreet Boys, nonché attore, ma di secondo piano, in alcune produzioni hollywoodiane. Il progetto di Revere di affidargli la scrittura dei nuovi brani per un nuovo disco della band si scontra inesorabilmente con la malattia che colpisce il leader: un cancro che lo porta via nell'ottobre del 2014. Si sarebbe trattato del primo vero e proprio nuovo album da alcuni decenni, dato che anche le ultime uscite, in ordine di tempo, rimangono i due volumi di “Ride To The Wall”, due album votati alla raccolta di fondi per i veterani della guerra in Vietnam, con brani inediti e evergreen - non solo dei Raiders - di quel periodo. Dowler pare comunque aver non gettato la spugna e porta tuttora in giro una alquanto discutibile formazione, chiamata Paul Revere's Raiders.
Antologie, dischi dal vivo e ristampe
Per i non-completisti della band è consigliabile una delle tante antologie uscite nel corso degli anni. La migliore rimane la già citata “Greatest Hits” del 1967, che si concentra sulla fase più ruspante e garage-rock del gruppo. Da evitare invece “In The Beginning”, uscita lo stesso anno: la band è raffigurata in un disegno con gli abiti da soldati, ma il materiale è tutto risalente al periodo pre-Columbia. Dall'ampio catalogo della major sono uscite svariate altre raccolte. La seconda fase, quella più pop, è rappresentata al meglio da “The Raiders' Greatest Hits Volume 2”, ideale seguito del primo volume. Nonostante la pessima copertina non è male neppure il doppio “All Time Greatest Hits”, che si ferma un attimo prima di Indian Reservation. Negli anni 80, la sempre lodevole Edsel pubblica la valida “Kicks”, con una buona scelta tra singoli e estratti dagli album del periodo d'oro. Per avere un compendio più corposo del tantissimo materiale prodotto dalla band bisogna attendere, nell'epoca del cd, la doppia “The Legend Of Paul Revere & The Raiders”, uscita nel 1990 e ormai di scarsa reperibilità. In anni più recenti la Collector Choice ha assemblato in un box di 3 cd tutti i singoli del periodo di maggior successo e almeno nei primi due dischetti di “The Complete Columbia Singles” (2010), si possono (ri)scoprire cose notevolissime. Interessante anche "Hungry for Kicks: Singles & Choice Cuts 1965-69"che include le versioni originali su 45 giri di molti brani.
Per chi si contentasse di un singolo cd, esiste sempre la piuttosto recente “Kicks! The Antology 1963-1972” della Raven (2005), che inanella una trentina di pezzi. Di dischi dal vivo, come abbiamo visto, ne esistono anche troppi, ma nessuno è veramente rappresentativo del periodo migliore della band, o perché contenente registrazioni troppo recenti o addirittura, come nel caso dell'omonimo Paul Revere & The Raiders uscito per la Sande, perché troppo lontano nel tempo. Si tratta, di fatto, di semplici provini suonati dal vivo, senza pubblico, nel 1963, per quello che sarà poi il secondo album del gruppo. Le più interessanti registrazioni dal vivo disponibili sono contenute in “Mojo Workout”, doppio cd della Sundazed del 2000, che raccoglie registrazioni dal vivo e demo risalenti alla fase cruciale della band che precede il contratto con la Columbia (da fine '63 agli inizi del '65). Gli album del gruppo sono stati a lungo fuori catalogo, ma quasi tutti quelli usciti per la Columbia, data la loro ampia diffusione negli anni '60, possono essere facilmente acquistati usati anche senza svenarsi, magari da rivenditori di oltreoceano. Negli anni '90 l'ottima Sundazed ha ristampato su cd tutto il catalogo da Here They Come! a Alias Pink Puzz, con alcuni bonus. Nessuno degli album è convincente dall'inizio alla fine, ma quanto meno quelli prodotti da Melchior possono valere la (contenuta) spesa.
Carriere soliste e gruppi paralleli
Che dire dei progetti dei singoli componenti? Sui tre dischi solisti di Mark Lindsey si può tranquillamente sorvolare. “Arizona” (il più venduto), “Silver Bird” e “You've Got A Friend” tutti usciti nel biennio 1970-'71, mostrano la vena più sdolcinata del cantante, con arrangiamenti mainstream di classici pop e country e risultati che possono rimandare al più sbiadito Neil Diamond. Lindsey rimane poi ai margini del mondo dello spettacolo, riducendosi a prestare la propria voce per gli spot pubblicitari, salvo occasionali reunion con i Raiders.
Le cose più interessanti, ancorché piuttosto sconosciute, le offre Drake Levin, il chitarrista dei giorni migliori. Allontanato frettolosamente dalla band da Revere alla fine del tour estivo del 1967, perché ritenuto responsabile dell'abbandono, pressoché contemporaneo, sia di “Smitty” Smith che di Volk, Levin forma con quest'ultimi una nuova band, i Brotherhood, che firma subito per la RCA. Tra il 1968 e l'anno successivo vengono pubblicati ben tre album: l'omonimo, il secondo “Brotherhood Brotherhood” ed un terzo “Joyride”, con formazione più allargata e a nome Friendsound. Dei tre, il terzo è il disco più sperimentale e psichedelico. I Brotherhood si muovono grosso modo negli stessi territori dei Raiders, oscillando tra tentazioni più psichedeliche e un'irrinunciabile vena più pop, ma l'impressione è quella di un approccio più genuino rispetto alle coeve produzioni del gruppo dal quale provengono. I tre album rimangono ugualmente invenduti e sono oggi raccolti in un doppio cd (“The Complete Recordings”).
Naufragato anche il progetto Friendsound, Levin non si dà per vinto e dà vita ai Cosmic Travelers, un'oscura band di matrice rock-blues psichedelico che può richiamare i primi Quicksilver Messenger Service. L'unico reperto lasciatoci è un valido e raro live che coglie questa band in un concerto alle Hawaii del 1972 (“Live! At The Spring Crater Diamond Head, Oahu, Hawaii”, uscito anche in cd per l'italiana Dodo). Freddy Weller, il chitarrista che sostituisce proprio Levin nei Raiders, è invece protagonista di una duratura, sebbene non eccelsa, carriera solista in area country-pop, sviluppatasi anche durante la propria permanenza nella band. Il disco più noto è “Games People Play” del '69. La title track, cover di un famoso brano di Joe South, finisce addirittura nella top ten dei singoli. Si ricorda infine l'unico omonimo album solista del bassista Keith Allison, uscito nel '67 e di fatto contemporaneo al suo ingresso nella band e con in scaletta anche la prima versione di Freeborn Man, una sua canzone che poi porta in dote alla corte di Revere. Si tratta, come è facile immaginare, di garage appartenente alla categoria pesi-piuma. Uscito dal gruppo, Allison si ritira presto dalla musica e si dedica alla carriera di attore. Per finire, si ricorda l'esistenza di un ormai piuttosto stagionato documentario sul gruppo destinato al circuito dell'home video, “The Last Mad Man Of Rock'n'Roll” (1996), che può contare sul vasto repertorio di filmati risalenti al tempo delle numerose partecipazioni alle trasmissioni della TV americana.
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