Bridget St. John – Michael Chapman 31 Maggio 2015, Londra, Green Note
Folk matinée: due amici sul palco
Giocano quasi in casa Michael Chapman e Bridget St. John. Lui, benché originario dello Yorkshire, si è fatto le ossa nei circuiti folk londinesi della seconda metà dei sessanta, prima di giungere al debutto con l'album "Rainmaker", nel '69. Anche se la sua figura, dalla metà degli anni '70, è lentamente scivolata verso un ruolo di culto, ben oltre trenta album hanno arricchito la sua discografia (il suo ultimo disco di inediti, "Polar Bear", risale infatti appena allo scorso anno). Anche la sua attività concertistica è stata pressoché costante sino ad oggi. In tutti questi anni Michael Chapman ha sempre suonato il suo folk di matrice britannica, pur aggiungendovi spezie tipicamente americane (blues e country) e senza disdegnare sperimentazioni più ardite, che non a torto lo hanno fatto considerare una sorta di John Martyn minore. La storia di Bridget St. John è ben diversa. Originaria proprio di Londra, pubblica tre delicati album di folk acustico, molto apprezzati agli inizi dei '70 (i primi due, "Ask Me No Questions" e "Songs For The Gentle Man" su tutti), per poi trasferirsi a New York e ritirarsi dalle scene.
Di lei si perdono le tracce sino a quando, complice anche il rinnovato interesse verso la scena musicale di cui, per una breve stagione, anche lei è stata protagonista, torna timidamente a riaffacciarsi sui palcoscenici prima del Giappone (il live "Joli Madame" in coppia con Taku Hayashi, del 2010), per poi calcare con una certa continuità quelli inglesi, spesso in tandem proprio con l'amico Michael Chapman. I due si esibiscono in set separati al Green Note, un piccolo pub vegetariano nel quartiere di Camden, una sorta di isola a poche decine di metri dal caos dei frequentatissimi vicini mercatini. La capienza del locale, frequentato, almeno nell'occasione, da un pubblico di età grosso modo paragonabile a quella dei due musicisti, è di poco più di 60 posti, per cui al concerto serale è stata aggiunta un'esibizione pomeridiana. Il concerto è comunque sold out.
Michael Chapman
Sono quasi le tre del pomeriggio quando Michael Chapman imbraccia la chitarra acustica e sale, solitario, sul piccolo palco del Green Note. Bastano poche note per capire che il nostro è rimasto un gigante della sei corde, dando ampio sfoggio di una notevole tecnica sia con il fingerpicking che alla slide. La sua voce porta invece inevitabilmente i segni del tempo. Per quanto la sua non sia mai stata un'ugola d'acciaio, con gli anni ha perso in potenza e guadagnato, diciamo così, in profondità, acquisendo un timbro ancor più oscuro e catramoso. Tra un brano e l'altro il cantautore inglese intrattiene il pubblico con simpatici aneddoti (consentendosi così anche il tempo necessario per cambiare le accordature delle chitarre). Presentando That Time At Night, una canzone che dopo esser stata inclusa, nella versione di Lucinda Williams, nel tributo "Oh Michael, Look What You've Done" (del 2012), ci spiega che proprio la cantautrice americana avrebbe voluto organizzare un duetto dal vivo, senonché alla richiesta dell'indirizzo email per fissare, Chapman ha dovuto ammettere che non utilizzando affatto internet non ha alcun indirizzo email. La scaletta del concerto non indugia sui brani dei primissimi album del musicista, che sicuramente sono anche i più conosciuti. Brani relativamente più recenti come The Twisted Road, con cui apre il proprio set, o Memphis in Winter. non sfigurano però di fronte ai suoi classici. Da consumato professionista qual'è, Michael Chapman dosa con astuzia le limitate energie della propria voce, giostrandosi la carta di alcuni brani strumentali (come Sensimilia o Trains), che intervalla tra i brani cantati. Il pubblico segue attento l'esibizione, che raggiunge quasi un'ora di durata.
Bridget St. John
Il calore con cui viene accolta al suo apparire sul palco, lascia immaginare che il pubblico sia accorso al Green Note principalmente per assistere al concerto di Bridget St. John. La cantautrice oggi è una matura signora (n.d.r. la sua carta identità è un po' più benevola rispetto a quella di Chapman) che, nonostante il lungo periodo di inattività, ha conservato la voce di un tempo. Ad ogni applauso del pubblico abbassa gli occhi sorridendo, lasciando trasparire un carattere tutt'altro che aggressivo, perfettamente in linea con la sua proposta musicale. Le sue sono canzoni cantate e suonate in punta di dita, che riportano i presenti nel clima "incantato" degli anni d'oro del folk inglese; l'epoca in cui uscivano dischi belllissimi, come quelli di Nick Drake, il debutto di Vashti Bunyan o "The Time Has Comes" di Anne Briggs. Il concerto della cantautrice alterna brani autografi, tratti dai suoi dischi ufficiali, ad alcuni inediti e varie apprezzate cover. Dopo Castaway, eseguita come brano d'apertura, è la volta di un'eccellente versione di Just Like A Woman. Il testo viene interpretato in prima persona dalla cantautrice, che si pone dunque come la protagonista del classico di Bob Dylan. La St. John rende omaggio anche al musicista che l'ha preceduta sul palco, interpretando Rabbit Hill, presente già nella sua versione sul recente tributo di cui dicevamo.
I ricordi del lungo periodo passato negli Stati Uniti (con tanto di riferimenti a George W. Bush), sono l'occasione per introdurre The Fiddle and The Drum, una cover di Joni Mitchell. La resa del suo piccolo classico Ask Me No Questions è salutata con particolare entusiasmo dai presenti. E' l'ultimo pezzo cantato in solitaria dall'artista, che a quel punto richiama sul palco Michael Chapman, che l'accompagna alla seconda chitarra per l'esecuzione degli ultimi quattro brani del concerto. Dopo Fly High, è la volta di altre due rifacimenti: The River è una canzone "minore" che John Martyn aveva scritto per "The Tumbler", suo album del 1968. Il brano successivo, The Lazarus, è tratto invece dal repertorio della cantautrice di origini pellerossa Buffy Sainte Marie. La St. John ci racconta di aver sempre desiderato vedere Buffy Sainte Marie dal vivo e che, su stimolo della propria figlia (che, come ci racconta, nell'occasione l'accompagnò in auto), pochi anni fa riuscì a coronare questo suo sogno, dovendo però guidare per ben otto ore per raggiungere il luogo del concerto. Il set si conclude, dopo un'ora abbondante, con l'ottima If You've Got Money. Si conclude così una 'folk matinée' (come recita il manifesto del locale) d'eccezione, che ha visto protagonisti due maestri del genere, due artisti genuini che hanno ancora voglia di emozionare il loro ormai non certo folto pubblico. E ai quali perdoniamo volentieri qualche inevitabile ruggine dovuta al passare del tempo.
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