Deadwood Dick #1 (di 7): “Nero Come La Notte” Joe Lansdale, Michele Masiero, Corrado Mastantuono
In quanti modi può essere “letto” un fumetto, anche il più mainstream? Vediamo di fare un punto con qualcosa fresco di edicola…
Level 1- DEADWOOD DICK, IL FUMETTO
Joe Lansdale, Michele Masiero, Corrado Mastantuono: tre nomi che coprono una sezione vastissima del mondo del fumetto, accomunati oggi dal fatto di essere tutti e tre presenti sulla cover del primo numero di Deadwood Dick, la nuova Mini Bonelli. Masiero ha un passato ben noto: curatore storico di MisterNo fino alla sua chiusura, ha sempre bazzicato territori geografici e letterari di frontiera spostandosi fra il West e l’Amazzonia; Mastantuono è invece uno degli illustratori più raffinati e importanti dell’attuale scena fumettistica italiana, che si è fatto le ossa su personaggi come Nick Raider e Magico Vento per poi esplodere come copertinista e affermato disegnatore top; Lansdale è infine uno scrittore statunitense autore di racconti, fumetti e sceneggiature che cavalca fra i generi senza prediligerne nessuno, avendo creato un Suo proprio stile. Inevitabile che la fusione artistica di questi tre ingredienti generasse qualcosa di sicuramente affascinante anche se non propriamente originale: parliamo dell’adattamento a fumetti di uno dei personaggi di Lansdale, quel Deadwood Dick protagonista di un primo albo divertente e pieno di brio. Dal punto di vista della scrittura, Masiero tenta (e riesce, in buona parte) di catturare lo spirito fortemente iconoclasta dello scrittore americano, tracciando binari che corrono tra il grottesco e l’ironico per una storia che parte con un mood particolarmente postmoderno: un duello che si congela per andare poi in reverse, in un veloce flashback che traccia le caratteristiche portanti del protagonista, quel Nat Love che diventerà Deadwood Dick. Farraginosi all’inizio, i dialoghi di Masiero prendono la rincorsa per lanciarsi in una narrazione scapestrata, divertita e divertente, che getta buone basi per un primo numero (dei sette previsti) accompagnata dalle immagini sublimi di un Mastantuono fortemente ispirato.
Level 2- DEADWOOD DICK, IL FUMETTO DELLA “AUDACE” BONELLI
Che la Bonelli voglia scrollarsi di dosso la patina di buonismo è ormai chiaro anche ai sassi. Il primo volume della mini Deadwood Dick, “Nero Come la Notte”, si apre con un “...brutto stronzofigliodiputtana!...” che fa bella mostra di sè nella prima nuvoletta della seconda vignetta dell’albo, e si chiude con un “...forza figli di puttana!...” nella penultima dell’ultima pagina. Insomma, una dichiarazione d’intenti che, strillata così, suonerebbe anche falsa se non fosse che la storia della casa editrice fa capire come ogni sua mossa sia ovviamente studiata ma mai finta o finzionale, semmai sempre funzionale al suo intento. E non si può dire che Deadwood Dick non centri l’obiettivo: rendere la narrazione più “matura” dello standard bonelliano, spingendo un po’ più in là il limite del visibile e del dicibile senza però mai cadere nel cattivo gusto.
Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte per non scontentare nessuno che però alla fine scontenta forse tutti: il lettore più smaliziato potrà sorridere di fronte alle scene di sesso azzardate ma mai più che osè (qualche capezzolo, qualche sedere e inquadrature ad hoc), e magari per qualche parolaccia che esce di qui e di lì, mentre quello più ingenuo si troverà forse a disagio di fronte ad un tipo di storytelling maturo e consapevole, raffinato e colto. Certo è che alla fine Deadwood Dick sembra volersi spingere più in là (audacemente, proprio, come l’aggettivo della sottoetichetta che esordisce) avendo però paura di farlo e soprattutto di farlo troppo. Resta l’indubbio merito di aver messo il primo -andando a memoria- protagonista di colore nel titolo di un albo di grossa distribuzione e di continuare a sfornare proposte e albi che, piacciano o meno, hanno un livello qualitativo di scrittura e disegno non meno che buono, quando non ottimo.
Level 3- DEADWOOD DICK, IL FUMETTO DELLA AUDACE BONELLI CHE NON SA COME FARSI AUDACE
Dalla scomparsa di Sergio Bonelli è cambiato tutto. Inutile nascondersi dietro un dito: il passaggio (generazionale?) da Sergio a Davide è stato più violento e traumatico che da Gianluigi a Sergio. Perché se in questo si è mantenuta una stessa linea editoriale accelerando magari più sulla varietà delle proposte, in quello avvenuto dopo la scomparsa del grande Sergio il cambiamento è stato più lento ma profondamente, assolutamente dirompente. Prima di tutto, il colore: che può sembrare roba da poco, ma aver dato il colore ad albi che prima erano in tutto e per tutto caratterizzati dal b/n è di certo qualcosa di enorme. Senza contare che la colorazione incide non poco sul prezzo mentre non si sa quanto sul gradimento. Andando poi al di là di questa variazione cromatica, c’è molto altro: la volontà di rompere dei confini, di frantumare la tradizione, di rinnegare in qualche modo le linee guida di una casa editrice che ha fatto storia con il grosso pericolo di sbarellare. In questo sens Deadwood Dick è un po’ il punto di non ritorno: storie che vogliono essere adulte ma che non hanno il coraggio di esserlo fino in fondo, autori di primissimo piano che viaggiano con il freno a mano tirato, la ricerca di un (nuovo) formato in un mercato selvaggio e ondivago.
Si, perché anche il formato di DD è un piccolo/grande cambiamento: se le dimensioni degli albi di Tex e Zagor hanno fatto non solo storia, ma addirittura scuola (con un’intera generazione di case editrici che rincorrevano la Bonelli sfornando albi cosiddetti “bonellidi”, ovvero simili alla Bonelli), da un paio d’anni la casa editrice milanese ha investito su un nuovo formato che ha meno pagine -64 invece di 98- e qualche centimetro d’altezza in più. Con storie e personaggi (da DD, appunto, a “MORGAN LOST: DARK NOVELS”, da "CICO" a "CREEPY", da “DYLAN DOG: I COLORI DEL BUIO” a “DRAGONERO ADVENTURES”) che sembrano strizzare l’occhio al lettore dagli “anta” in su, mantenendosi però sempre su una linea fintamente morigerata che probabilmente inizia a mostrare la corda; e interrompendo una coerenza anche stilistica e materica (perché si sa, chi compra i fumetti è al 90% un collezionista, e il collezionista poco gradisce le novità strutturali) in modi che, almeno sui social, la “maggioranza (non più) silenziosa” sembra non gradire affatto. Senza voler arrivare alla misura estrema per cui il lettore va “educato” e non si possono scrivere storie pensando a quello che piace, è corretto voler innovare solo per inseguire una modernità che alla fine è solo effimera? È giusto rinnegare in maniera prorompente il passato nel tentativo di acquisire nuovi lettori? E soprattutto: ripaga un cerchiobottismo quando alla fine per tenere due piedi in una scarpa, quella scarpa si rompe? ----- Il secondo Deadwood Dick (Agosto 2018) si intitola: "Rosso come il sangue".
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