Steve Kilbey and Martin Kennedy YOU ARE EVERYTHING
[Uscita: 10/05/2013]
# CONSIGLIATO DA DISTORSIONI
Chi non ha mai ascoltato i Church si é perso una buona parte di paradiso in terra: la voce gentile di Steve Kilbey, i cori celestiali e le aeree chitarre Rickenbacker di Peter Koppes e Marty Willson-Piper ci hanno confortato per tutti gli anni '80 e nel decennio successivo sino ai giorni nostri. La loro ultima esaltante fatica discografica “Untitled #23” (Second Motion Records), appunto la ventitreesima, risale al 2009: I Church furono solo una delle grandi rock-bands che la prodiga Australia regalò al mondo in un decennio funestato in Inghilterra ed in Europa da un melenso synth-pop che decretò la morte delle chitarre. Le altre si chiamavano Died Pretty, Triffids, Hoodoo Gurus, Go-Betweens, fautrici di psichedelia mesmerica, esaltante garage-pop e personalissimo story-telling. Forse i Churchs sono stati e sono gli eredi più legittimi dei Byrds, non solo per l’uso affine delle Rickenbackers, ma soprattutto per lo stesso approccio 'umano' alla materia rock, capace di generare come nessun altra compagine prima e dopo di loro delle 'visioni' poetiche e soniche benefiche e pacificanti per lo spirito.
Il deus ex-machina dei Church è da sempre l’eclettico Steve Kilbey, l’autore di Under The Milky Way, una delle composizioni di dream-pop più belle della storia del rock. Kilbey ha avuto costantemente un’intensa attività solistica parallela ai Church, qualcosa come sedici album in venticinque anni, cominciando dal magnifico “Unearthed” del 1987. Tra l’altro Kilbey ha iniziato negli anni scorsi una proficua collaborazione con il chitarrista/compositore Martin Kennedy, artefice del combo strumentale elettronico di sapore ambient-pop australiano All India Radio (12 album tra il 2.000 ed il 2012), che ha sortito una preziosa triade di opere: “Unseen Music Unheard Words” (2009), “White Magic” (2011), sino a questo recentissimo “You Are Everything”, che con Kilbey e Kennedy vede collaborare Leona Gray, Hollie Houlihan-Mckie, Jason Bunn e Jen Anderson. Un lavoro ben bilanciato (come i suoi due predecessori della trilogia) tra suggestioni elettroniche, ethereal pop, ambient, con un immaginario compositivo ben piantato nella produzione del gruppo madre Church. Il tutto si traduce in questo “You Are Everything” in mesmeriche rifrazioni di elettronica ambient ma soprattutto in delicate ineffabili perle soniche pop che portano la firma inconfondibile di Kilbey, come I Wouldn't Know, Brother Moon, Sister Sun, Can’t Get Free, Lorelei. Insomma Steve Kilbey è vivo e vegeto signori, una gran bella notizia ci pare, e ci delizia ancora in questa valle di lacrime con il suo songwriting elegante, aristocratico e gentile.
P.S.: A corredo della recensione vi rimandiamo all'intervista del nostro Maurizio Galasso a Steve Kilbey qui in calce.
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