Temples SUN STRUCTURES
[Uscita: 10/02/2014]
# Consigliato da DISTORSIONI
E' inevitabile mettendo in play il disco dei Temples non rigirarsi la copertina fra le mani per controllare che non ci siamo portati a casa l'ennesima bella ristampa di psichedelia sixties. In aggiunta a questo c'è quella copertina non esattamente originale che oltre 40 anni dopo ripete (senza minzioni però) quella leggendaria del capolavoro "Who's next" (1971) di Townshend e compagni. Laggiù si voleva evidentemente sbeffeggiare Stanley Kubrick ed il monolite della sua odissea spaziale, i giovani Temples invece non hanno di certo queste mire o ambizioni. Anche perché loro sono giovani e questo splendido "Sun structures" è solo il loro disco d'esordio e viene subito dopo due promettenti ep. La formazione dei quattro del Northamptonshire presenta James Edward Bagshaw, voce e chitarra solista, Thomas Edison Warmsley, basso, Sam Toms, batteria ed Adam Smith, tastiere e chitarra. La più spiccata caratteristica delle giovani generazioni d'artisti è che, grazie alla capillare e semplificata diffusione della musica on line, hanno accesso ad una quantità di materiale che molti anni fa chi voleva metter su una band o provare a fare qualcosa di personale manco si sognava. Diciamo questo perché è evidente che i quattro inglesi hanno ascoltato e mandato a memoria molti dei loro eroi di quasi 50 anni prima. Un operazione che ricorda molto quella che quei furbacchioni degli XTC, geniali musicisti, imbastirono col progetto parallelo targato The Dukes of Stratosphear circa 30 anni orsono. Ascoltate l'opener Shelter song e già verrete catapultati in quelle stesse atmosfere, quegli incastri vocali perfetti, quei suoni che sanno più d'analogico vecchia maniera che di digitale.
E la stessa Mesmerize sembra proprio un outtakes da "25'o clock" dei duchi della stratosfera. La splendida title track Sun structures omaggia pesantemente i Byrds di Renaissance fair, echi di Kinks 67-68 in The Golden throne, Marc Bolan resuscitato in Keep in the dark e via discorrendo. Le cose che sembrano un attimo più personali sono la celestiale Move with the season, Test of time ed i sei minuti intrisi di acido di Sand dance. Ma pensate allora che i quattro inglesi fanno puro e sterile revivalismo? Niente di tutto questo anche se apparentemente è così. I Temples hanno scritto 12 canzoni talmente belle che ci vuole coraggio per trovare solo il negativo in un disco così ben strutturato. Quest'album si pone idealmente sulla stessa linea di altre delizie quali "Standing at the sky's edge" di Richard Hawley, "Cabinet of curiosites" di Jacco Gardner oltre al bellissimo "Fanfare" di Jonathan Wilson. Tutte cose degli ultimi due anni. Ben vengano dischi così, del resto si riciclano pure gli anni ottanta con new wave e post punk, se ritorna una nuova ondata di neo-psichedelia è come manna dal cielo. Con questo "Sun structures" i Temples si pongono in pole position fra le giovani band che si rifanno alle sonorità di stampo psichedelico, quantomeno nel vecchio continente. Grande esordio, un'altra band da amare, le nuove generazioni crescono, ma solo a livello musicale, per adesso ci dobbiamo accontentare.
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