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31 Luglio 2015 ,

Van Der Graaf Generator After the Flood (at the BBC 1968-1977)

27 Aprile 2015 - Virgin-Universal

51ZRuwLmXUL._SY300_Si chiudeva profeticamente il nostro articolo su "Merlin Atmos", recentissimo e splendido documento dal vivo del Generatore, fotografato nel 2013, con le parole “In attesa che siano rese ufficiali, con adeguato mixing, mastering e restauro dei nastri originali, come unico capitolo, tutte le BBC session (36, solo 16 quelle pubblicate e in occasioni diverse) e tutte le sessioni radiofoniche, tedesche, francesi, belghe tra il 1968 e (almeno) il 1978, del gruppo, questo è e rimane, il loro massimo lascito dal vivo”. Dieci giorni dopo la pubblicazione dell'articolo (visionabile qui in calce) la Universal ha annunciato la pubblicazione, su doppio CD, di tutte le sessioni registrate dalla band per la BBC di John Peel, tra il 1968 e il 1977. Un bluff, neanche troppo “divino”, per citare un album seminale ("Godbluff"), nella produzione della band, perché, alle 16 pubblicate ufficialmente, qui, se ne aggiungono altre 5. Ne mancano dunque, altre 15.  Mark Powell, che ha rimasterizzato il progetto, realizzando, peraltro, un preziosissimo booklet interno, che racconta in maniera assai efficace il percorso delle band nelle sue prime tre incarnazioni, afferma che gli altri nastri sono andati perduti, danneggiati, o distrutti. Cosa vuol dire? I nastri registrati negli anni analogici scorrevano su bobine, sulle quali lasciavano un'impronta. Le sessioni radiofoniche, assai raramente erano a tracce separate e a quanto pare, nessuna dei VDGG lo è stata. Una volta terminata l'esecuzione, le bobine, con relativi nastri, andavano accuratamente conservate, per prevenirne il deterioramento ed era possibile riascoltarle, previa “cottura” del nastro stesso.

 

Il tentativo d'ascolto, senza precedente cottura, portava all'inevitabile distruzione della registrazione. Masse di inesperti e curiosi, transitati nei migliori studi mondiali, BBC e RAI incluse, hanno danneggiato irreparabilmente centinaia di documenti impagabili. Non solo, laddove il problema non è stato del nastro, spesso lo è stato dei mezzi di riproduzione, che col tempo hanno mostrato cedimenti inimmaginabili. Sul fatto che diverse registrazioni siano andate perdute non ci sono dubbi. Ne abbiamo di seri, se non serissimi, sul fatto che le danneggiate VDGGAtheF2cdbnon possano essere adeguatamente restaurate e masterizzate, con una tecnologia odierna che è in grado di: eliminare distorsioni andando, pazientemente, a ridisegnare le onde sonore; a cancellare rumori di fondo, ma anche scoppiettii, pop, riequilibrare o annullare oscillazioni di pitch/intonazioni di nastro ondivaghe; ricercare le frequenze su cui agisce uno strumento (o voce) e crearne una traccia a parte da rifinire nel dettaglio, per andare a costituire poi un mixing nuovo; amplificare e ridurre ambienti per andare a pescare e mettere in evidenza un singolo suono; bilanciare i due canali, compensando quello corrotto con l'altro. Facciamo tanto più bene ad averne, per un motivo facile: questo è e rimane un prezioso documento, ma Powell, dimostra con esso di essere in grado di masterizzare bene, se non benissimo, del materiale (lo aveva già dimostrato nel mastering non meno che eccellente delle BBC session dei Caravan, nel seminale doppio album "The Show of Our Lives"), ma di non essere minimamente un restauratore di nastri. Alla presenza di brani poco agibili, il nostro, sembra creare ancora più danni di quelli che un semplice fan, alle prese con una registrazione non ufficiale e qualche programmino scaricato in rete, è in grado di fare.

 

I Van Der Graaf Generator e la BBC di John Peel 

 

In breve, qui c'è, quasi sempre, materiale d'ottima fattura, o almeno di buon valore storico. Più spesso, il valore delle esecuzioni non è meno che eccellente, superiore a quello delle registrazioni in studio, ma, curiosamente, suona o benissimo, o veramente male, assai più che nei bootleg che i fan della band conoscono da tempo. Se la musica è suono, così come piacere che ne deriva, avremmo voluto prendere il primo dei due dischetti e buttarlo nella spazzatura o spaccarlo in quattro e mettere invece il secondo su un altarino personale. Altro particolare da considerare è che nel Photo of VAN DER GRAAF GENERATORcontroverso primo dischetto, figura Vision, brano di Hammill, dal suo primo album solista "Fool's Mate". Quale legame il pezzo abbia con la produzione della band (se non che il brano è stato registrato, in occasione di una session dedicata ai VDGG) non l'abbiamo sinceramente capito. Non c'è il gruppo intero a suonarla, ma Hammill alla voce e il solo Banton al pianoforte, come del resto è accaduto nella stragrande maggioranza dei dischi del leader e autore, che hanno visto alternars, a turno o assieme, membri della band. Un pezzo decontestualizzato, dunque. Ma non basta! Cosa volete gliene importi a un neofita della band avere due versioni di Darkness e Man-Erg, quando chiaramente è leggibile il livello di maturità esponenziale raggiunto nelle secondedi ciascuna di esse che figurano nella pubblicazione? Avrebbe un senso ad avere avuto più versioni per ciascun pezzo, così come accaduto, nelle frequenti incisioni della band per il loro affezionato cultore e mecenate John Peel, ma farlo per due soli brani... 

 

Istantanee ad alto contrasto di un suono leggendario 

 

Dulcis in fundo, l'incapacità di restauro rende sul CD 1 una tale discordanza di ambienti e qualità sonica da relegarlo a “compilation”, orrenda parola, per una produzione, che ben altro voleva, poteva e doveva essere. Non è un caso, dunque, che nessun membro, passato e presente della band, abbia ufficializzato l'uscita, o abbia speso mezza parola in merito ad essa. Ricordiamo, che l'assai parziale pubblicazione di BBC session del 1994, "Maida Vale", aveva come prefazione nel libretto un'accorata e sintetica prefazione di Hammill, che questa volta non ha neanche annunciato l'uscita del disco sul suo sito. Uscita peraltro prevista per il 23 Marzo, appena un mese dopo la pubblicazione del prima van der graafcitato Merlin Atmos e poi posticipata, senza alcuna motivazione al 27 Aprile. Nonostante questo, che comunque, non poco amaro in bocca lascia, qui è la musica a farsi largo e a spazzare via ogni sovrastruttura, senza mezze misure, nelle orecchie, menti ed emotività, di chi si predispone all'ascolto ed è un vero Pozzo di San Patrizio. “I Van Der Graaf sono sempre stati una live band” è quanto Hammill ha detto, precisando nel booklet a Maida Vale, a cui prima abbiamo fatto riferimento, che ci sono stati due gruppi a nome VDGG: uno, in studio, a testare i limiti possibili della realizzazione di un “disco pop” (superandoli, noi aggiungeremmo, laddove possibile) e l'altro, dal vivo, rumoroso e imprevedibile. Le BBC session a sua detta, ma anche a nostra, erano caos controllato, maelstrom cacofonico che incontrava la misura della forma canzone, per quanto “esplosa”, e di cesellatissimi arrangiamenti. Tempesta e quiete sotto lo stesso cielo, a microscopici intervalli temporali d'alternanza. Questo perché c'era la possibilità di sovraincisioni, di eseguire anche take preliminari, di essere, di fatto, in uno studio, con dall'altra parte, alcuni dei massimi tecnici audio mondiali riconosciuti e la certezza, che quel materiale, avrebbe rappresentato un lascito importante. John Peel era un grandissimo fan di Hammill, in tutte le sue esternazioni e l'ha sostenuto, finché ha potuto, in tutti i modi che gli erano possibili.

 

Il primo CD

 

Come peraltro precisato da Powell, nel booklet ricco di splendide foto, alcune inedite e di interessanti aneddoti, la storia dei VDGG, inizia con un demo, noto come Caleb '67, rarissimo, ma di qualità non meno che eccellente, per chi ne ha a disposizione la versione completamente restaurata, presumiamo qualche decina di persone nel globo. Dopo un singolo, prodotto nel 1968 - poi parte di un'edizione a tiratura limitata della ristampa su CD di “The Aerosol Grey Machine” (che arriverà dopo, nel 1969 e sarà comunque, un album di Hammill, più che il disco di una band vera e propria) - è la volta della prima incisione per la BBC, il 18 Novembre 1968. La band, salutato il fondatore Chris Judge Smith, nella sua prima incarnazione storica, ben poco solida (Hammill/Banton/Evans/Ellis), propone un van der graaf afterrepertorio già “post” psichedelico, assai mosso, ma ancora impersonale e naïf, nella resa negli studi radiofonici. Nulla ha particolare identità, se non la scrittura. Splendide, in quanto a sostanza, l'elegiaca ballad Afterwards (sul disco d'esordio, resa in una versione epocale, con un Hammill contraltista, baciato dagli dei, qui invece in una versione mediocre, priva di alcuna grazia vocale, quanto strumentale) e soprattutto la necrofila Necromancer, dove s'inizia ad intravedere un primo aspetto della formazione, la tendenza a temi oscuri e alla distorsione applicata agli strumenti, quanto alla voce, come caratteristica essenziale di un marchio sonico. Onore assoluto a questa pubblicazione mostrare una cosa, una volta per tutte. Se in studio la voce di Hammill, con la band fino al 1971, ha cercato una purezza assoluta e una perfezione nell'emissione, quasi “lirico barocca”, dal vivo questo non è mai accaduto, o meglio, è stata un'oasi nel delirio espressionista, lo stesso attaccato senza mezzi termini dalla critica (ieri come oggi), nelle incisioni dal 1975 al 2013, dove, la volontà di “liberare la forma” ha portato il cantante a cercare un suono che fosse quanto più possibile affine a quello di un sax, ora distorto, ora acustico, o di una chitarra elettrica, con, o senza distorsione (da qui l'appellativo di “Jimi Hendrix della voce”). Che serva questo documento a liberarlo dall'attacco ormai pluridecennale, di “quello che dal '75 in poi, non ha fatto altro che urlare?”. Lo ha sempre fatto, sin dall'inizio. Il suono di questo primo documento è appena sufficiente e persino inferiore a quello pubblicato sul "Box" della band nel 2000.

 

L'ingresso della formazione del sassofonista David Jackson, discepolo di Roland Kirk, nell'uso della doppia ancia, quanto di Ornette Coleman, nella vicinanza al verbo free e alla celebrazione del “suono”, prima ancora di qualsiasi abilità di fraseggio ben poco discutibile, porta la band all'ulteriore estremizzazione del suono organistico di Banton, costruttore dei suoi strumenti, modificati con filtri dal suono ultraterreno. Hammill, cresciuto vocalmente in maniera esponenziale, avvicina la duttilità d'estensione di Tim Buckley, esasperandola su un piano timbrico. Le geometrie delle frequenze gravi, ma solo per poco, saranno affidate al giovanissimo Nic Potter. Con questa formazione (la stessa di “The Least We Can Do is Wave to Each Other”, del 1970), che inaugura il periodo più “nevrotico ed allucinato” della band, supportato da testi esistenzialisti e ad una sorta di VDGGespressionismo cosmico, i VDGG registrano una prima session per la BBC (il 20 Gennaio del 1970, a precedere un concerto, per la stessa rete il 2 Agosto dello stesso anno, che in tanti, asseriscono di possedere in una versione di gran livello audio, ma qui assente) che include una buona versione di Darkness (comunque superiore all'ingessatissima versione in studio) e una After the Flood che supera i formalismi “a blocchi” della versione in studio, liberando l'intero combo,  formidabile Jackson su tutti, in una suite a comparti, che qui diventa assolutamente coesa e ed “apocalittica”. Primo episodio cardine di questa pubblicazione e primo capolavoro assoluto da segnalare. Non è un caso che questo disco, porti il titolo del pezzo. Potter, abbandona la band e i VDGG diventano un quartetto, con Banton anche ai bass pedals e Hammill sempre meno avvezzo alla chitarra acustica. Siamo, tristemente, già a “Pawn Hearts”, perché la versione di House with no Door, per l'emittente radiofonica, pare sia stata una sorta di “playback” e quella di Lost, (entrambi i brani, dal seminale "H to He who Am the Only One", ancora del 1970) è andata, disastrosamente, distrutta.

 

Ad aprire le porte al Maelstrom di cui prima l'immortale Man-Erg, metafora, assieme (e forse più) a 21st Century Schizoid Man dei corrispettivi indagatori dell'universo sonico senza confini King Crimson, dell'ambivalenza dell'essere. Tutti siam buoni E cattivi, angeli E demoni, allo stesso tempo. La buona qualità del nastro, permette a Powell, di agire con un mastering superlativo, nettamente superiore a quello di Maida Vale. Emozionante davvero sentire Hammill, che dà il beat al brano, prima del suo inizio, cosa rimossa da tutti i documenti, ufficiali e non. E' questa una versione importante, resa ancora più nitida dal mastering, che ne rivela ogni sfumatura nelle risonanze d'ambiente. La voce di Hammill è già storia, tra puro essere angelico e nevrosi demoniaca, Jackson è superlativo, allo 61lok2o9csL._SX466_stesso modo, in fraseggio, ora sommesso, ora stridente... ma, c'è un ma, purtroppo. Pare che un ritardo in cuffia abbia creato problemi ad Evans e difatti, la sua esecuzione “tira indietro” l'intero pezzo e lo rende fuori synch nella quasi totalità delle sezioni. Un autentico delitto, che riduce esponenzialmente il valore e la resa del brano. Della stessa sessione, nota anche come “The Black Session”, Theme One, brano a metà tra colonna sonora per un poliziesco anni '70 e inno, scritto da George Martin (sì, proprio lui, il “quinto” Beatles), come sigla, neanche a dirlo, per BBC Radio 1. Il brano viene adottato dalla band, durante alcuni soundcheck, dopo essere stato a lungo compagno di viaggio delle tournée, dove veniva regolarmente cantato da tutti, in furgone. A riascoltarla, con la distanza che il tempo crea, la traccia  risulta ben poco significativa, per quanto, infinitamente superiore alla versione di Cozy Powell, emblema di cattivo gusto. Segue, l'annunciata Vision, con un Hammill che sussurra con voce lamentosa e Banton ad accarezzare i tasti d'avorio, concedendosi anche qualche sbavatura di troppo, qua e là. Poi, è la volta di Darkness e qui, ritorna, la parola capolavoro. Questa versione è infinitamente superiore a quella del '70. 

 

E' chiaro come la band sia qui diventata un'autentica macchina da guerra, espressione di violenza e psicosi alla stato puro, un generatore di scariche elettromagnetiche, fatto di distorsioni applicate a voce e strumenti e una batteria che prepara vortici. Un incubo nero pece. Nel libretto, non è spesa mezza parola per la sessione che segue, quella del concerto in BBC, del 23 Settembre. Qui la band è su un palco, davanti ad un pubblico numeroso e decade, completamente, ogni “controllo”. Su questi brani, Powell, dimostra, più che altrove, di non essere stato all'altezza del compito assegnatogli, perché, per quanto grande sia la qualità del contenuto, la resa non è affatto differente da quella di bootleg come “Fellow Travellers”, anzi, alcuni remaster, ad opera di fan, suonano meglio. Si parte con Man-Erg, Hammill non è al piano, come nella versione precedente, ma al VDGG The BBC Sessions Backclavinet. Tutto qui, è non meno che perfetto, tra poesia e aggressione proto tech-metal, nell'ossessivo ribattuto di accordi centrale, che è emblema (come in The Musical Box dei cugini Genesis e in The Letters dei King Crimson) del significato “frattura ritmica”, anche se pure trapano a percussione tellurica, non guasterebbe in quanto ad “aggettivo”. W è un raga psichedelico di gran fattura, che va a disintegrarsi in cacofonia pura, su una nota mal controllata dal cantante, in questo caso nettamente superiore la versione in studio. Killer, è capolavoro tra tutti ed è la quintessenza del suono VDGG, oltre che il documento più importante dell'intero CD. Come in Darkness, tutto si muove in una direzione violentemente aggressiva, ma le dinamiche del pezzo permettono al quartetto di esprimersi in maniera meno monolitica, andando a costruire in alcune sezioni veri e propri “buchi neri sonici”. Jackson è protagonista assoluto, usando il sax alla stregua di un mitragliatore, Banton fa precipitare in gorghi virulenti il magma sonico emettendo suoni terrifici con un organo che risulta più dinamico di mille sintetizzatori messi assieme. Hammill è fratello apocalittico di Arthur Brown e Ian Gillan, esercitando una tale compressione di suono sulle corde, vere e false, da lasciar credere che le abbia potute lanciare sul pubblico, come scudisciate. Evans agita traiettorie circolari cesellando il vortice ai lati, in modo da lasciare che si espanda sempre più, allargandone la portata di devastazione. No, questo, non è progressive rock, è avanguardia pura, ancora oggi e sarebbe bello, rendergliene atto, una volta per tutte. Termina così, il primo dei due dischetti. Non c'è, purtroppo speranza che riemerga l'eccezionale Lemmings, del 14 Dicembre successivo. Il nastro è danneggiato, irreparabilmente.

 

Il secondo CD

 

Nella stessa sessione, fu registrata però, una magnifica Refugees, che apre il secondo disco, perfetto nel suono e superlativo in tutte le esecuzioni, nessuna esclusa. Il brano d'apertura, rimane una della ballate più belle e struggenti di sempre, dall'arrangiamento barocco e dal canto angelico, praticamente femmineo, da contraltista puro. Delizia autentica. Il 1972 che segue però, segna l'inaspettato scioglimento della band, per lasciar posto ad un'importante carriera solista del cantante, per quanto tutti i VDGG siano stati chiamati sempre a farne parte, fino all'arrangiamento di un curioso disco del 1975. vdgg_nortoncanon75Questo, recupera, tra l'altro, quella People You Were Going To che apre il lavoro a cui fa riferimento questo piccolo saggio, che ripercorre il decennio più importante di una leggenda mai tramontata, ma dai contorni ancora da definire. Dicevamo, un disco curioso, "Nadir's Big Chance", a nome Hammill, ma di fatto, ritorno tra i solchi di un vinile dell'intero quartetto, che trova un nuovo suono. Pochi accordi in brani scritti tra il 67 e il 68, strutture più lineari, un suono più grezzo e terreno, ma assolutamente contemporaneo, che più tardi, tra le note della title track, ma soprattutto, di Birthday Special (“clonata” dai Sex Pistols, col titolo Anarchy in The UK), avrebbe avuto un nome: punk. I Van Der Graaf Generator tornano in scena lo stesso anno, facendo tesoro dell'esperienza, senza radicalizzarla. Il loro nuovo suono, è quello di un jazz rock progressivo, con una secchezza sonica non dissimile da certe derive hard rock, testi esistenzialisti, ma non più descrittivi di saghe futuribili e fantascientifiche, strettamente “più umani”.

 

Non viene perso intimismo e le nevrosi tali rimangono, anzi a tratti suonano più accentuate, ma in parte ci si allontana dalla psichedelia e tutto è più “umano”. E' come se gli ideali giovanili del quartetto avessero trovato un vicolo cieco, elaborato il lutto in una, ora mesta, ora rabbiosa, matura consapevolezza. Non solo, quello che appare chiaro è la tendenza a delle architetture soniche sempre più geometriche (cosa che diventerà tema VanDerGraafGenerator2ossessivo delle incisioni in studio, dal 2008 in poi), meno circolari che in passato. E' dal vivo che il combo mostra di poter dare il meglio di sé, tanto nella resa dei classici, che in quella del nuovo repertorio. Le porte della BBC, che, già tre volte si erano aperte negli anni precedenti, per Hammill, ora tornano a riaprirsi per la band al completo. Accade ancora a Maida Vale, il 10 Luglio 1975. Vengono suonate Scorched Earth e The Sleepwalkers. Ambo le versioni sono più interessanti di quelle registrate in studio, dove l'energia risultava come “incapsulata” e la geometria come “cristallizzata a comparti”. Qui, ogni freno viene lasciato e la materia musicale integrata organicamente con emozione palpabile, soprattutto nel primo dei due pezzi, grazie ad un Evans in grandissima forma. Hammill scrive con una velocità e una pregnanza di contenuti impressionante, alternando dischi solisti a quelli della band, e se i percorsi risultano differenti - perché la forma nei dischi del gruppo madre cerca espansione e il suono rimane tutto sommato codificato - i contenuti dei testi sono spesso affini.

 

La fine di una lunga relazione e riflessioni esistenzialiste che ne conseguono, saranno oggetto di due dischi-culto, il solista, straziantemente intimo, “Over” e il sepolcrale “Still Life”, della band. Da quest'ultimo, sono tratte le bellissime La Rossa e il brano omonimo, registrate il primo d'Aprile del 1976. Estremamente dinamica la prima, con un acuto van_der_graff_live_1971pazzesco di Hammill, amplificato da un riverbero, a muovere organo, fiati e batteria, in dialoghi serratissimi, un autentico tour de force, che non risparmia nessuno, corde vocali in particolare. Ieratica, monumentale, invece, la title track, che dalla preghiera pagana in punta di piedi e delicatissima vocalità su un organo chiesastico, ad interrogarsi su significato e valore della vita, esplode in urlo e rabbia. Con "World Record", dello stesso anno, eccezion fatta che per due episodi (Meurglys III e Wondering), il suono del gruppo, inizia seriamente a risultare “appesantito”. Pur nella riduzione formale, i brani viaggiano su idee assai scarne, spesso deboli, mostrando un hard rock iniettato di jazz che non convince granché. Per quanto radicato in una scena jazz newyorkese ancora ben viva, il connubio sax-organo Hammond (quest'ultimo suonato con adeguato fare urticante e “cosmico” esclusivamente dal vivo, ma in studio, di fatto assai monocorde), non convince più. Lo mostrano i due pezzi che qui lo rappresentano, When She Comes e Masks, registrati l'11 Novembre del '76, per carità, ancora una volta più vitali che in studio, ma davvero nulla di che (nonostante l'amore incondizionato che Lady Starlight, mostra per i due pezzi, usati di frequente, in apertura dei concerti di … Lady Gaga). Hammill è consapevole di questo e rifonda la band, dalla quale esce Banton, Jackson va e viene, rimane solo Evans. A definire le nuove geometrie di un percorso, votato ora alla new wave, al cui verbo l'Hammill solista dedicherà pagine importanti, condite di glaciale avanguardia, tornerà ad esserci Nic Potter, al basso, ora, spesso assai distorto e verrà chiamato come strumentista solista Graham Smith, violinista dal suo assai acido, che un contributo essenziale aveva dato, già ad Over di Hammill e poi a "The Future Now" e "PH7" dello stesso. Ne nasce una nuova band, con nome ridotto a Van Der Graaf.

 

E' il terzo e non ultimo, capitolo della formazione, che darà luce ad un disco agile e freschissimo, tanto nel suono che in forma e contenuti, “The Quite Zone/The Pleasure Dome”. Dal vivo, viene chiamato a far parte del combo, il violoncellista Charles Dickie, anche ai synth. La band, tornerà ad un suono moderno, fantasioso e nervosissimo, maxresdefaultregalando a questo dischetto tre incisioni capolavoro, registrate il 24 Ottobre 1977. Il riff di Cat's Eye/Yellow Fever (Running) è affidato a violino e basso elettrico e sostiene le invettive vocali, come le irruzioni di batteria, per stemperarsi in una coda di gran lirismo. E' “baroque punk”! The Sphinx in the Face, è un'agilissimo brano dal taglio funk-wave, con voce (al culmine della maturità espressiva) in bella evidenza e a fungere da traino per la sezione percussiva, che trova accensioni e oasi di quiete, per ripartire poi in un finale da applauso. Assieme a La Rossa questo è il brano dalle dinamiche più agili, tra quelli registrati tra gli studi della BBC. A chiudere, è un medley epocale, che raccoglie il brano per eccellenza degli “ex” Van Der Graaf Generator, A Plague of Lighthouse Keepers e lo fonde a The Sleepwalkers, in un'alternanza di quadri psicotici, pari a una girandola impazzita e a saliscendi feroci. Esasperazione pura di un teatro espressionista, ora grottesco, ora, davvero inquieto, sempre potentissimo. A condurre le danze è il racconto della voce di Hammill (anche al pianoforte acustico), mai più preziosa, ricca d'armonici, scalatrice d'ottave, ora elegantissima, ora tuono, seguita alla perfezione da un Evans fenomenale. La sezione d'archi crea un senso di gran spazialità e nei ribattuti marziali, ossessivi, specie su The Sleepwalkers, Dickie si fa carico del ruolo di Jackson, con gran successo, suonando alla stregua di un sax baritono. Puntualissimo nel disegnare ragnatele geometriche, Potter; Smith, invece, intesse arabeschi.

 

van_der_graff_hammil_1971E' incredibile constatare quanto sia superiore questa versione, a quella che di lì a poco, seguirà sul live “Vital”, con cui, deragliando completamente verso un suono anarcoide, selvaggio, non privo di grandi intuizioni, ma più prodigo di devastazioni strutturali e armoniche, l'epopea della band si chiuderà, per tornare a far parlare di sé, nel 2005. John Peel, purtroppo, non potrà goderne. Morirà pochi mesi prima, nell'Ottobre del 2004, ma accompagnerà la carriera solista di Hammill fino alla fine degli anni '80. La storia del Generatore, tra le pareti della BBC, non avrà dunque, un nuovo corso. After the Flood è documento essenziale, tanto per cultori, che per nuovi iniziati alla band. Una certa intransigenza per l'incompetenza con cui il suono è stato gestito, a tratti, non riesce, comunque, a lederne l'importante valore storico e artistico. Dopo la pubblicazione di Merlin Atmos e questo nuovo doppio documento, finalmente è possibile avere idea di cosa il Generatore ha prodotto dal vivo nel corso di quasi 50 anni. Basta aggiungervi Squid One/Squid Two/Octopus, dal remaster di H to He, Pioneers Over C, Nadir's Big Chance e Sci-Finance da Vital, In the Black Room, Lemmings e The Sleepwalkers da "Real Time" e Childlike Faith in Childhood's End da "Metropolis" e la storia appare abbastanza nitida.

 

Lo sguardo di Hammill è sempre proiettato verso il futuro, ma, a 67 anni, con seri problemi cardiaci, si spera, alle spalle, è arrivato il tempo di pensare a raccogliere anche quanto il passato ha donato, con la stessa integrità del presente. S'è detto: tante sono le sessioni radiofoniche non pubblicate, indipendentemente da quelle per la BBC, ma tanti sono i master in circolazione di registrazioni da mixer (SBD) di concerti fatti tra gli anni '70 ed oggi. Era ed è abitudine infatti, di molti tecnici audio, soprattutto quelli ingaggiati per interi tour, di registrare quanto fatto su palco. Nic Potter, Keith Ellis, non ci sono più, prima che anche questi tecnici ci salutino, portando con sé i propri segreti, non sarebbe una cattiva van_der_graff_live_1976idea, provare a contattarne qualcuno. E' stato fatto per i Genesis, per gli Yes, i Deep Purple, i Led Zeppelin, i Pink Floyd e per qualsiasi band che oggi possiamo definire un “classico”, portando alla luce decine di live, alcuni dei quali, veramente essenziali. La cosa sarebbe tanto più indispensabile, per un nome come quello della band di Hammill e soci, che non è riuscita ad incidere un documento ufficiale della propria arte, nel momento più cruciale della propria storia, quello tra il 1970 e il 1976. Chissà che, da questa ricerca, non emerga qualche tesoro nascosto, da un vecchio forziere, lasciato per anni al fianco di un faro, la cui luce proiettata verso il nulla, è capace di svelare realtà occulte, colme d'inquietudine e grazia.

Claudio Milano

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