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18 Febbraio 2020

Libere Considerazioni Su Franco Evangelisti A Quarant’anni Dalla Morte


"... v'è il poeta della scoperta, quello del rinnovamento, quello dell'innovamento… [io sono un poeta] della ricerca. E quando non c'è qualcosa di assolutamente nuovo da dire, il poeta della ricerca non scrive".

(Amelia Rosselli)

 

Franco Evangelisti e la sfida dell'inesprimibile

Il 28 gennaio del 1980 ci lasciava prematuramente una figura che pur nella sua breve esistenza cavalcò i suoi anni e il suo tempo con incredibile intensità, lungimiranza, militante protagonismo. Tutto quello che accadde nelle neoavanguardie musicali, nella ricerca e nella sperimentazione formale delle arti, a partire dagli anni '60, in qualche modo lo attraversa e lo coinvolge direttamente o trasversalmente. Nella sua città, Roma, così come nei poli di maggiore fermento e vivacità della scena musicale contemporanea, da Darmstadt, fino a Palermo, da Colonia a L'Aquila senza dimenticare Bonn, Friburgo, Varsavia. Eppure il suo lavoro concettuale, le sue intuizioni su una necessaria convergenza dei linguaggi mediali, l'urgenza di svecchiamento e di abbattimento di certe rigidità sistemiche, rimane confinato alla ristrettezza elitaria di certi ambiti accademici che si auto-celebrano da anni in una chiusura pressoché totale di partecipazione, divulgazione e reale consapevolezza. Qualcosa che avrebbe spaventato certamente un compositore e un musicista attento e sensibile come lui. Lui che malgrado il suo lungo silenzio (sulla carta, si badi bene!) fu senza ombra di dubbio e precipuamente un comunicatore. Tutto nella sua esistenza e nella sua condotta depone a favore della sua mai doma volontà di lasciare un segno, un'incisione, un'impronta del suo passaggio. Tutto ci lascia intuire quanta etica pedagogica si annidasse nel suo essere contro corrente, nel suo ammonimento a un risveglio culturale e di coscienza, nella sua ragione critica. A distanza di anni è giusto che si arrivi a comprendere quanto la ricerca di Evangelisti sia stata influente e prolifica di molteplici sviluppi e come le sue previsioni siano giunte a compenetrare le vie più illuminate del nostro presente. Ci sono due bellissime descrizioni di grandi e autorevoli figure del secolo scorso su Franco Evangelisti che ne inquadrano molto bene la personalità inquieta, rigorosa, elevata nel senso più nobile del termine.

Giacinto Scelsi:

"Franco Evangelisti aveva un carattere molto difficile: litigava un po' con tutti e spesso era troppo irruento. Conoscendolo, però, scoprii che aveva un cuore d'oro, devoto alla sua famiglia come pochi. Aveva stima di me e della mia musica, sebbene sostenesse che in fondo la musica era morta e che tutta l'arte era morta e non aveva più scopo. Egli del resto non scriveva più. Aveva composto quattro o cinque pezzi, a parer mio ottimi, ma non ne voleva sentir parlare, se ne disinteressava completamente; secondo lui il mondo, la società era cambiata, non aveva più bisogno d'arte ma di altre cose ecc. È un lungo discorso che molti artisti fanno. Debbo dire - così, tra parentesi - che in fondo avevano ragione, e hanno ragione, se si considera l'arte come era stata considerata fino a quel momento in Occidente, cioè un'espressione della propria personalità, oppure un godimento per gli altri, o, peggio ancora, un divertimento per alcuni privilegiati (come è stata per secoli). Egualmente se si considera l'arte come una copia della natura... oppure un racconto di sentimenti, sia con la parola sia con i suoni. Il senso vero dell'arte è tutt'altra cosa".

(cit. Giacinto Scelsi, Il sogno 101, Quodlibet, 2010)

Goffredo Petrassi:

"Bisogna riconoscere la necessità dell'avanguardia e del sacrificio di alcune persone in suo nome. Ad esempio, non c'è dubbio che Franco Evangelisti si sia sacrificato per gli altri; diciamo per la cultura. La sua opera è stata feconda, visto che anche attraverso la sua azione le cose si sono modificate. Ero in contatto con Evangelisti, gli volevo bene e credo che anche lui mi fosse affezionato se mi portava sempre i suoi spartiti. Conservo ancora le sue prime pubblicazioni. Era una persona di una reattività eccezionale, sempre vivissimo, sempre con delle idee originali, non si acquetava mai ed era proprio questa sua vulcanica vivacità mentale che trascinava gli altri. Ho seguito tutte le sue polemiche, prima pro Darmstadt e poi contro Darmstadt, prima pro Stockhausen e poi contro Stockhausen. Non era soddisfatto di quello che scriveva in quel momento, né di Darmstadt né di Stockhausen né di Boulez né di Nono né di alcuno dei suoi compagni. Non era soddisfatto neanche di quello che avrebbe potuto fare lui stesso: infatti cessò di comporre ancora prima di avere problemi di vista. Era insoddisfatto, ma non perché cercasse qualcosa di più o di meno avventuroso: credo piuttosto che avesse una profonda necessità di assoluto, di un assoluto utopico, irraggiungibile. In arte il raggiungimento dell'assoluto porta all'afasia: afasia completa".

(cit. Carla Vasio, Autoritratto di Goffredo Petrassi, Mucchi Editore, 2017)

 

Franco Evangelisti (Roma, 21 gennaio 1926 – Roma, 28 gennaio 1980)

 

L'avvenimento sonoro è opera aperta, gesto compositivo in continuum così come l'esistenza di ognuno nel circostante, nel pensiero, nella realtà degli oggetti e nella ciclicità degli eventi. Franco Evangelisti prende atto senza mezzi termini delle difficoltà di linguaggio e di struttura, della pastoia concettuale in cui è catapultato il compositore del suo tempo, costretto a sottostare a vincoli procedurali troppo ingabbiati per rispondere alle sfide dell’originalità e dell’evoluzione che si stavano profilando già dalla fine degli anni '50 del suo secolo. Il merito indiscusso di Franco Evangelisti è stato quello di voler saggiare nuove sensibilità sonore, tendere ‘lo sforzo’ esistenziale in avanti usando coraggio e ardore, senza per altro mai penalizzare la propria interiorità, l’autenticità della propria essenza. Una essenza perfettamente bilanciata anche nella formazione: gli studi di ingegneria dal 1945 al 1948 che, seppure interrotti, ne esalteranno la natura rigorosa, analitica, razionale e critica; la passione per la musica - corsi di composizione con Daniele Paris (allievo a sua volta di Goffredo Petrassi) e pianoforte con Erich Arndt - che ne segnerà sicuramente la vivacità intellettuale, lo slancio creativo e intuitivo, il temperamento poliedrico che muoverà il suo talento lungo la linea dell’arte, della storia, di una lettura estetica imbevuta di lucido umanesimo e inquieta ricerca di senso.

Durante i corsi seguiti al Conservatorio di Santa Cecilia -a cui peraltro deciderà di non iscriversi- conosce Domenico Guaccero e Mauro Bortolotti, ritrova anche il suo compagno di scuola Egisto Macchi, stabilendo un sodalizio di intenti e grande affiatamento con tutti loro. Nel 1952 decide di andare in Germania per seguire un corso di perfezionamento presso la Musikhochschule di Friburgo con Herald Genzmer. Durante questo periodo inizia a frequentare i famosi Ferienkurse per la Nuova Musica di Darmstadt, entrando in contatto con esponenti di spicco della scena internazionale: Karlheinz Stockhausen, Luigi Nono e Werner Meyer-Eppler.  Matureranno quindi i suoi interessi per la musica elettronica e per le nuove risposte che si andavano delineando per aggirare le problematiche legate alla prassi compositiva, alla scrittura e alle potenzialità legate all’opera aperta e all’interpretazione. Nel 1956, Herbert Eimert, lo inviterà a prestare collaborazione presso lo studio elettronico della Westdeutsche Rundfunk di Colonia. Le ricerche nel campo applicato dell’elettronica sperimentale continuano sia a Gravesano, presso lo studio di elettroacustica dell’UNESCO, dove, su invito di Hermann Scherchen, testerà su base biofisica gli impulsi celebrali e la possibilità di una loro trasformazione in onde sonore, sia a Varsavia, presso lo studio sperimentale della Radio nazionale che si era inaugurato nel 1958. Questo bagaglio esperienziale sarà il frutto della grande spinta propulsiva che animerà dal 1959 le Settimane Internazionali di Palermo per la Nuova Musica, iniziativa superbamente portata avanti senza coperture istituzionali ufficiali e forse proprio per tale motivo rimasta prova preziosa di lungimiranza, qualità e libertà espressiva. Nella concezione di Evangelisti, legata all’alea controllata e alle possibilità di entrare nella complessità di un meccanismo plurimo di scelta e concatenazione estemporanea, prevedere dei campi aperti, lasciare all’esecutore margini operativi, non era qualcosa che degradava il ruolo e la preparazione del compositore. Nel pensiero di Evangelisti le due figure di compositore ed esecutore si avvicinavano nell’alto grado di sensibilità e tecnica musicale senza nulla lasciare al caso ma solo alla brillantezza e al gusto del gesto intuitivo. Per lui era necessario un distacco mentale dai gangli ideologici e dall’eredità culturale che di fatto costituiva vincoli procedurali e metodologici. Erano necessarie preparazione e professionalità ma costruite su nuove basi e su diverse sensibilità. Attraverso i legami con gli artisti visivi, con il Gruppo 63, con l’American Academy e, non da ultimo, seguendo da vicino le vicissitudini della R.N.Y.A.F. del suo stimato amico Giacinto Scelsi, Evangelisti intuisce l’importanza di una nuova apertura e sensibilizzazione verso altre culture, non necessariamente ancorate alla tradizione occidentale. Parla della musica indiana (Ravi Shankar si era esibito nel 1958, proprio in occasione di un recital tenuto presso la Rome New York Art Foundation, galleria d’arte di Scelsi e di Frances McCann ) e della necessità di ampliare i propri confini cognitivi su campi sonori inesplorati quali i micro intervalli, gli spazi dinamici e nuove misure ritmiche. «Si tratterebbe di accettare un sistema che rimanesse costante, di ricostruire su basi moderne uno scheletro sintattico riassuntivo che il sistema temperato offre con i suoi strumenti, determinare dei propri e veri confini che lo limitano; scheletro fatto di schemi o sintesi su cui fondare l’intervento (…) addensare in un unico campo operativo quelle particolarità che offrono tutti gli strumenti racchiusi dentro uno spazio le cui dimensioni siano fondamento del linguaggio; spazio la cui estensione è ampliata da parte di chi con libera cosciente realtà, opererà la scelta. Allora opera aperta, in quanto aperta a tutti gli strumenti e a tutti i fruitori che in seguito dovrebbero essere coscienti interpreti, concreatori allo stesso istante.»

insieme a Franco Nonnis

da sx: Giovanni Piazza, Antonello Neri, Franco Evangelisti, Ennio Morricone, Egisto Macchi, Giancarlo Schiaffini

L’idea di libertà si carica allora di valori molto alti che non possono essere scissi dal credo politico che, in un certo periodo storico, stava accomunando molti musicisti dell’avanguardia. Umberto Eco pubblicò nel 1962 il saggio "Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee", Werner Heisenberg dimostrò con la fisica il principio dell’indeterminazione, Henri Posseur portò in ambito musicale il razionalismo strutturalista. In quegli anni veniva esternata una voglia di rottura per progredire, per ripartire e ampliare gli orizzonti del sapere. La musica ebbe un ruolo importante nel tentativo che vi fu di avvicinare le arti, le sensibilità, i valori estetici. Il fenomeno musicale era chiaramente inquadrato in una metafora epistemologica che trovava radicamento profondo nell’antropologia, nel mistero filosofico dell’esistenza, allo stesso modo era capace di assorbire e riflettere le contraddizioni e le inquietudini di quel presente, le avvisaglie di un senso di alienazione latente. A tutte le arti si affidava un compito pedagogico di resistenza e tra artisti e pubblico doveva stabilirsi una forma partecipata di corresponsabilità e di consapevolezza. La forma momentanea è quindi un terreno d’indagine privilegiato nella poetica di Evangelisti e l’apertura è un modo di opporsi a una determinazione seriale che di per sé è un arresto, un cristallizzarsi, un regredire. Nell’opera chiusa la forma è data, il ragionamento critico si arresta, la provocazione dell’artista non può essere ammessa. Nella composizione Spazio A 5, per gruppi di percussione, voci ed elettronica (1959-61) è contemplato l’impiego in presa diretta di filtri e modulatori capaci di agire sulla sorgente sonora e modificare lo spettro di emissione. Partendo quindi da una partitura tradizionale si poteva agire in tempo reale sulle frequenze. «Questo materiale flessibile deve costituire il problema di ricerca e di sperimentalismo della composizione, sperimentalismo che cessa di essere tale una volta che sia stato scelto il materiale base della composizione». L’avvenimento sonoro in questo caso non è ingabbiato ma rappresenta l’ossatura di una sollecitazione che si rivolge a chi esegue. Chi esegue non è un semplice trascrittore a cui si richiede abilità tecnica e artigiana ma un corresponsabile che dà alla forma l’evoluzione e il dinamismo che sono intrinseci nel suono. Con Incontri Di Fasce Sonore (1956-57) Evangelisti organizza in un sistema geometrico di frequenze una sovrapposizione di suoni sinusoidali puri, dimostrandosi pioniere dell’elettronica ma solo allo scopo di portare alla luce la forza e l’energia del suono nell’amplificazione o nei micro intervalli. Il dato empirico e vitale del suono e delle sue forme dinamiche, soverchia il logocentrismo espressionista. A questo punto anche la scelta di arrestare la propria produzione scritta (dal 1962 al 1978 non metterà più mano allo spartito) per dare vita ad un gruppo di musicisti improvvisatori non sembra più tanto bizzarra. Ha una sua coerenza filologica, concettualmente è una continuazione espressa in action music. «Ero così giunto alla formazione di una musica improvvisata dove l’opera sarebbe stato il risultato di una scelta immediata».

 

L'indeterminato come gioco, l'assoluto come paradigma

 

Evangelisti è un pensatore, è razionale ma è anche e soprattutto musicista e sa che l’esperienza creativa può permettersi campi d’indagine più ampi e profondi. L’arte, come la scienza, sono chiamate a intraprendere la vocazione del nuovo. Il nuovo non è un fine ma una sfida, un modo per leggere se stessi in relazione agli altri, un modo per darsi senso, interrogarsi, mettersi in discussione, perfezionarsi. Acquista rilevanza sul piano estetico se riesce a dare una lettura intuitiva e brillante del contesto in cui opera. Il nuovo è dialettica incessante senza sintesi e senza soluzione di continuità. Qualunque volontà conciliativa uccide l’umano. L’umano va sempre riconquistato.

con, da sx, Ennio Morricone ed Egisto Macchi

Le contraddizioni storiche che Evangelisti scorge nel suo tempo e che cerca incessantemente di dissipare attraverso il suo pensiero e il suo agire, spiegano in parte anche il travaglio esistenziale della sua persona, i lati caratteriali, descritti da più persone a lui vicine, come spigolosi o poco inclini all’adeguamento passivo e diplomatico, il suo ruolo predominante, spesso troppo ingombrante nell’ambito della condivisione e del confronto di gruppo. Al di là di questo si deve anche rendere merito alla sua grande sensibilità e generosità, alla sincera e profonda amicizia che lo ha legato ai suoi sodali della scena romana. Franco Evangelisti incarna le inquietudini di uno spirito curioso, aperto alle nuove sfide, un genio ribelle, capace della sfrontatezza di una passione viva, brillante, radicata in ideali forti. Un creativo e un razionale, un critico attento a cogliere le sfumature, le tendenze, gli orientamenti della società a lui coeva. Il suo ideale era il “nuovo mondo sonoro” che auspicava e a cui il suo animo di artista propendeva; la visione lucida e profetica era l’inevitabile collisione di un mondo tradizionale a cui suo malgrado, come compositore si sentiva legato, e le nuove idee di forma che la classica scrittura e notazione musicale non potevano più esprimere in modo soddisfacente. Ma ciò che voleva, ancora una volta e malgrado tutto Franco Evangelisti era elevare e rendere protagonista il compositore. Dare centralità a chi crea, a chi ha la coscienza del gesto anche nella decisione di renderlo volutamente indeterminato, indipendentemente dagli strumenti con i quali opera e pur se affiancato dall’esecutore nella riuscita procedurale della cosiddetta opera aperta. «Quindi, ciò che è aleatorio non può essere confuso con ciò che è casuale; giacché quest’ultimo termine esprime una situazione che nell’attuarsi non comporta alcuna previsione a priori del modo di essere». Walter Branchi che collaborò con Evangelisti sia in Nuova Consonanza, nel GINC (Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza), e nello studio R7 di sperimentazione elettronica, dice, nel suo libro "Il Pensiero Musicale Sistemico (Aracne, 2017) che in Evangelisti domina l’idea di suono pre-esistente, di suono-energia primigenio. Questo lo porta ad attribuire al compositore un compito che trascende il semplice atto della scrittura per arrivare a una strategia filologica post nota che persegue la fenomenologia del suono e ne asseconda l’intelligenza che vi è sottesa come potenziale energetico. Lo stesso silenzio è espressione di energia pura. In "Ordini", strutture variate per 16 strumenti, del 1955, esalta in un crescendo le misure del silenzio. Silenzio che in una espansione centrifuga accresce la tensione fino a liberare energia che si concretizza in esplosione sonora. Federico Incardona, musicista e suo grande estimatore, parla di «Bagliore inaudito del suono» un suono che è pre-cosmico e pre-materico e che si autodefinisce variando nel suo dinamismo. Nel suo lavoro "Proporzioni" esalta l’uso degli armonici. Come fu fatto in pittura e in letteratura, mondi molto affini e intersecantisi con la sua ricerca, si critica la rigidità di ciò che viene immesso nel sistema e reso rigido e inamovibile a dispetto dell’evoluzione del sentire socio-culturale. Il suo scopo è superare l’uniformità intervallare tradizionale del sistema temperato poiché si rende conto che l’avvento elettronico e i nuovi media ne stanno evidenziando i limiti e l’anacronismo di linguaggio ma allo stesso tempo vuole che il suo ideale di ‘nuovo mondo sonoro’ possa essere in grado di rispettare una fede estetica, continuare a stabilire connessione e partecipazione emozionale come nella natura di ogni linguaggio. «Adeguarsi ai mezzi della nostra epoca non significa distruzione della tradizione, ma continuità della medesima nella direzione del suo tempo». Musica è pur sempre ‘organizzazione del suono’ è pur sempre medium chiamato a rispondere del circostante esistenziale, del qui e ora, delle inquietudini e dei tormenti di ciascun tempo. A queste problematiche Evangelisti ha cercato di rispondere. In modo scritto nelle prime fasi e in modo sotteso nell’ultima e incompiuta fase della sua esistenza, quella che ci lascia solo intuire e intravedere le possibili evoluzioni del suo pensiero, come nella più alta e sublime delle opere aperte.

Nel 1959 la sua opera per quartetto d’archi "Aleatorio", si basava su rappresentazioni grafiche di campi sonori in cui vi erano margini di variazioni che potevano portare a un numero determinato di forme diverse. Il senso e l’identità dell’opera resta comunque ancorato all’equilibrio cromatico che si è pensato. Il gioco-sfida dell’azzardo è un modo per liberare talento e intuito al momento della scelta. Il fare artistico deve poter spaziare su più dimensioni e armonizzarle. La scelta è sempre e comunque un fatto estetico. Saper proporre nuove dinamiche, tradurre l’immediatezza di un’ispirazione in azioni rilevanti è una potente forma espressiva. L’incontro comunicativo avviene per mezzo dell’irripetibilità di certe dinamiche, nel modo in cui si fanno affiorare. L’ultima composizione di Evangelisti, "Campi Integrati 2", riprende le fila teorico-speculative di una precedente composizione del 1959 per strumenti elettronici, iniziata a Varsavia proprio durante gli anni che seguirono l’esperienza maturata negli studi radio di Colonia per la musica elettronica (W.D.R.). L’incompiutezza dell’opera del 1959 è forse l’approdo di un iter ideologico nel quale sono stati funzionali anche gli anni di silenzio dedicati a riflessioni importanti, a prese di coscienza, a esperienze maturate e perfezionate in presa diretta. E non pare affatto una scelta casuale che negli ultimi intenti di Evangelisti si rientri nei ranghi di una prassi compositiva a tutti gli effetti -si pensi che l’esecuzione è affidata a strumenti tradizionali e non più elettronici- ma ad un modus operandi che si delinea attraverso passaggi ragionati e attraverso scelte che si lasciano appositamente aperte. È quindi un’opera aleatoria che stabilisce solo alcune direttive di sintesi, di durata e altezza. L’alea interroga l’esecutore sulla strategia, sulle modalità da adottare. Si prevede fin da subito anche la possibilità di arrivare a soluzioni incongrue. Il paradosso di questa partitura induce a perseguire una simmetria destinata a disintegrarsi proprio sulla base dei parametri che ne stabiliscono la direzione logica. Cosa vuole dire tutto questo? Forse una finale presa d’atto che vuole riconciliare l’arte e il suo procedere per intuizione con un atto creativo mai pleonastico o fine a se stesso ma sempre proteso ad un arricchimento, sia di chi lo mette in atto, sia di chi ne fruisce. Altra non casualità che sembra corroborare quanto fin qui sostenuto è il fatto che si sottolinei nei programmi di sala della prima esecuzione, del 10 dicembre 1979, (sedicesimo festival di Nuova Consonanza), che l’autore ‘ritorna alla composizione’, ovvero ritorna a strutturare qualcosa che per sua natura sfugge alla strutturazione, in occasione di un evento umanitario internazionale come quello che l’Unicef dedica al fanciullo. E tutto sembra trovare coerenza anche in rapporto alle sue concezioni politiche, alla perfetta sincronizzazione di Evangelisti con il suo tempo e con le sue problematicità. Dopotutto arte e musica sono pur sempre dei linguaggi, prevedono forme altre di comunicazione sensoriale, prevedono una pur bizzarra semantica connettiva. Ciò di cui si è fatto precursore Franco Evangelisti è stata un’alterità culturale viva, un senso critico acuto che rifiutava le categorie e le dualità come presupposti insindacabili. Ecco allora che possiamo leggere in tutto il suo percorso esistenziale un imperativo morale proteso a voler dare un autentico nuovo all’umanità. Fuori da ogni clamore, senza provocazioni o stramberie fini a se stesse. Il suo pensiero è forte, autoritario come lo era il suo carattere, se per autoritario vogliamo intendere inamovibile determinazione. La sua inflessibilità consisteva nell’opporsi alla banalità dell’ordinario, di non accettare mai una resa senza lotta. Forse così si spiega la sua frase enigmatica annotata sui fogli di "Campi Integrati 2"  con sottotitolo 'Giuoco per 9 strumenti' «Il problema resta politico», il problema resta nella scelta, nel gioco del rilancio e nella capacità di capire se, e in che misura, la nostra sfida viene raccolta da chi ci sta di fronte.

 

Teatro musicale e Gruppo d’Improvvisazione Nuova Consonanza: la poetica dell’informale

 

con John Heineman

Nella sua opera "Die Schachtel" (Azione mimoscenica per mimi, proiezioni, nastro magnetico e orchestra da camera) del 1963, ultima opera scritta prima della lunga fase silente e unica dedicata al teatro musicale, Evangelisti collabora con un pittore, Franco Nonnis, per presentarci un lavoro multimediale innovativo e post-drammatico in cui si abolisce l'idea di direzionalità e in cui la parola diventa azione scenica in una fusione globale di atti visivi, sonori e narrativi. Si fa evanescente l’idea di linearità, di un procedimento spazio-tempo. La parola si svincola dal suo contesto abituale ma continua a circoscrivere il significante, l’ambito semantico dell’opera. Ciò che si chiede è una partecipazione più matura del pubblico all’atto performativo. Di saper cogliere le provocazioni, poiché non è più possibile proporre una dicotomia tra corpo fenomenico e corpo semiotico. Esiste un’oggettività dell’azione che si esplicita e si compie nel suo presente, che traccia la sua fenomenologia nell’adesso. Un nuovo suono sistema che fa sempre più fatica a essere spiegato ma che va 'com-preso' eleggendosi a tutti gli effetti a nuovo paradigma. Una speculazione che aveva tormentato il Gruppo 63 e i pittori della neoavanguardia (Alfredo Giuliani e Franco Nonnis sono stati suoi intimi e carissimi amici), che forse ad un certo punto ha guardato talmente avanti da diventare sfuggente, malgrado i suoi buoni propositi. Ma in Franco Evangelisti possiamo scorgere una sua idea del comporre che è intrascrivibile ma delineata. È un’idea di composizione che forma il sistema nel tempo e nello spazio, in fase di viaggio. Così da ricondurre all’interno della ricerca ogni fase della performance e così da affidare al compositore il ruolo di cosciente interprete e concreatore. Questa sua ambizione sarà incarnata nell’esperienza di Nuova Consonanza e nel Gruppo d’Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC) nato nel 1964. Un tentativo di rispondere alle nuove sfide dell’attualità procedendo fieramente in avanscoperta e allo stesso tempo un modo per mantenere vivo e piacevole il momento musicale. Sinonimo di convivialità e compartecipazione, sincronia di piacere comune da comunicarsi e da comunicare. Il GINC è stato un meraviglioso spartito valoriale la cui forza è arrivata fino ai nostri giorni. Il senso di coralità e di empatia trovato in un gruppo di anime diverse.

«Proporzionare la propria sensibilità, la propria cultura in rapporto a un'idea collettiva e raggiungere quella serenità e quella fluidità di interventi, propri dell'improvvisazione libera, in cui è possibile 'lasciarsi andare' in una sequenza di azioni sonore che iniziano, si sviluppano e si concludono secondo una logica formale interna a ogni partecipante e, allo stesso tempo, comune a tutti».

da sx: Walter Branchi, Ennio Morricone, Giovanni Piazza, Jesus Villa Rojo, Antonello Neri, John Heineman (in piedi)

Riviene in mente la sua frase del problema che 'resta' politico e sembra lineare come non mai la successione di teatro - gruppo d'improvvisazione - Campi Integrati 2, nel suo percorso artistico. A differenza del solipsismo di un’opera ‘pensata’ e ‘preformata’ che in sé ha già un senso fraseologico e figurativo inamovibile, egli configura un’azione/reazione dinamica e d’insieme che evidenzi l’omogeneità e la forza del suono, la sua energia immanente. L’opera del gruppo non è virtuosismo fine a se stesso ma si interiorizza nel lavoro collettivo, nella pratica sperimentale e alla fine trova senso nell’esternazione subitanea. Il processo comunicativo non si interrompe, si amplifica. Trova nuova magia quando attraverso il gioco/sfida, lo stimolo, la provocazione, fa attivare una reazione primigenia che già è latente. A partire da un’intesa, come in un gioco, si arriva a stabilire una connessione con il suono-entità. La magia dell’imprevedibile, il tendere ‘lo sforzo’ sono sollecitazioni e stimoli che solo l’improvvisazione può innescare. Il gioco diventa sostanza musicale poiché è proprio dalla curiosità, dalla voglia di esplorare e di esplorarsi che può nascere sinergia e incontro. La musica comunica l’incontro quando i suoni emessi liberamente da ciascuno si compenetrano e avviene l’appagamento armonia-sintonia. A proposito del gioco si possono ricollegare due testimonianze importanti per inquadrare la vera grandezza di Franco Evangelisti. Giancarlo Schiaffini, suo allievo al corso di musica elettronica e membro del GINC, racconta la meraviglia che provò rivolgendo a Franco Evangelisti una domanda molto precisa al termine di una delle estenuanti giornate di prove del gruppo. Ore di esercitazioni passate a trovare suoni inusuali e timbri ibridati, sevizie sugli strumenti per omogeneizzare l’emissione o per ottenere tonalità del tutto atipiche. Improperi feroci seguiti al segnale di disagio che in genere lo stesso Evangelisti emetteva attraverso il pianoforte: che cazzo state a fa’?! Terrore maniacale di evitare fraseggi o fughe in solitaria. Sembrò spontaneo chiedergli, perché lo fai? La sua spiazzante risposta fu: perché mi diverto. Poi, durante la Tavola Rotonda del dicembre 2017, per l’Incontro Internazionale di Studio sul GINC organizzato dall’Associazione Nuova Consonanza, il maestro Ennio Morricone racconta di uno degli ultimi concerti tenuti dal gruppo a Villa Medici, seguito alla scomparsa di Evangelisti. Antonello Neri disobbedisce, rompe gli schemi prestabiliti per l’esecuzione e sfora sui tempi di durata, decidendo di scappare in solitaria e continuando a suonare da solo per oltre 4-5 minuti. Inizialmente si prova a stargli dietro poi si pensa: è impazzito. Ma Ennio Morricone dice: aveva capito tutto! E lo stesso Neri che è presente insieme a Walter Branchi, John Heineman, Jesus Villa Rojo e Giovanni Piazza, conclude: mi stavo divertendo, perché mai avrei dovuto fermarmi?

Forse un estremo omaggio alla filosofia di Evangelisti che va collocato nella magia dell’imprevisto e nella gioia di fare musica come forma di incontro. Non si può che dirgli grazie.

 

Romina Baldoni

ELENCO COMPOSIZIONI:

  • Quattro fattoriale (4!), piccoli pezzi per violino e pianoforte (1954-1955)
  • Ordini, strutture variate per 16 strumenti (1955)
  • Proiezioni sonore, strutture per pianoforte, (1955-1956)
  • Incontri di fasce sonore, composizione elettronica (1956-1957)
  • Proporzioni, strutture per flauto solo (1958)
  • Aleatorio, per quartetto d’archi (1959)
  • Spazio a 5, per 4 gruppi di percussione, voci e accorgimenti elettronici (1959-1961)
  • Random or not Random, appunti degli anni 1957-1962 per orchestra (1962)
  • Campi integrati n.2, giuoco per 9 strumenti (1959-1979)
  • Die Schachtel (La scatola), azione mimoscenica per mimi, proiezioni, orchestra da camera su soggetto di Franco Nonnis (1962-1963)

ELENCO TESTI CONSULTATI:

  • Evangelisti, Dal silenzio a un nuovo mondo sonoro, Roma, Semar, 1991.
  • di Franco Evangelisti e di alcuni nodi storici del tempo, Roma, Ed. Nuova Consonanza, 1980.
  • Mario Bortolotto, Fase Seconda – Studi sulla Nuova musica, Einaudi 1969.
  • Valentina Bertolani, Gli spazi del visibile nel teatro musicale di Mario Bertoncini e Franco Evangelisti in Teatro di Avanguardia e Composizione Sperimentale per la scena in Italia 1950-1975, a cura di Gianmario Borio, Giordano Ferrari, Daniela Tortora (2017 Fondazione Cini).
  • Gianmario Borio, Die Schachtel di Franco Evangelisti e la sua realizzazione cinematografica da parte di Gregory Markopoulos, in Worlds of Audiovision – 2011.
  • Daniela Tortora, Nuova Consonanza trent’anni di musica contemporanea in Italia (1959-1988), LIM 1999.
  • Alessandro Sbordoni (a cura), Improvvisazione Oggi, LIM 2104

Ringraziamenti:

Irmela Heimbächer, Bruno Ballardini, Walter Branchi, Laura Piazza, Giancarlo Schiaffini, Patrizia Sbordoni, Luciano Martinis, Alessandra Carlotta Pellegrini, la Fondazione Isabella Scelsi, l’Associazione Nuova Consonanza

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