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15 Novembre 2019

Michael Chapman 08/11/2019, Firenze, Circolo "Il Progresso"


Negli ultimi anni il cantautore inglese non si è certo risparmiato. A dispetto di un’età che non nasconde niente, Michael Chapman continua instancabile a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa con la sua chitarra. È la terza volta, che negli ultimi tempi, si affaccia dalle nostre parti. L’ultima sua esibizione, al teatro dell’Amicizia Castelfranco di Sotto (PI), è infatti appena dello scorso maggio. È però la prima volta che l’artista suona a Firenze, anche se il suo nome, nonostante le ottime recensioni ricevute dagli ultimi due suoi album (“50” e “True North”, entrambi prodotti da Steve Gunn, una sorta di suo allievo), non è certo in grado di attirare grosse folle. E così è anche per questa data, complice anche una pioggia non proprio invitante. È quindi solo un gruppo di circa cinquanta appassionati quello che accorre per assistere al concerto. In occasione di un’esibizione già di qualche anno fa, abbiamo raccontato su questo sito di una voce che non è più quella di un tempo, ridotta a una sorta di “talking-folk”, che accompagna, come può, gli intrecci in finger picking della sua chitarra acustica. Se, infatti, la voce è segnata inesorabilmente dal tempo e soprattutto da una vita che non è difficile immaginare ricca di esperienze di vario tipo (pur mantenendo ciononostante e anzi grazie a anche a questo, un notevole fascino), le dita del chitarrista, pur con qualche piccola incertezza, scorrendo sulle sei corde, riescono ancora a creare un’atmosfera magica. Talvolta si ha l’impressione che Chapman indugi su qualche passaggio strumentale, cercando il momento giusto per iniziare a cantare. Così il pubblico rimane incantato, appeso a quelle note pizzicate sulle corde, quasi in attesa che le storie delle sue canzoni prendano il via. Storie di vecchi treni più veloci d’America (The Mallards) o riflessioni su certi momenti di una di quelle notti, “in cui niente sembra andare per il verso giusto” (That Time Of Night). La scelta dei brani, che è probabile vengano scelti sul momento, non avendo neppure una scaletta, spazia in un repertorio molto ampio, andando a pescare soprattutto sugli ultimi dischi. Non si indugia dunque più di tanto sui pezzi forti dei primi dischi, “Rainmaker” e “Fully Qualified Survivor”, che magari i più nostalgici tra i presenti nel pubblico conoscono meglio. Non manca qualche ripresa da quegli album, anche se chi non ha mai avuto l’occasione di assistere a un suo concerto degli ultimi tempi, potrà essere rimasto un po’ sorpreso dalle versioni offerte in questo concerto, di brani come Soulful Lady o One Time Thing, scarnificate fino all’osso. Dall’ultima uscita viene pescato lo strumentale Caddo Lake, ma altri momenti salienti del concerto sono la bellissima esecuzione di Just Another Story, risalente a “Parallelogram”, opera divisa a metà con His Golden Messenger (2015), o That Time Of Night, che era già sul citato “50” (ma per la verità un po’ più antica, essendo una caratteristica del nostro quella di reincidere brani già pubblicati in precedenti dischi) e che Chapman, con modestia, rammenta essere stata incisa, in una “versione eccezionale”, anche dall’americana Lucinda Williams. Tutti brani che hanno un piacevole sapore antico, pur essendo stati scritti tutto sommato in tempi non lontani. Del resto la musica di Michael Chapman è così, sospesa fuori dal tempo. Come fuori dal tempo era la musica di John Fahey, un altro grande chitarrista a cui il nostro rende omaggio – non dimenticando però di ricordare anche Leo Kottke e Robbie Basho, un po’ la trinità della chitarra folk a stelle e strisce - proponendo un proprio brano strumentale scritto nel suo stile: Fahey’s Flag. Per l’occasione estrae da una tasca il suo bottleneck e scorre sui tasti della sua acustica rievocando in effetti le atmosfere tipiche del chitarrista di Takoma. L’omaggio non è certo casuale, essendo stato forse Chapman il più americano, tra i folk-singers della scena della Londra di fine anni '60, quando rivaleggiava, per così dire, con i vari John Martyn, o John Renbourn. Dopo circa un’ora e mezza molto intense, il musicista, dal palco, ringrazia i non moltissimi intervenuti che hanno sfidato la pioggia della serata fiorentina, sottolineando che comunque, “tutto questo non sarebbe possibile senza di voi”.

Filippo Tagliaferri
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