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18 Maggio 2020 ,

Ivar Grydeland & Henry Kaiser In The Arctic Dreamtime

2020 - Rune Grammofon
[Uscita: 24/01/2020]

La parola jazz, quasi sempre riferita a due giganti della chitarra quali il decano Henry Kaiser e il più giovane norvegese Ivar Grydeland, in questo caso non tragga in inganno. Nonostante i due maestri delle sei corde provengano entrambi da un’estrazione jazz a tutti gli effetti, non v’è ombra o minimo fraseggio, in questa affascinante opera che possa riferirsi a quella musica. Questo vale anche per il rock col quale Kaiser e Grydeland si sono più volte rapportati in seguito a prestigiose collaborazioni come quelle con David Lindley, Jim O’ Rourke, Richard Thompson, Fred Frith, e molte altre riguardanti il primo, e quelle con David Sylvian, Thurston Moore, Nels Cline e la connazionale Hanne Hukkelberg (già recensita da noi su queste pagine) per il secondo. Narra la leggenda che i due chitarristi incontratisi per musicare un documentario muto del 1925 dedicato alle spedizioni artiche dei due famosi esploratori polari Roald Amundsen e Lincon Ellsworth, prima di cominciare a “lavorarci” abbiano imbracciato le chitarre quasi per gioco e, osservando le immagini sullo schermo, si siano messi a improvvisare per circa due ore senza interruzioni rendendosi conto solo al termine della session di avere già realizzato in maniera inconsapevole la suggestiva e altamente evocativa colonna sonora del film. Trattasi quindi di album concept e di colonna sonora come gli stessi titoli dei cinque lunghi brani estrapolati da quell’improvvisazione, per un totale di poco più di un’ora, fanno bene intendere. Si procede infatti dall’ambient liturgico e onirico dei diciassette minuti di Roald Amundsen 1925 che apre l’album, alla più spezzettata e rumorista title-track che lo chiude con il suo quarto d’ora di sciamanica elegia. In mezzo ci sono ancora Spitzbergen, To The North Pole e N-25, brani dilatati e fuori dal tempo permeati da atmosfere sospese e soffuse dove le due chitarre si avvolgono, si intrecciano e si intersecano tra note lunghe e a volte dissonanti come gli estimatori dei soundscapes del Robert Fripp più ambient e imponderabile ben conoscono e viceversa piccoli tocchi magici picchiettanti e cristallini, iridescenti come il ghiaccio colpito dal sole. L’album, profondo, denso e di non facile fruizione, vive di vita propria anche senza l’ausilio delle immagini per cui è stato creato, anzi, in una sorta di bizzarro ossimoro, si presta felicemente ad un ascolto in un “silenzio visivo” fatto di buio e oscurità. Musica per occhi chiusi e per menti aperte.

Voto: 8/10
Maurizio Pupi Bracali

Audio

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