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6 Luglio 2020 ,

Neil Young Homegrown

2020 - Reprise Records
[Uscita: 19/06/2020]

Negli ultimi anni Neil Young ha intensificato l'attività di rivisitazione e pubblicazione del materiale presente nei suoi archivi, decidendo alla fine di dare in pasto al pubblico vere e proprie gemme, come ”Hitchhiker” (2017), album inventato a posteriori e che restituisce la sessione acustica del 1976 in cui furono immortalati brani diventati poi classici di Neil (Powder Finger, Pocahontas) e due inediti (Hawaii, Give Me Strenght) tra gli altri. L'operazione però più clamorosa spetta al travagliato annus Domini 2020, che vede finalmente l'uscita del leggendario ”Homegrown”, lost album che fu scalzato da ”Tonight's The Night” al momento della pubblicazione, nel 1975. 45 anni dopo Neil decide di far rivivere quel disco, che lui stesso definì un ”ponte” tra ”Harvest” e ”Comes a Time”, omettendo che ciò che stava nel mezzo (la cosidetta ”trilogia del dolore”) aveva influenzato e non poco le atmosfere bucoliche di ”Harvest”, ancora lontano dall'ingenuità folk di ”Comes a Time”. Ritenuto per anni una presenza mitologica nella discografia di Young, ”Homegrown” si pone come un disco collegato alle nebbie di ”On The Beach”, alle stramberie di ”Times Fades Away”, e al tono alcolico-depressivo di ”Tonight's The Night”, di cui sembra essere il gemello country-folk. In tutti gli album che Young ha pubblicato dal '72 al '76 possiamo trovare epigoni dei brani contenuti in ”Homegrown”: dalle ballate in 4/4 (Try, Separate Ways, Star Of Bethlem, Love Is A Rose), episodi piano-voci (Mexico), boogie stralunati (We Don't Smoke It No More, Vacancy, quest'ultima molto simile a World On A String), numeri folk per chitarra-armonica (Kansas, Little Wing, quest'ultima già presente in ”Hawks And Doves”). Difficile dire se ci sia un climax, o una canzone più rappresentativa di altre: come ”Tonight's The Night” anche ”Homegrown” è più l'espressione di uno stato d'animo, che si riflette nello scorrere delle canzoni, mentre la voce di Neil passa in rassegna le speranze infrante, dipinge quadri quotidiani di rapporti arrivati al capolinea, disegna fughe dalla propria vita, con il solito cipiglio un po' sognante, un po' imbronciato, un po' timido, un po' arrogante, ma sempre tremendamente sincero e diretto. La produzione rende un sound scarno e trasandato, eppure nitido, un trucco vintage che aiuta l'ascoltatore a immergersi nell'atmosfera di calda patina analogica. L'operazione di Young può sembrare l'ennesima paraculata di un dinosauro del rock, al netto di poche canzoni che non aggiungono molto ad un patrimonio artistico immenso. Tuttavia non si può non considerare invece ”Homegrown” come un tentativo di illuminare uno dei periodi più dolorosi e creativamente fecondi del cantautore canadese, su cui albergano ancora tante ombre. Neil, che bello che eri, che bello che sei.

Voto: 7/10
Ruben Gavilli

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