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24 Agosto 2016 ,

Rival Sons HOLLOW BONES

2016 - Earache Records
[Uscita: 10/06/2016]

Stati Uniti

 

rivalsons-hollowbonesI Rival Sons, conquistatisi di prepotenza una posizione di primo piano nello scenario hard-rock attuale, giungono al traguardo del loro quinto album di studio in poco meno di una decina di anni di carriera. Gli ingredienti sono quelli che ormai ben conosciamo: su tutto svetta la voce di Jay Buchanan, profondamente debitrice nei confronti di Robert Plant su tutti, ma a tratti capace di evocare, in alcune sfumature, da Tim Bucley fino al carismatico e compianto Shannon Hoon.

A supporto dell’ugola di fuoco di Buchanan un sound vintage che più vintage non si può, fatto di riff granitici e amplificatori spremuti con cattiveria. In questo panorama, il brano che probabilmente svetta su tutti gli altri in questo nuovo lavoro “Hollow bones” è Tied Up, che alterna al caratteristico incedere da riff-machine della band atmosfere più vicine al jazz-rock di vecchi gruppi come Colosseum, condito da sapienti tocchi di vibrafono. Una piccola “boccata d’ossigeno” tra un giro di chitarra zeppeliniano e un altro… Il bellissimo finale solista, che nelle sue divagazioni può persino ricordare i Rush dei primissimi due album, lascia un pizzico di amaro in bocca, venendo bruscamente sfumato prima che la traccia superi i tre minuti e mezzo di durata.

Questo è uno degli aspetti-chiave dell’intera opera: raramente la durata delle canzoni va oltre i quattro minuti, eccezion fatta per i 5 minuti e mezzo dell’hendrixiana Black Coffee e sons1per i circa 7 di Hollow Bones Pt. 2, un altro dei momenti in cui la band si allontana, seppur per minimi tratti, dall’hard rock di riferimento per concedersi dilatazioni lisergiche.

Si potrebbero dire tante cose, si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto su un disco così, e sui Rival Sons in generale. Sono uno di quei gruppi che non possono lasciare indifferenti: o si amano o si odiano, e la cosa paradossale è che ciò avviene per gli stessi motivi. Ha ancora senso, infatti, in pieno III millennio inoltrato, fare una musica così volontariamente e ostentatamente vintage, così agiografica, così dichiaratamente nostalgica?

La risposta sonsprobabilmente è sì, perché esiste una nicchia (o forse più) di appassionati, del tutto incapaci di separarsi nei loro ascolti abituali da dischi del passato come “Electric Ladyland”, o dai primi quattro dei Led Zeppelin, o dagli esordi di Cream e Black Sabbath, che cerca un costante rifugio in qualcosa che consenta loro, anche per i soli 37 minuti di questo disco, di rituffarsi, seppur in modo illusorio, in quelle atmosfere, in quegli anni, in quelle sonorità. Dagli anni ’80, ai ’90, fino a oggi, l’universo hard’n’heavy ha attraversato mille trasformazioni, si è evoluto e contaminato con sonorità molto differenti tra loro, si è reinventato in tanti modi. Ma evidentemente i Rival Sons e i loro aficionados non se ne curano.

Voto: 5/10
Alberto Sgarlato

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