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23 Febbraio 2017 , ,

Blackfield BLACKFIELD V

2017 - Kscope Records
[Uscita: 10/02/2017]

Inghilterra-Israele  #consigliatodadistorsioni

 

Un sodalizio che dura da dieci anni e cinque album quello dei Blackfield tra Steven Wilson e Aviv Geffen all’insegna di un pop-prog sofisticato e curato nei minimi particolari. E, senza togliere nulla al bravissimo musicista israeliano, se i primi due album sfioravano il capolavoro, già con il terzo c’era una leggera flessione ancora più accentuata in “Blackfield IV” dove la presenza di Wilson era un po’ più a latere come musicista e praticamente assente come compositore. Per fortuna non è più così; in questa quinta prova il Wilson ritrovato contribuisce in maniera quasi paritaria alla realizzazione di tredici brani sfavillanti e dalle melodie accattivanti e assassine come ai vecchi tempi, realizzando con Geffen e un paio dei soliti comprimari (Tomer Z alla batteria e Eran Mitelman alle tastiere) una sorta di concept album ispirato all’acqua e al mare.

 

Drop In The Ocean, che apre l’album, tiene fede al suo titolo essendo una goccia esclusivamente strumentale di poco più di un minuto, eseguita dalla London Session Orchestra, nell’oceano dei quarantacinque minuti totali dell’album; poi si parte alla grande: Family Man (anche singolo) e la successiva How Was You Ride? splendide intuizioni partorite da Wilson ci riportano nei felici territori dei Porcupine Tree più romantici o quantomeno in quelli tipicamente Wilsoniani, tra chitarre à la Gilmour, pianoforti soffusi e liriche malinconiche. Ma ovviamente anche Geffen fa la sua ottima parte accentuando il fattore pop: We’ll Never Be Apart è semplicemente bellissima così come ancor più la BLACKFIELD-390x235delicata e intimistica Sorrys per sola chitarra acustica e piano. L’ottima Life Is An Ocean ricorda i Moody Blues del periodo post prog più sofisticamente poppeggianti, mentre la movimentata Lately è un’altra valida pop song divisa tra Porcupine Tree e David Gilmour. Un altro strumentale per chitarra (quasi hawaiiana) e orchestra è Salt Water, poi Aviv Geffen si riprende il suo posto nell’universo pop con la cadenzata The Jackal che nel suo respiro blueseggiante e di “già sentito” è comunque un altro grande brano, come magnifica è October (guarda caso ancora Steven Wilson) che ancora una volta si avvale della London Session Orchestra che ha il pregio di arricchire e di non appesantire la splendida ballata Wilsoniana come spesso accade con le orchestre d’archi.

 

Prima della fine arrivano i brani più atipici: Undercover Heart è ancora una volta un radioso pop leggero e sofisticato che curiosamente si apre nel chorus ad atmosfere inglesi anni ’60 quasi Bacharachiane che potremmo immaginare con le voci di Cilla Black, Sandie Shaw o Dusty Springfield, mentre Lonely Soul che si avvale della voce femminile di Alex Moshe (ospite anche in Lately) è una sostenuta e quasi danzereccia pop song futuristica che nelle sue ritmiche e nel cantato ripetuto ricorda persino certe cose di Peter Gabriel e che non facciamo fatica a immaginare in un remix discotecaro. La chiusura dell’album, From 44 To 48 è però ancora una volta affidata a Steven Wilson che si blackfotoproduce da par suo in un’altra bellissima e struggente ballata che conclude un album che vede in cabina di regia insieme ai due protagonisti quella vecchia conoscenza di Alan Parson che, almeno in parte, dà il suo contributo alla produzione di questa nuova prova del duo anglo-israeliano che superando di un balzo le due pubblicazioni precedenti si avvicina, e non di poco, ai quasi capolavori degli esordi. 

 

Voto: 8/10
Maurizio Pupi Bracali

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