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22 Febbraio 2015 , ,

Ristampe ERIC BURDON & THE ANIMALS, THE SHADOWS OF KNIGHT, FASTEN BELT, THE FLIES

2015 - Sundazed-Lostunes-High Rise

 

ericwindsSundazed_Eric Burdon & The Animals: WINDS OF CHANGE (1967) - THE TWAIN SHALL MEET (1968)

Uscita ristampa: 24 Febbraio 2015, Sundazed 

 

Dopo il transitorio, orchestrale “Eric is here”, Burdon e Jenkins ricostruiscono gli Animals con un rinnovato spirito psichedelico. “Candeggiato” l’amore per la musica nera, Eric Burdon si abbandona ai colori vividi dell’estate dell’amore. Quelli tangibili della soleggiata California e quelli irreali dei fumi lisergici. Il risultato è quanto di più lontano dallo spirito “carnale” dei vecchi Animals. “Winds of change”, il primo frutto della nuova stagione, è una sorta di “chiamata alle armi”. E i “nuovi Animals” non ne fanno mistero, già dalle note di copertina e dall’“omelia” recitata della traccia inaugurale. Winds of change si piega dunque alle nuove dottrine freak e Burdon, smessi i panni di cantante, si limita a fare da cronista dei “venti diburdon4new_2504170b cambiamento” che spirano nel rock. Cita nomi (tanti, da Bessie Smith a Dylan passando per Zappa, Duke Ellington, Ray Charles, Ravi Shankar, Chuck Berry, Eric Clapton, Miles Davis, Muddy Waters, i Beatles e gli Stones), luoghi (San Francisco, soprattutto) e canta di “esperienze”, di sesso e di morte (come nel funereo mantra di The black plague, esasperante variazione sulle dissertazioni lugubri della Still I ‘m sad degli Yardbirds) su un tappeto di sitar, campanacci e percussioni che in realtà sembrano evocare più il Libro Tibetano dei Morti che la Summer of Love. Le scosse migliori arrivano dalla lunga rilettura della stonesiana Paint it black e dall’ultima, abrasiva e vibrante It ‘s all meat ma in generale Winds of change non è affatto uno dei dischi “imperdibili” della stagione freakedelica.

 

ericburdonmeetMeglio fa, pur senza scostarsi molto dalla linea inaugurata l’anno prima il successivo “The twain shall meet”.  E’ un disco molto più “corporeo”, pur muovendosi dentro i già ampi confini del precedente. Raga-rock, blues sfigurato, divagazioni acide, richiami etnici (indiani ma anche greci e scozzesi), ma pure un piccolo capolavoro di R ‘n B pronto per le bancarelle degli happening di quegli anni e che proprio ad uno di quelli è dedicato. Monterey è il ricordo febbrile di quella tre giorni in cui Hendrix, gli Who, i Byrds, i Buffalo Springfield, i Grateful Dead, i Moby Grape e i Jefferson Airplane bruciarono per la prima volta su un palco il grande sogno di un mondo nuovo. Lo stesso sogno che qui viene annientato, solo cinque tracce dopo, dalle visioni apocalittiche del “ponte” infernale di Sky Pilot. E’ il tragitto più credibile lungo la strada del flower-power percorsa dagli Animals nel triennio ‘67/’69. Ora li ristampa Sundazed. Se non vi siete ancora stancati di mettere i fiori nei vostri cannoni, potrebbe essere l’occasione propizia, prima che ve li intreccino a forma di ghirlanda.

 

Sundazed   Facebook         Ascolta   Winds of change   The twain shall meet

 

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THE SHADOWS OF KNIGHT: Live 1966 

Uscita: 27 Gennaio 2015, Sundazed

 

shadowsofknightE’ un po’ una furbata, il “nuovo” "Live 1966" appena pubblicato dalla Sundazed. Nel senso che di queste sedici tracce registrate dal vivo al Cellar Club di Arlington Heights nel Dicembre del 1966, ben tredici erano già state pubblicate dalla stessa label più di vent’anni fa, su "Raw ‘n Alive At The Cellar Club Chicago ’66" (1992). Le aggiunte riguardano tre interpretazioni abbastanza trascurabili di Anytime that you want me (che finirà poi nel repertorio degli H.P. Lovecraft, la band che ingaggerà Jerry McGeorge come bassista, NdLYS), Peepin’ and Hidin’ (cantata, come da tradizione, da Joe Kelley) e Willie Jean (interpetata, anche questa secondo consuetudine e in maniera alquanto dozzinale, da Tom Schiffour). Siamo agli sgoccioli della brevissima, fortunata avventura dei primi Shadows of Knight. Dopo il successo shadows of knighttrionfale di Gloria, la band ha subito il flop clamoroso di Bad Little Woman e I ‘m gonna make you mine e il pubblico locale ha già voltato loro le spalle eleggendo i Cryan’ Shames come nuovi eroi di Chicago. Warren Rogers è stato il primo a fare i bagagli. E infatti in questa esibizione, di lui non c’ è neppure l’“ombra”. Al suo posto c’è David Wolinski che era stato chiamato come tastierista aggiunto per le registrazioni del secondo album. Purnondimeno la musica del gruppo di Chicago è ancora furiosa e rovente (ne siano prova i pezzi che aprono e chiudono la scaletta), irrispettosa come impongono i tempi ma pure ossequiosa quando si tratta di inchinarsi ai piedi del Dio blues. Nera che più nera non si può. Nera come il carbone. Nera come la notte. Nera come le ombre.

 

Sundazed    Guarda  Shadows of Knight - LIVE 1966      

Ascolta  Raw ‘n Alive At The Cellar Club Chicago ’66

 

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FASTEN BELT: No escape from acid hysteria (1988)

Uscita Ristampa: 21 Dicembre 2014, Lostunes-High Rise

 

HysteriaDelle ristampe dell’archivio High Rise se ne parlava da tempo. Ad accennarne fu lo stesso Federico Guglielmi in una intervista di quasi dieci anni fa. Chi ha avuto la tenacia di aspettare, è stato premiato. "No escape from acid hysteria", il debutto dei romani Fasten Belt dell’ormai lontanissimo 1988, inaugura dunque questa nuova lista di acquisti obbligati. Erano i nostri diciotto anni. Che oggi riaffiorano. Da Roma, i Fasten Belt erano arrivati a bordo di un piccolissimo disco volante che in quegli anni in cui molti cominciavano a guardarsi le scarpe, pochissimi avevano notato solcare il cielo della musica (molto) indipendente. Tra questi, un sempre attento Guglielmi che i Fasten Belt li aveva già visti spavaldi ed elettrici aprire per i Naked Prey il 23 Aprile del 1987. Federico, che aveva avviato la sua etichetta quasi per caso un po’ di anni prima e che adesso cominciava a fare sul serio, offre loro un atterraggio di fortuna sulla pista della High Rise.

 

Il risultato fu pubblicato nell’ estate del 1988 con nove pezzi in scaletta tra cui una riedizione della No Dice che occupava il lato A del singolo di debutto e una rabbiosa versione di Safety in numbers degli Adverts suggerita dallo stesso Guglielmi. No escape from acid hysteria è un album corrosivo. Che è punk nella sostanza ma non nella forma. Perché i Fasten Belt ascoltano un po’ di tutto. Post e proto-punk, progressive, metal. beltMettono tutto in caldaia. E lasciano bruciare. Influenze che restano sottopelle. Subdole, insidiose. Incostanti e perfide. Le stesse che strisciavano, in quegli stessi anni, nella musica dei Celibate Rifles ad esempio. Che con la musica del gruppo capitolino aveva più di un’affinità. La digitalizzazione della ristampa dell’album che inaugurava allora il loro breve ma intenso percorso e che oggi inaugura la serie di riedizioni della High Rise non toglie nulla della sporcizia di quegli anni ma ne aggiunge anzi dell’altra. Addirittura un intero disco. Messo insieme catturando alcune registrazioni dal vivo nel triennio ‘87/’89. Col sangue che schizza ovunque. Sugli Stooges, sui Mudhoney. Addirittura sui Violent Femmes. Tutta la prima fase della storia della formazione romana (quella con Claudio Caleno cui ovviamente questa ristampa è dedicata) è racchiusa adesso qui. Per i posteri e i padri dei posteri. Perché non ci sia silenzio, mai.  

 

Faten Belt-Facebook      High Rise Records    Lostunes        Guarda  No Dice

 

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THE FLIES: On the other side of the tracks (and more) (1990)

Uscita Ristampa:  Dicembre 2014, High Rise

 

fliesNel 1990, a suggello e sigillo di un’epoca, arriva nei negozi il mini-LP dei romani Flies. Un disco di una bellezza indicibile che chiude il periodo d’oro del Sixties-revival italiano sulle ali di un beat-folk in cui è facile cogliere analogie col piumaggio di band come Turtles, Rokes e, soprattutto, Love secondo uno stile che  verrà presto adottato da altre formazioni romane come Others e Head + The Hares (che, oltre a raccoglierne l’eredità stilistica, ospiteranno in formazione anche Roberto Sarais, il chitarrista della primissima line-up delle Mosche, NdLYS). Anticipato dalle solite demo che allora servivano da “canale promozionale” e da un paio di pezzi autoprodotti pubblicati rispettivamente su uno degli ambiti sette pollici allegati alla fanzine Lost Trails e su una raccolta di band romane (Garbages, Cyclone, Hot Riviera e Ned Ludd a tener loro compagnia, tra gli altri), “On the other side of the tracks” arriva a valle di quello che sarebbe dovuto essere il vero debutto in proprio per i Flies, ovvero un EP di tre pezzi su etichetta Electric Eye che in realtà non vedrà mai la luce e per il cui aborto clandestino Claudio Sorge si scuserà pubblicamente al momento di recensire su Rockerilla proprio questo disco uscito per la High Rise del “collega” Federico Guglielmi. E’ il 1990 e il punk di derivazione Sixties è già stato messo alla porta dall’arrivo del grunge e del crossover. Un disinteresse che non gioverà di certo alla sorte del disco nonostante le meritate e lusinghiere recensioni che piovono un po’ ovunque, sulle riviste specializzate dell’epoca.

 

Sette brani in cui, oltre ai prepotenti richiami al folk-rock delle splendide, sognanti e dolorose Wrong Sunset, Lazy Sleeply Love, Dreams have gone, Eleven in the morning, Shadows come down on me, emergono due perle di vivace garage come Black Stars e Shout at your doll. La prima spaccata da due inserti chitarristici acidissimi che sembrano, ironia del destino e beffa delle stagioni, voler proiettare gli Yardbirds dentro l’epoca dei fliesMudhoney e la seconda spinta dalla formidabile armonica di Stefano Giustiniani. Influenze che lungo il corso di questa corposissima ristampa vengono non solo ribadite dalle tracce frugate dagli archivi della band (la ballata stonesiana Touched by your kindness, il goliardico yè-yè di Girl of the night, quell’altra perla rubata dal muco dell’ostrica di Arthur Lee che è Sweet Lover, il jingle-jangle di Deep Blue River che scintilla uguale-uguale a quello del Marr di William, it was really nothing, l’alticcia Looking at the morning sunrise) ma affiancate da altre passioni come il selvaggio R ‘n B bianco alla Shadows of Knight (Baby Baby, la cover di I just wanna make love to you, la Burning Time che sembra mimare le acrobazie beat dei Tell-Tale Hearts) e la finale cotta per il beat moderno dei Charlatans con cui i Flies (la comunque apprezzabile Good Times che chiude la carriera e la scaletta di questa attesa ristampa) chiuderanno la loro parabola artistica. Non so in quanti l’aspettassimo, questa reissue. Ci auguriamo davvero che si sia in tanti, stavolta, a cacciare le mosche. Chiunque vi porterà lontano da qui, vi sta portando in un posto sbagliato. Sappiatelo.  

 

The Flies-Facebook      High Rise Records    Ascolta Black Stars

 

Franco Lys Dimauro

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