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23 Marzo 2012 ,

Sixties Connection: Mad River Another Frisco Story (1965-1969)

2012

I Mad River si formano nel dicembre del 1965 dopo l'incontro fortuito fra Lawrence Hammond, da Berkeley, California, Tom Manning, poi bassista e Dave Robinson, chitarra solista, proprio mentre gli ultimi due stavano trasportando un amplificatore lungo una strada. Il tutto avviene nei pressi dell'Antioch College di Yellow Spring, Ohio, e ottiene come primo risultato una clamorosa jam di ben 40 minuti filati della celeberrima Gloria di Van Morrison. Reclutato rapidamente il miglior batterista della zona, tal Greg Dewey, i quattro ribattezzatisi Mad River Blues Band, dal nome di un affluente del fiume Ohio, passano gran parte del loro tempo a sperimentare strani suoni dalla chitarra di David Robinson, di imitazione giapponese, riuscendo poi a fare da band di supporto al grande Jesse Colin Young (Youngbloods). Si trasferiscono in massa con girlfriends al seguito a Washington DC, dove hanno occasione di esibirsi in qualche cantina, poi il ritorno a casa con la decisione di Hammond, già voce solista,  di imbracciare la chitarra ma soprattutto di aggiungere proprio un terzo chitarrista, Rick Bockner, noto per essere un suonatore ragtime oltre che cantante lui stesso.

 

Appare fin troppo chiaro che i ragazzi non hanno nessuna voglia di tornare a studiare nel college d'appartenenza, quindi visto che era in California che tutto accadeva, appare fin troppo scontata la decisione di migrare in massa in cerca di  fortuna nella favolosa Frisco del tempo, grazie alla sorella di Dewey che organizza il tutto. A questo punto e siamo nel 1967 il gruppo si sente maturo per il grande salto, passa lunghe giornate ad elaborare nuovi brani, tre di questi finiscono sull'adesso mega raro Ep omonimo su Wee Record (1967). Anche se non perfettamente inciso il 45 giri dimostra già la grandissima verve dei Mad River: A Gazelle è scattante e veloce proprio come l'animale, Orange Fire, una delle tante canzoni contro la guerra, è più tranquilla ma è sporcata da grattate chitarristiche,  Wind Chimes invece è già un primo fantastico assaggio delle capacità di improvvisazione della band, un delirio lungo 7 minuti, con tanto di cori Hare Krishna e divagazioni della solista di Robinson. Questi preziosi reperti sono reperibili in una bella antologia edita dalla Big Beat nel 1995,  intitolata "Nuggets From The Golden State - The Berkeley EPs (1966-1968)", insieme ad altri grandi quali Country Joe & the Fish, Frumious Bandersnatch e Notes From Underground

 

Pur restando in ambiente underground la band ottiene una maggiore visibilità che gli dà la possibilità di esibirsi con mosti sacri quali Moby Grape e Canned Heat; da ricordare poi un gig al noto Avalon Ballroom con Other Half e i soliti Youngbloods, questi ultimi conoscenti da lungo tempo oltre che vicini di casa dello stesso Robinson. Il gruppo nel frattempo riesce finalmente a strappare il suo primo contratto alla Capitol Records, che all'epoca aveva la Steve Miller Band e i favolosi Quicksilver Messenger Service in scuderia, tra gli altri. Il disco che ne viene fuori, l'omonimo "Mad River" (1968) è una delle più alte testimonianze del magico suono acid-rock dell'epopea sixties, ponendo altresì la formazione  tra quelle più mitizzate dai cultori del suono chitarristico di ogni tempo. Sono molte le leggende partorite intorno a questo album, in particolare il fantomatico missaggio dell'intero lavoro, che affidato a mani inesperte, aveva la particolarità di essere stato registrato a velocità superiore a quella reale, con lo stesso Hammond che non riuscì a correggere o posticipare l'uscita del prodotto finale poi dato alle stampe.

 

La benemerita Edsel, nota label inglese specializzata in produzioni sixties, ha provvidenzialmente provveduto a rimettere le cose a posto nel 1990, donandoci finalmente il disco così come era stato concepito. Ascoltando le due versioni - chiamiamole così - del disco, si possono notare  le differenze, e può essere tratto in inganno anche il più smaliziato ascoltatore ignaro dell'errore tecnico del master finale. L'originale in ogni caso ha un suo fascino particolare, anzi proprio nella registrazione analogica del vinile d'epoca risiede la bellezza dell'album a mio parere, con la particolare ma splendida voce di Hammond e le tre chitarre presenti a dettare legge. "Mad River" presenta infatti grandiosi excursus chitarristici in Eastern Light, fantastica con un piano semi-sommerso dagli altri strumenti ad arricchire il tutto, Wind Chimes, già presente nell'Ep del 67 è acidissima - Grateful Dead fino al midollo -  e l'apocalittica The war goes on, semplice il riferimento al  conflitto nel Vietnam, che nei suoi tredici minuti scarsi involontariamente anticipa le sperimentazioni sonore della Calvary dei Quicksilver nel capolavoro "Happy Trails“ (1969).

 

Le altre tracce, dall'iniziale Merciful Monks ad Amphetamine Gazelle, originariamente chiamata A Gazelle, sono più nervose, veloci, stupenda invece è High all the time con la bellissima voce di Lawrence che tira le note fino all'inverosimile sotto una pioggia di chitarre a cascata, mentre  la conclusiva e breve Hush Julian è un puro divertissement. Essendo una major la Capitol all'epoca pretendeva un successo di vendite che date le caratteristiche del disco non arrivò mai, in ogni caso viene data ai Mad River una seconda chance con la pubblicazione del secondo e ultimo lavoro, "Paradise Bar and Grill" (1969) titolo che più yankees e americano non si può, prodotto stavolta da Jerry Corbitt degli Youngbloods, grande amico dello stesso Hammond. Appena la puntina scende sui solchi un certo sconcerto paralizza l'ascoltatore ignaro di un mutamento tanto repentino. E' la magica acustica di David Robinson che tratteggia la splendida Harfy Magnum, dedicata al noto bluesman Mississippi John Hurt, deceduto due anni prima per infarto, e già omaggiato dal grande John Fahey a cui il brano deve non poca ispirazione. Le altre tracce mostrano un gruppo ormai lontano dai vapori psichedelici che avevano reso irripetibile il disco precedente con la sola eccezione della lunga Leave me stay, con gli ultimi bagliori acidi, quasi una mosca bianca nel contesto totale dell'intero lavoro.

 

Le altre songs appaiono  più come composizioni soliste del leader Hammond, che risuscita finalmente il suo vecchio amore primordiale per il bluegrass e per certe splendide ballate acustiche, bellissima la title track, notevole pure They brought sadness, con strizzata d'occhio al miglior Country Joe, ma anche i sei minuti di Revolution in my pocketvicina alle prime cose dei Little Feat e la bella jam strumentale di Academy cemetery. La malinconica e conclusiva Cherokee Queen segna anche l'epitaffio per questa sfortunata formazione, una delle tante meteore di una stagione californiana fantastica e irripetibile. Sciolta senza troppi rimpianti la sua creatura, Lawrence Hammond tenterà l'avventura solistica appoggiandosi proprio alla leggendaria Takoma Records fondata a fine anni cinquanta dallo stesso John Fahey, con artisti in catalogo quali Robbie Basho, Bukka White ed il più noto Leo Kottke. Il disco "Coyote's dream" (1976) è davvero un altro bel lavoro: accompagnato dal fido Robinson e dalla fantomatica Whiplash Band, Hammond è ancora capace di donarci incantevoli ballad da rock di frontiera, il tutto però acuisce ancora di più il rimpianto per aver perso un simile personaggio, rifugiatosi forse in qualche soleggiata fattoria della sterminata america a osservare  tramonti rosso fuoco e a cantare per pochi intimi le sue dorate melodie.

Ricardo Martillos

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