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8 Maggio 2012 ,

Bitch Magnet BITCH MAGNET (3CD)

2011 - Temporary Residence

BITCH MAGNET – Bitch MagnetIl diciannovemillesimo disco della mia collezione privata è un disco che fa per tre. Ad essere onesti ne vale molti di più. Proprio come certe puttane. E’ il triplo cd che “contiene l’ intera storia della seminale band post-punk Americana la cui influenza è ancora percettibile venti anni dopo”, come recita il flyer che la Temporary Residence ha avuto la cura di impacchettare su ogni copia di questo monumento. Una di quelle storie su cui nessuno ha mai speso le parole che meritavano di essere spese, soffermandosi sempre e soltanto sul passaggio (tra l’ altro poco significativo, NdLYS) di David Grubbs tra le fila del gruppo. Così poche parole da farceli quasi dimenticare, i Bitch Magnet. Che tornano invece con la stessa prepotenza di allora, venticinque anni dopo il loro primo ingresso, a ricordarmi quanto sono vecchio, a frequentare gli scaffali della mia discoteca e a far tremare le pareti di casa. Quella mia e, mi auguro, quella di molti altri. La vulva della puttana magnetica fu il rifugio uterino dove trovò riparo il mio pisello orfano della vagina fertile degli Hüsker Dü.

 

Era il 1988 e loro se ne uscivano fuori con un  titolo degno di George Clinton e otto canzoni che, come quelle dei Dinosaur Jr. sono l’ evoluzione naturale dell’ hardcore degli Hüsker Dü (C Word) e dei Replacements (Sea of pearls). Chitarre che svolazzano tra muri di feedback, una batteria geneticamente hardcore (Hatpins) e una voce, quella di Sooyoung Park, che sceglie spesso la recita distaccata o il bisbiglio stropicciato alla furia sguaiata del vecchio punk. Intuizioni che vengono confermate l’ anno successivo dal fenomenale Umber che vede l’ ingresso in formazione di Dave Galt. Il suono, arricchito di una seconda chitarra, diventa ancora più impenetrabile.  E’ la grande muraglia dell’ hardcore punk di fine decennio. La celebrazione dell’ hard rock di una generazione che dell’ hard rock non sa cosa farsene. Hüsker Dü, Pixies, Dinosaur Jr, Sonic Youth, Soul Asylum, Big Black, Squirrel Bait scritti a vernice sopra i mattoni, perché chi passa da qui si genufletta al rumore e non ne dimentichi la lezione. E da qui passano Smashing Pumpkins, Helmet, June of 44, Tool e Nirvana. Tutti si girano, fanno riverenza, proseguono.

 

Per "Ben Hur" si torna alla formula del power-trio ma il suono si fa più acrobatico e insieme solenne, secondo le leggi di Steve Albini chiamato a produrre l’ album, gettando le basi per quello che sarà il suono post-rock e math.  Accordi che si slabbrano, batteria prepotente, dissonanze, pezzi sempre più lunghi ed elaborati. Come l’ iniziale Dragoon che si alterna tra soffi di bora sonicyouthiana e rallenti mortiferi. O come la Mesentery stritolata tra feroci assalti metallici e misurate calibrature algebriche. Crescent strascica turpe dentro le libidini sessuali degli Smashing Pumpkins così come Ducks and Drakes lecca dentro la fessura anale dei Big Black di Songs About Fucking con la pigrizia di un amante svogliato e Spite Y Malice anticipa gli psicodrammi in formato di enunciato matematico dei Don Caballero. La fine dell’ avventura è un ritorno all’ hardcore degli albori con la rovinosa corsa di Sadie, qui inclusa in duplice versione tra le otto bonus tracks che ne disegnano l’ intera storia. Il diciannovemillesimoeuno si tenga il culo con tutt’e due le mani.   


Franco Lys Dimauro

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