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30 Gennaio 2013 , ,

Luca Sapio 25 gennaio 2013 , Hiroshima Mon Amour, Torino


lucasapio livelocandinaAl termine del concerto Luca Sapio saluta il pubblico del-

l’Hiroshima Mon Amour con queste parole:"Grazie a tutti voi per essere intervenuti e per favore fate sapere ai vostri amici e in giro che avete visto un concerto di Soul in Italia”. E come dargli torto? Per vederne altri di questo livello dovremmo sperare in alcuni fattori: che calino sul suolo italico Lee Fields o Sharon Jones con i suoi Dap Kings, che tornino i catalani Excitements o, per restare in Europa, che si faccia rivedere almeno un Micheal Kiwanuka. Anche perché le attuali conoscenze scientifiche ancora non permettono il ringiovanimento degli ultimi originals (mi vengono in mente Bill Withers, Al Green e Aretha) e men che meno la clonazione dei vari Sam Cooke, Otis, James Carr, O.V. Wright, Marvin Gaye e via discorrendo. I musicisti dall’impeccabile look da jazz-band prendono posto sul palco alle 22.45 e vengono raggiunti dal leader al termine dello sfavillante strumentale JuJu usato come doveroso Intro e rintracciabile sul disco di Capiozzo & Mecco.

 

Luca Sapio prende posto al centro del palco, un attimo di concentrazione a occhi chiusi e partono Mother Father e What Lord Has Done, eseguite in maniera impeccabile e con una voce, ragazzi che voce!, che non darà nessun segno di cedimento fino alla fine del concerto. Da quel momento e per la successiva ora e mezza è un flusso continuo di emozioni e divertimento grazie a una scaletta che non vedrà l’esecuzione integrale dell’album con la mirata aggiunta di sfiziose cover introdotte spesso da gustosi aneddoti. Come nel caso della toccante storia che portò Bobby Hebb a scrivere la favolosa Sunny, che si credeva ispirata da una donna ma che invece è quella tristissima di un uomo al quale fu accoltellato e ucciso il fratello dopo una banale lite lo stesso giorno che fu fatale a John F. Kennedy, e perciò doppiamente dimenticato: versione velocizzata, verrebbe da dire quasi incazzata ed eseguita con grande vigore, con la parte finale magnificamente interpretata da Luca a sottolinearne il testo con toni drammaticamente blues.

 

lucasapioApplausi sinceri. Altra cover è la Who Knows di Marion Black che intitola il disco, roba davvero da connoisseurs only rintracciabile nella serie Eccentric Soul su Numero Group. La autografa How Did We Lose It che dell’ album fu singolo apripista e una drammatica Pocketful of Stones, dove ci viene spiegato che le pietre in tasca sono quattro e ognuna ha un nome sopra: Truth, Soul, Love and Pain. Verità, anima, amore e dolore, ingredienti ed essenza della vera Soul Music. Versione bellissima di Nothing From Nothing di Billy Preston dove, per dirla con Paolo Conte, davvero "i saxes spingevano a fondo come ciclisti gregari in fuga e l'orchestra si dondolava come un palmizio davanti a un pubblico venerato". Prima di Rosey, canzone bellissima, ci viene raccontata la strana vicenda del suo autore Jim Sullivan, sparito misteriosamente nel New Mexico durante il viaggio di trasferimento in cerca di maggior fortuna da una costa all’altra degli Stati Uniti.

 

Fu ritrovato solamente il suo furgone con all’interno la sua chitarra, il suo portafoglio e pochi altri oggetti, e le cronache dell’ epoca parlarono tanto di omicidio quanto di rapimento da parte degli alieni. Quasi a confermare alcune teorie esposte nei testi del suo album "U.F.O.", fino a poco tempo fa vera chimera per i collezionisti di tutto il mondo. Un altro strumentale divide virtualmente il set in due parti: si riprende con Hard Times del grande Curtis Mayfield a cui segue il tour de force (8 minuti e passa!) di Super Bad del James Brown più muscolare e testosteronico. Brano rischioso questo se non si dispone di un’adeguata sezione ritmica: nessuna paura, l’accoppiata Capiozzo & Pezzolet procede come un treno in corsa trascinando il resto del gruppo che ha cosi modo di esplodere in tutta la sua potenza nel famoso e ripetuto bridge. Un pezzo molto coinvolgente, dal tiro incredibile e interpretato alla perfezione.

 

lucasapiofacebookC’è ancora il tempo per qualche brano, tra cui quella che forse è la gemma più fulgida del disco, Remove My Coverings, e per la presentazione della band che è così composta: Christian Capiozzo batteria, Mecco Guidi bravissimo al piano e all’organo, Larry Guaraldi alla chitarra (una fiammante Silvertone del ’62!), Matteo Pezzolet al basso, e dai favolosi Lupara Horns (Alex Tomei, sax tenore; Andrea Di Pilla, tromba; Palmiro Del Brocco, trombone). Il concerto termina alla grande sulle note di Love & Happines di Al Green. Serata bellissima che sarebbe stata perfetta se il pubblico fosse stato più numeroso, si mangino le dita quelli rimasti a casa! Se il tour di Luca Sapio passerà dalla vostra città il mio umile consiglio è di non lasciatevelo sfuggire per nulla al mondo. Toccherete anche voi con mano quella che è la coinvolgente forza della migliore musica nera. Che poi la suonino degli italiani è solamente un valore aggiunto. Fidatevi, questo è davvero un grande!

Roberto Remondino

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