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3 Maggio 2014

Roberto Ottaviano Una perenne sfida artistica


roberto ottavianoAbbiamo intervistato il grande sassofonista, clarinettista, compositore ed arrangiatore jazz italiano Roberto Ottaviano per approfondire i contenuti del suo ultimo notevole lavoro "Arcthetics - Soffio Primitivo", e fatalmente il confronto con il nostro Luciano Viotto (autore della recensione di Arcthetics) si è esteso, oltre al jazz, ad altre interessanti tematiche culturali nazionali, anche scottanti: Roberto Ottaviano ne ha davvero per tutti, senza peli sulla lingua, e con grande onestà e coraggio intellettuale. Buona lettura. (P.W.B.)

 

 

 

L'INTERVISTA

 

Luciano Viotto (Distorsioni) - Roberto Ottaviano: l'ultimo tuo lavoro si discosta dai precedenti per i contenuti. Quali significati attribuisci ad "Arcthetics - Soffio Primitivo" ?

Roberto Ottaviano - Arcthetics si differenzia dai lavori precedenti solo per un “colore” diverso, ma in quanto ai contenuti credo e spero di aver sempre portato nella mia musica un grado di riflessione ampio nel rapporto tra l’artista ed il tempo–spazio che lo circonda. Credo di averlo fatto anche quando ho registrato in compagnia di grandi autori ed interpreti afroamericani, scegliendo di cimentarmi con un repertorio storicizzato piuttosto che con la scrittura originale.

 

 

Ho colto delle connessioni feconde tra la musica europea contemporanea (del 900) ed il tuo nuovo CD e i suoni del Mediterraneo asiatico. Mi sbaglio?

Certo ho preferito sfidare me stesso su di un terreno diverso piuttosto che riproporre il clichè del saxofonista che suona melodie struggenti con un quartetto d’archi classico, virtuoso ed ortodosso. Come ho già detto in altre occasioni Charlie Parker e "Clifford Brown with Strings" a me bastano ed avanzano pure. E’ ovvio che non sono né Bird e né Brownie, quindi ho pensato alle mie esperienze con la musica del ‘900 Europeo, a quelle di viaggiatore che ha incontrato spesso le etnìe musicali dei posti in cui è stato e non da ultima quella più importante di tutte, quella di improvvisatore tout court, quindi non solo jazzistico in senso stretto.

 

 

La formazione che hai utilizzato in Arcthetics - Soffio Primitivo risponde a nuove esigenze espressive o è anche l'avvio di un nuovo percorso?

Ho utilizzato gli archi anche in altri lavori, ad esempio in un esperimento in cui ho mescolato questi suoni con quelli di tre diversi percussionisti, un africano, un cubano ed un indiano, e spero prima o poi di poter documentare anche questo progetto. La scelta di questo tipo di strumentazione risponde, in questo caso, ad una esigenza espressiva. Viceversa i miei percorsi musicali più duraturi e stabili sono basati su di un piccolo nucleo di persone con un forte spirito di condivisione. Certo Arcthetics è composto non da semplici professionisti, ma da straordinarie individualità musicali e forse per questa ragione magari ci si ritroverà prima o poi di nuovo insieme.

 

 

six mobilesRitieni del tutto superati i progetti "Six Mobiles" o "Koiné"?

Sono superati solo nel senso che mi piace guardare avanti. Quelle esperienze, con quelle persone, si sono concluse prematuramente per varie ragioni, non ultima la tendenza in Italia a seguire  mode  altrove  già dimenticate da tempo,  sacrificando un maggior coraggio creativo. Però, se ci pensi bene, si tratta di progetti che hanno continuato a produrre risultati ed effetti non solo nella mia produzione, ma anche in tante altre cose che si sono fatte qui ed altrove in anni più recenti, anche se più semplificate e senza la "spinta" rivoluzionaria che aveva caratterizzato quelle idee originarie.

 

 

I tuoi artisti di riferimento: Steve Lacy è stato veramente il tuo méntore?

Al di là dell'importanza dei nostri incontri e del suo enorme insegnamento a proposito del Sax Soprano, strumento che ha letteralmente "dominato", la figura di Lacy è stata illuminante sotto una serie di aspetti. Per me, battezzato e cresciuto nel mondo della musica nella prima metà degli anni '70, tra il Progressive e Zappa, il  Miles elettrico e la  trance  Coltraniana, il  Blues-Rock-Jazz inglese e le sperimentazioni, il contatto con un un  musicista come Steve è stato fondamentale. La sua formazione e carriera, con radicisteve lacy fondate nella più profonda storia afro-americana ma proiettato totalmente verso l'avventura della ricerca e dell'integrazione con diversi linguaggi artistici, è stato motivo di studio ed emulazione. Mi ha fornito motivi e indicazioni per riunire ciò che ho amato ed amo della musica piuttosto che rinunciarvi in nome di un Komheinismo Jazzistico che per me non ha alcun senso.

 

 

La tua "curiosità" intellettuale è una propensione all'eclettismo, tipica di molti artisti jazz contemporanei, o è la radice di un impegno non episodico?

Prima di essere un "artista Jazz", sono una persona che vive il suo tempo e cerca di riannodare i fili delle proprie memorie ed origini culturali. Letteratura, arte figurativa, filosofia, pensiero e costume, sono l'humus del quale ogni persona sensibile e ricettiva si nutre. Il Jazz poi diventa una specie di codice attraverso il quale tutto ciò passa e si traduce in suoni. I temi possono essere molto importanti come in Ellington e Mingus, oppure concentrati in piccoli dettagli come in Ornette e Shorter, ed anche in quest'ultimo caso, non perdono la loro vitalità. Nel mio piccolo, avendo frequentato una Scuola d'Arte ed essendo innamorato di Cinema, mi sembra assai naturale che alcuni elementi che fanno parte del mio modo di scrivere o suonare siano direttamente e drammaturgicamente influenzati da questa formazione.

 

 

roberto-ottaviano-arcthetics-soffio-primitivoIn Arcthetics - Soffio Primitivo i richiami alla terra, alla letteratura, al folklore e all'antropologia mi hanno indotto a pensare alla figura di Ernesto De Martino. La mia suggestione si spinge a vederti dialogare con Pasolini e a leggere un romanzo di Rocco Scotellaro. Cosa significano per te questi nomi? Semplici citazioni o qualcosa d'altro?

Hai citato personalità e figure monumentali per la ricostruzione di una idea del Sud del nostro paese a cui non mi sogno neanche lontanamente di accostarmi. Ho letto la "Terra del rimorso" che non ero ancora maggiorenne, così come buona parte delle opere di Pasolini, mentre Scotellaro è stata una scoperta tardiva. Se proprio debbo trovare qualche motivo di "vicinanza" tra il mio modo di scrivere e vedere e quello di uno fra questi autori, sento indubbiamente l'universalità Pasoliniana più vicina a me.

 

 

Il jazz italiano è sottovalutato in patria; perché?

Intanto non credo al termine "Jazz Italiano". Quando parliamo poi del Jazz fatto in Italia, non credo proprio sia sottovalutato. Credo invece che, nonostante siano passati tanti anni, tutto il Jazz sia "sottovalutato". Se vogliamo essere più precisi bisognerebbe dire cheottaviano rispetto al Jazz c'è ancora un abissale disinformazione. Ed in questa abissale disinformazione, paradossalmente, c'è tanto Jazz fatto in Italia che al contrario è in alcuni casi poco valutato ed in tanti altri invece sopravvalutato. Bisognerebbe far emergere il fatto che ci sono musicisti interessantissimi quasi totalmente ignorati da tutto il circuito di produzione e diffusione, ed altri che sono sovraesposti in misura scandalosa. E poi il fatto che la maggior parte dei cosiddetti appassionati conoscano Bollani e non conoscano Monk, oppure non si perdano un concerto in tutte le salse di  Bosso e non possiedono neppure una registrazione di  Lee Morgan, mi sembra che abbia più a che fare con un processo mediatico, con cui si confonde il Jazz, piuttosto che  una reale cognizione di causa. Una anomalia insomma, ma niente di personale ovviamente.

 

 

Avverti anche tu un certo "malessere" nel jazz italiano (e non solo), che da tempo si sta piegando a schemi troppo aperti al pop?

Il Jazz ha vissuto nel malessere e se ne è fatto interprete ai più alti livelli. Per il resto solo uno sciocco può aver pensato che questa musica potesse nel nostro paese ricevere quell'attenzione e poter vivere di quella autonomia che dovrebbe competergli. Non è successo in un  paese come la Francia, in cui questa cultura si è radicata più profondamente, figuriamoci in Italia in cui la sola rivoluzione culturale è stata quella tragedia operata da Mediaset e dalla Fininvest. Diciamoci la verità, tanti  hanno vissuto questo scambio col Pop con una certa convenienza e senza troppa sofferenza. L'idea di essere "riconosciuti" al fianco di Paoli, Jovanotti, etc..ha fatto gola a molti, ed in fondo è ancora oggi una fottuta valvola di sfogo e riciclaggio per tanti burattini della musica leggera italiana, che si sentono chic a sfoggiare un virtuoso del Jazz che spara una raffica simil bop in quella musica di merda. Per contro ci sono artisti che hanno sempre scelto diversamente e nei confronti dei quali ho tanto rispetto. Se guardo indietro e penso che Giorgio Gaslini rileggeva Spotti, Kramer, etc.. con infinita eleganza ed intelligenza già negli anni '50, mi viene da ridere a pensare al Pop nostrano un pò jazzificato. Pure Bennato lo diceva: sono solo canzonette.

 

 

I festival jazz e le rassegne in Italia: nel 2012 avevi assunto una posizione precisa, come direttore artistico del festival di Bari (l'inserimento in cartellone di un concerto del trio di JARRETT). Come giudichi la situazione attuale?

roberto ottavianoMah, a questo riguardo non so cosa dire di preciso. Festival e rassegne sono ancora molto utili secondo me, e come in tutte le cose bisogna vedere con che spirito, quali obiettivi ci si pone e soprattutto in che modo si rapportano ad una situazione ambientale che, superato il periodo della loro programmazione, vivrà o meno di una vivacità dialettica a riguardo di quanto si è stati in grado di proporre in cartellone. Non voglio dilungarmi sull’argomento che richiederebbe per sè un ampio spazio, dirò solo che oggi è più che mai necessario un grande rispetto per la musica, per gli artisti, per il pubblico. In tutto questo credo che non ci si possa inventare una sensibilità ed una professionalità dall’oggi al domani. In molti dovrebbero ripensare ai propri ruoli; pseudo direttori artistici, organizzatori incompetenti e quel che è peggio inadempienti, politici invadenti e ridicolmente tutoriali.

 

  

L'omologazione di cui parlava Pasolini negli anni settanta si è completata da tempo, con il trionfo del messaggio televisivo, quale unico strumento di consacrazione di "valori" in ogni campo. Cosa ne pensi?

Sono abbastanza d’accordo, anche se questo non vuol dire che siamo definitivamente fottuti. Quando facciamo analisi e tiriamo un bilancio in questi termini, che poi è in realtà la triste premonizione fatta già trent’anni fa da grandi intellettuali, molti nostri amici ritengono che siamo condannati a dipingere una sorta di Armageddon, mentre bisognerebbe positivamente esplorare nuove possibilità di azione nel mercato della comunicazione, nella globalizzazione del messaggio artistico e nei paradisi delle nuove tecnologie di supporto. Io credo che le due cose non siano antitetiche. Una sana e approfondita osservazione di quanto è avvenuto e del degrado conseguente, ci serve innanzitutto ad utilizzare in modoottaviano appropriato le conquiste e le diverse esperienze, culturali e scientifiche, e soprattutto a renderle il più possibile scevre da qualsiasi autoreferenzialità. Viviamo oggi una realtà in cui sembra che media, tecnologia, supporti ed un esercito di persone preposte al loro uso e consumo siano lì come cannibali a produrre il cibo stesso di cui si nutrono, specchiandosi edonisticamente nella perfezione dei contenitori senza più interesse per i contenuti. Ecco secondo me invece bisognerebbe cominciare a smascherare falsi idoli che hanno portato alla creazione di una mitologia del consumo dell’arte e dello spettacolo, e riportare la gente a gustare il “sacrificio della conquista” culturale. Come raggiungere un rifugio ad alta quota dopo una lunga e faticosa salita.

 

 

Il mainstream politico e culturale italiano induce a ritenere che l'impegno dell'intellettuale sia  inutile, che non sia il caso di indignarsi più di tanto. Cosa ne pensi in proposito?

Cosa c'è più da dire? Se fino a pochi anni fa era ancora possibile un confronto intellettuale, oggi manca proprio la materia prima. Il “mainstream” politico e culturale italiano, come lo chiami tu, è quasi totalmente privo di strumenti per poter affrontare anche solo analiticamente le ragioni dell’impegno e dell’indignazione, e dunque ripiega sull’ironia e sul riciclo. E bada bene non sto parlando dei cosiddetti conservatori, ma di una larga fetta di protagonisti della vita sociale di “sinistra”. Questi si sono costruiti una pletora di personaggi feticcio, una serie di Re Nudi quasi impossibili da mettere in discussione e quindi il mondo ruota tutto intorno ad essi. Mancando dunque un senso critico, non ci sono i presupposti per attivarsi in una sorta di “lotta di classe” come si diceva una volta. Però ci resta la poesia, la metafora, ed il telecomando, semmai riusciremo a prender coscienza che possiamo spegnere quando vogliamo…

 

Luciano Viotto

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