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29 Novembre 2014

Cataldo Dino Meo La materia del nulla


cataldo dino di meo                          INTRO

 

“Se il disgusto verso il mondo bastasse a conferire la santità, non vedo come potrei evitare la canonizzazione” (E.M.Cioran)

 

Cataldo Dino Meo è uno di quei personaggi che sembrano figliati dalla penna di un Isidore  Ducasse, sedicente conte di Lautreamont, o, meglio ancora, dal genio nichilistico di un Cioran.  Scrittore alla soda caustica, Dino, provocatore, geniale, incline alla devastazione del linguaggio e del pensiero, abitante di un’Atlantide della memoria fragile e sommersa, e tuttavia in grado di incenerire col fiato acido dei suoi strali artistici ogni certezza fondata sul nulla di che consistiamo tutti. Dino racchiude in sé, e il suo mirabile lavoro, "NIHIL", da noi recensito, ne è palese testimonianza, tutta la rabbia non solo contro l’Essere ma anche contro l’Esserci, sia essa esplicata nella forma del testo scritto o della ricerca audiovisiva. Un grido che prorompe da quella che Jung definirebbe un’anima esiliata, in “camusiana” rivolta verso il mondo. Nella sua opera, modulata sul concetto di naufragio della coscienza, convivono, a livello espressivo, frammenti di parole incendiarie, schegge di pensiero autoannichilentesi, immagini di vite in rovina le cui ceneri brillano di un fuoco nero nella tenebra della durata umana, suoni dall’indistinto di un’armonia spezzata all’incipit, quando la funesta rotazione delle sfere astrali della pietà devastata non tollera che angeli dalle ali in fiamme che bramano, incessantemente, il sonno eterno e glaciale dell’abisso. Una chiacchierata con Dino fa d’uopo.

 

L'INTERVISTA 

 

Rocco Sapuppo (Distorsioni) - Dino, intanto grazie per aver accettato di realizzare quest’intervista per Distorsioni. Parlaci dei tuoi esordi e dell’evoluzione della tua “poetica”. Riferendomi al prode Manlio Sgalambro, siamo nati (all’arte) coi sintomi della morte, e tuttavia trasformiamo il dolore in conoscenza. 

cataldo dino di meoCataldo Dino Meo-  Sono io che ringrazio Distorsioni, nella persona di Pasquale Boffoli, suo incomparabile direttore, tanto innamorato del rock da suscitare ovazioni a ogni sua esibizione. Ma soprattutto devo dire grazie a te, caro Rocco, che sei stato il primo a scrivere immediatamente di me pubblicamente, con grande acume e puntualità, appena ricevuto il mio libro, senza nemmeno sapere chi fosse il suo autore, a dimostrazione della tua completa autonomia, di uomo. Distorsioni, che può contare su due persone potenti come voi, ha meritato pienamente il premio di miglior sito web musicale italiano del 2014. Sono stato deportato dal Sud, Francavilla Fontana in provincia di Brindisi, verso la metà degli anni cinquanta, tradotto in schiavitù nel Nord del Paese. Da bambino ho fatto letteralmente la fame, abitato in cantine, nella totale promiscuità, nei dintorni di uno dei navigli a Milano, tugurio infestato dai topi, diviso da una lercia tenda che separava la nostra famiglia da un altro nucleo  disgraziato di nostri compaesani. Com’è facilmente intuibile, in casa non c’era mai stato un solo libro, i miei genitori erano una coppia di operai infelici, che per tutta la vita si sono rimproverati vicendevolmente le colpe delle loro inconsolabili sconfitte, lacerandosi nel rancore. Ai primi anni sessanta, nel nuovo quartierecataldo prototipo di Quarto Oggiaro, incontrai una ragazza più grande di me, dalla bellezza che ricordava una divinità composta simultaneamente da Juliette Greco e Francoise Hardy, che mi mise in mano "L’idiota" di Fedor Dostoevskij. A quasi quattordici anni non avevo mai letto un libro, ero terrorizzato, avrei voluto scappare, ma per non fare brutta figura con Gilda mi gettai nell’impresa titanica. A breve distanza mi ritrovai tutte le settimane fuori dall’edicola del quartiere in attesa che arrivassero i primissimi volumi tascabili degli Oscar Mondadori. E’ stato utile l’incontro con i libri, mi è servito per essere migliore e vivere meglio? Non saprei, anzi posso affermare che, fondamentalmente resto diffidente, non credo nel “valore” della cultura come strumento di riscatto, di salvazione, i libri possono essere feroci strumenti di sterminio, basta pensare ai libri religiosi. A partire dagli anni settanta ho realizzato alcuni tentativi poetici nei quali non mi riconosco più ormai da anni, che mi hanno però indirizzato, tappa dopo tappa, verso ciò che ho sempre voluto scrivere: un solo libro, nihilNIHIL. Per me è davvero impossibile spiegare da dove nasce la sua radicalità, la sua insurrezione permanente, mi vedo bambino nutrito dai miei eroi e forse posso pensare che tutto sia nato da quelle influenze a iniziare da  Coccinella di Ghigo e soprattutto le parole di Leo Chiosso, il solo autore che io abbia mai invidiato perché scriveva le canzoni al mio primo Maestro, Fred Buscaglione. Poi furono i Lunghi Sogni Divini (LSD), per carità senza i pidocchiosi e rincoglioniti hippie e il fanatismo ideologico del ’68 contestatario. Parentesi: molti si lamentano perché dicono di vivere in un mondo di merda, d’accordo,  sappiano che questo mondo l’hanno organizzato, voluto e confezionato quelli della mia età, la “nuova generazione” che voleva un mondo migliore, contro l’autoritarismo, impugnando il Santo Graal della libertà di pensiero, per una società più giusta, di eguali, antigerarchica e libertaria. Bene, da decenni sono proprio loro gli sgherri del regime partitocratico che manovrano il potere nel campo economico, sociale, politico, informativo, artistico. Questi profeti boia sono i nostri autentici carnefici. Scrive Emil M. Cioran: “In ogni uomo sonnecchia un profeta, e quando si sveglia c’è un po’ più di male nel mondo…”. E’ andata esattamente così. Superata l’imbarazzante infatuazione per gli autori della Beat CioranGeneration, fu Isidore Ducasse conte di Lautrémont, col suo Maldoror, a scuotermi: finalmente trovavo conferma a ciò che volevo scrivere, ora sapevo chiaramente qual era il mio compito, rompere i coglioni, accerchiare, serrare alla giugulare la Scimmia Abusiva. cioranlibroPoi l’incontro fatale, "Sommario di decomposizione" del 1949 (il mio stesso anno di nascita) con Emil M. Cioran. Egli è il grande cesellatore di aforismi scagliati come saette folgoranti, che, occorre dirlo, trafiggono i crimini ideologici  non tanto con lo scalpello in uso a ogni scultore timorato della propria ombra, ma, in totale stato di grazia, servendosi della sega elettrica e del lanciafiamme di un lessico mai prevedibile, capace di gettarci a capofitto nella lava incandescente di un linguaggio implacabile e divino, come nessuno. Ti dico un mio parere, Cioran non è solo un aforista, un filosofo, egli è poeta, il più grande poetacioranche io conosca del novecento. Egli conferma l’assunto di Dostoevskij: “La filosofia è la stessa cosa che la poesia”. Non mi occupo della morte, penso sempre a lei, ma non mi interesso a lei, la tengo qui, al mio fianco, ogni giorno. Non ho nulla da dirle, intanto vince sempre lei, da sportivo riconosco la sua manifesta superiorità, quindi ha tutte le ragioni. La ringrazio solo per tutta l’adrenalina a cui mi costringe rivelandosi più intransigente di me, è proprio vero, puoi essere incazzato finché vuoi, tanto prima o poi farai i conti con qualcuno più incazzato di te. Non è opportuno essere indulgenti nei confronti dei pensatori, pensare è un delitto del quale diffidare per  non cedere nella tentazione di un eccessiva clemenza che ha già causato equivoci sanguinosi nel corso dei secoli. Essi se la cantano e se la ballano come meglio credono nella festa triste della cultura, persistono in pallide stragi del pensare, non vogliono convincersi che non c’entriamo niente con la vita, non siamo adatti a esistere, la vita non ci vuole, siamo nocivi ai nostri simili, privi di freni inibitori riveliamo innata, genuina attrazione dell’assassino che è in noi per l’arcano istinto crematorio. Ciò di cui mi interesso non è la morte, è la nascita.  Sulle tracce degli antichi Greci, già duemilacinquecento anni fa essi indicavano il nostro senso viscerale. Il Siciliano Teognide di Megara Iblea sosteneva che per l’uomo la miglior cosa è il non aver avuto la vita colla nascita, non aver veduto i vivi raggi del sole. Ad ascoltare Erodoto e Strabone, vi furono molte nazioni barbare nelle qualicataldo dino di meo IMG_3640 (2)  la nascita di un bambino rappresentava un giorno di lutto per l’intera famiglia. Si dirà, certo! Erano barbari!  Ma Euripide non era certamente un selvaggio, eppure sosteneva che, pensando al destino riservato all’uomo sulla terra, bisognerebbe bagnare di pianti la sua culla. Esopo diceva che nessuno schiavo è più infelice di quello che mette al mondo figli destinati a essere schiavi. E anche Sofocle, in Edipo a Colono, riteneva che non essere nati è lo stato che tutti gli altri sovrasta, per l’uomo, una volta venuto alla luce, rientrare al più presto nel luogo onde venne, di certo è l’altro massimo bene. NIHIL non teme di assaltare frontalmente le convenzioni più radicate. Si occupa del dolce veleno di Giacomo Leopardi: “…è funesto a chi nasce il dì natale”.  E ancora Cioran quando conferma la completa inutilità dell’esistere, la vanagloria dei viventi, l’inconveniente di essere nati. NIHIL risponde radicalmente al quesito decisivo: consiglieresti la vita a chi ancora non è venuto al mondo? C’è chi trasforma il dolore in conoscenza e chi invece trasforma la conoscenza in dolore. Io consiglio di mantenersi allacataldo5 larga dalla conoscenza se non vogliamo ritrovarci invischiati in attività esiziali e mendaci, diffido della conoscenza, giudico riprovevole analizzare, indagare, apprendere, possono condurci a scoprire chi siamo veramente, sicuri che ci convenga? Maurice Maeterlink scriveva: “Tutte le nostre conoscenze ci aiutano solo a morire di una morte un po’ più dolorosa di quella degli animali che nulla sanno”. Io sogno di liberarmi da ogni forma mentis, tanto da risolvermi a vivere rinunziando all’utilizzo della materia cerebrale. Sostanza che, per dirla tutta, non ha di certo giovato alla mia lungimiranza, e che ormai, penoso ammetterlo, occupa il mio cranio da ospite non più gradito, increscioso illecito, in uno status da separato in casa. L’assenza di materia grigia mi pone nella circostanza ottimale per affrancarmi da Dottrine di Sepoltura.

 

Il tuo approccio con la scrittura, se mi permetti, è di matrice superbamente cioraniana (oltre ai riferimenti naturali a un Lautreamont, a un Artaud, a un Céline) un nichilismo che pascola negli abissi d’un Io che prende a calci in culo se stesso. Quali le tue altre influenze letterarie, teatrali, e filosofiche?

cataldoNon avendo fatto nessun scuola, non avendo frequentato alcun ordine e grado scolastico, ho dovuto improvvisare a volte con eccessiva frenesia, andando allo sbaraglio, comunque, oltre agli autori nominati prima e quelli avanzati da te, ho incrociato, in ordine sparso,  tante opere letterarie, filosofiche, poetiche, storiche, biografiche. D.A.F. De Sade, Franz Kafka, Friedrich Nietzsche, Arthur Rimbaud, Max Stirner, Jean Genet, fino a Guido Ceronetti, e solo più recentemente Fernando Pessoa. Ma devo andare ancora una volta nell’antichità, a duemilaquattrocento anni fa, a Cirene, città greca del Nord Africa, per trovare un mio sodale, del quale riconosco a tutt’oggi un’affinità, Aristippo, fondatore della scuola cirenaica. Fautore del sensismo assoluto, edonista, certamente non  raffinato come Epicuro, riteneva che il piacere, specialmente quello fisico, fosse il fine primario della vita. E proprio contrariamente al suo maestro Socrate, il quale aveva parlato dei piaceri più alti dell’intelletto, l’impertinente negava la distinzione, sostenendo che i piaceri del corpo essendo più intensi e immediati, fossero da preferire. Anche l’amicizia e la giustizia sono utili per il piacere che procurano. Il cirenaico sviluppava il suo pensiero esclusivamente sul terreno di un’etica del vivere la quotidianità pragmatica e lontana da principi teoretici. Individualismo estremo e autosufficienza, con un certo disprezzo per le convenzioni sociali e ogni tradizione. 

 

Nel tuo ultimo, superbo lavoro, "NIHIL", c’è una frase che mi ha particolarmente colpito, tra le tante altre artisticamente pregnanti, da te attribuita a tuo padre: “Morto per morto, mi raccomando, sempre ben pettinato”. In essa v’è, a mio avviso, concentrata tutta la weltanschauung di chi, non avendo voluto nascere, vive da morto le orride contingenze del quotidiano. Ricordiamo che Proust definiva l’uomo come un morto non ancora entrato in funzione. Una tua riflessione, al riguardo.

cataldoAndando contro le indicazioni di Ennio Flaiano: “Un buono scrittore non precisa mai”, io, non essendo  uno scrittore buono o cattivo, ma semplicemente non essendo uno scrittore, posso dirti che la frase suggeritami da mio padre è scaturita da un’osservazione puramente oggettiva e che ha rappresentato il solo lascito da parte sua: il senso innato per la classe, l’eleganza, lo stile, anche quando non puoi permettertelo o sembra fuori luogo. Infatti pure nei suoi ultimi giorni, finché ha potuto, ormai ricoverato in ospedale, sapendo della morte Cataldo_Dino_Meoimminente, lo trovavo davanti allo specchio che si sbarbava e si pettinava, si pettinava accuratamente. Non avrebbe mai permesso di farsi trovare proprio a l’ultimo dei suoi giorni in disordine, mio padre era uno spirito aristocratico momentaneamente prestato al degrado che, anche vivendo nella fogna, sapeva volgere lo sguardo alle stelle. Per quanto riguarda la definizione di Proust posso dirti che per me è vero esattamente il contrario. L’umanità, segregata nelle sue illusioni , ha sempre invocato un’entità alla quale affidare il suo “sgomento di vivere”, la più inestirpabile delle entità inventate dal genere umano è la speranza, e proprio codesta isterica superstizione nel corso dei millenni si è data un compito che Proust non vedeva. La Speranza ha il compito di far funzionare i morti.

 

Nei tuoi intriganti video, curati da Antonio (a proposito, vorrei ci parlassi, poi, dei tuoi collaboratori, valenti anzichenò), si notano paesaggi urbani votati a visioni apocalittiche, a frammentazioni di periferie impossibili e letali, come quelle dell’essere. Se mi è lecito, colgo una similitudine, casuale per vero, forse, con i versi prodigiosi e dolenti di un grande e non mai troppo apprezzato poeta milanese, Milo De Angelis, cantore delle eterne solitudini dello spirito immerso nell’inferno del quotidiano.

NIHIL è un progetto che comprende il libro scritto da me con allegato il DVD realizzato da mio fratello Antonio. La postfazione è stata scritta da Carmine Mangone, notevole scrittore e prezioso amico, il primo a comprendere e apprezzare il potenziale dell’opera. Mentre la musica è del duo elettronico Arasonus, composto sempre da mio fratello e da Raffaelearasonuscd Serra, pioniere della musica elettronica italiana. Gli Arasonus hanno anche realizzato un album esclusivamente musicale “Vandals Growers of Roses”, dedicato al grande Maestro visionario della pittura italiana Agostino Arrivabene. Posso dire che per me l’elemento più entusiasmante dell’intero progetto è rappresentato dai video contenuti nel DVD. Antonio Meo ha saputo inventare un nuovo linguaggio, e a partire dal video “Voglio uccidere” del 1982, ha creato videoclip rock-pop, elettronica, di torrido pathos. Il suo è un nuovo lessico delle immagini applicato alla letteratura, diverso, differente, che non ha nulla in comune con la video arte a impianto concettuale, teatrale, il cui carattere espressivo ricorda piuttosto i video musicali veri e propri, con tutto l’urto dinamico e visionario della voce e della presenza fisica diretta, trasfigurata,  immagini dal dinamismo incalzante scandite da un montaggio serrato. NIHIL è un libro irritante, molesto, offensivo, pericoloso, squarta e dilania, da leggere solo sotto prescrizione del turbamento, scaturito dall’irreparabile è della stessa sostanza del nulla, ha per vessillo gli abissi assoluti, le sue parole fanno male, tortura, martirizza, fa soffrire, fomenta attacchi scellerati. La scrittura è in guerra, chiamata alle armi. La scrittura non si macchi di viltà, dichiari esplicitamente il suo odio mortale contro l’essere umano, la sua nascita infame, la scrittura rompa gli indugi, trami per il sabotaggio dell’esistere. La scrittura componga il necrologio della totalecataldo inservibilità umana, si dichiari, senza mezzi termini, acerrima nemica dell’impudicizia di esserci. Le parole di NIHIL non si arrovellano sulle patetiche sofferenze di solitudine dello spirito, NIHIL se ne fotte dello spirito, anche quando è ingenerato, incorporeo, immortale, rifiuta questo inganno imposto dalla canea culturale. NIHIL rigetta il soffio vitale, abbandonandolo sull’autostrada in pasto alle iene, facendola finita, una volta per tutte, col pneuma, panico sconcerto del farabutto Senso. Le parole che non uccidono lavorano per il nemico. Occorre scrivere marchiando il lettore a caratteri roventi, punzonando la carne dei fedeli con Grido Incivile. Scrivere praticando l’arte del malefizio, terrorizzando con bombe scriteriate il minimo accenno d’identificazione. La scrittura non sia mai innocua, altrimenti che divertimento c’è? Ma azione antisociale che diffonda malessere, lavi i suoi lettori col fuoco devastatore. Scrivere dimenticando, dimenticando qualcosa che si è dimenticatocataldo cosa sia… Chiunque si arroghi il diritto di produrre scritti deve giurare solennemente che la sua non sarà mai ricerca spirituale tesa alla conoscenza di se stesso, e tanto meno deve vezzeggiare il consenso per meglio organizzare la segregazione, promozione culturale. Allo scrittore sarà garantita mano libera, pratichi l’omicidio seriale, predisponendo imboscate e rapimenti dei suoi più accaniti seguaci, avendoli egli stesso creati, li può eliminare a suo piacimento, quando vuole, come meglio crede, dichiarando l’essere umano proprietà di chi riesce a sottometterlo, avendo altresì la facoltà di raggruppare nuovi, ulteriori proseliti, ai quali avrà, preventivamente, rubata la vista, cavato gli occhi.

 

Dino, come si evince dai tuoi testi ma anche dai video, la musica sembra assurgere nella tua opera  a un ruolo centralissimo. Vuoi dirci del rapporto tra testo e musica che intercorre e sostanzia la tua ricerca artistica? E quali i tuoi riferimenti musicali, oltre ai valenti musicisti cui ti sei accompagnato, gli Arasonus?

cataldo3Ho amato la musica degli anni cinquanta, il Rock and Roll, per intenderci, di cui ho scritto in NIHIL come del solo avvenimento d’onore nell’ignominia del XX secolo. A partire da Elvis Presley, Chuk Berry e tutti gli altri. Da adolescente, da giovane, ho vissuto tutta l’epopea del Rock degli anni sessanta, per me la più importante del novecento, da cui è sorta la nuova musica classica, che ha reso inutile Mozart. Non scandalizzatevi, la questione è molto semplice:CATALDO immaginate una città nella quale, contemporaneamente, in due diverse Arene potete decidere di andare a un concerto di Mozart o a uno dei Led Zeppelin, c’è qualcuno di voi che avrebbe dei dubbi su cosa scegliere? Io personalmente sono molto selettivo sull’argomento, voglio dire che la mia prima fila è composta da un numero esiguo di artisti:  Beatles (Zeus), Rolling Stones (fino a Brian Jones), Pink Floyd, James Brown, Janis Joplin, Ray Charles, Doors, Bob Dylan (fino al 1970), Led Zeppelin. Tutto il resto per me è importante, ma comunque seconda fila, compresa la musica colta ed elettronica. Tuttavia ancora oggi amo particolarmente due artisti più di ogni altro, Billie Holiday e Jimi Hendrix. A proposito di Hendrix ho scritto su NIHIL: "Fender Stratocaster bianca, feedback, tumulto di battaglia, talismano d’accensione, dardo orgiastico, regalità impetuosa, fastosa luxuria, macchina-rumore nel crepitio d’acciaio e seta, Woodoo Child, acid trip, ogiva psicochimica". Per quanto riguarda la musica dei nostri video ci siamo avvalsi della ricerca sonora di Raffaele Serra, un veterano dell’ elettronica in Italia, al quale si è aggiunto mio fratello Antonio con funzione di rapsodo, di “cucitore”, assemblatore, di sonorità maturate in qualche modo insieme nell’arco di un trentennio di amicizia e scambi continui, fino a determinare il giusto equilibrio alchemico tra suono, testo e voce.  

 

Un tuo giudizio sulla scena culturale e artistica nell’Italietta volgare e puttanesca di oggi? E’ possibile, ancora, creare arte per un popolo tornato allo stato belluino e beota? Il grande Vincenzo Consolo sosteneva che quello italiano è un popolo vile: difficile dargli torto. 

dinoVuoi provocarmi, vero? C’è ancora qualcosa di male che non sia stato detto non sull’Italia, ma sul conto  degli italiani? Posso dirti che non mi meraviglia affatto l’attuale situazione, cosa potevamo aspettarci da un Paese di luridi servi, le cui masse popolari idolatre hanno sempre vissuto inginocchiate al cospetto di uomini al potere nei quali si sono identificate, riconosciute, in quanto archetipi, modelli speculari alle loro miserabili aspirazioni? La volgarità del nostro paese non è rappresentata dalle pratiche puttanesche, come ben sai, questa nobile arte si praticava pure ai tempi di Roma e nel corso del Rinascimento. La sua ripugnanza si manifesta nella cultura della composizione politica e sociale, fatta da tre pilastri conficcati nella carne di tutti noi: fascismo, comunismo, cattolicesimo. Tre forme di autoritarismo che hanno corrotto e avvelenato intere generazioni, e che hanno spinto Ennio Flaiano a dire: “Gli italiani sono irrimediabilmente fatti per la dittatura”. Sia chiaro non è una situazione che si è venuta creando in questi ultimi anni, essa  nasce dall’inizio del novecento quando i capi banda delle tre ideologie dominanti fondarono le rispettive associazioni a delinquere per battere il loro comune nemico, il pensiero liberale. Gli italiani educati alla spranga del cataldo4fascismo rosso e nero, allo squadrismo etico dei falsari cristiani, hanno generato l’odierno Moloch, dalle cui viscere sta emergendo il razzismo nazionalista economico che porterà inevitabilmente alla recrudescenza della violenza. Per noi tutti si preannuncia una nuova stagione d’odio. Cosa poteva generare una popolazione il cui territorio socio economico è controllato da quattro Mafie? All’interno dell’attuale situazione hanno sguinzagliato le belve feroci dell’informazione, dell’arte, la Gestapo culturale collaborazionista ha sguinzagliato i cani alla catena, hanno propagato il virus letale del miraggio della partecipazione coatta. Il tutto in un contesto epocale per tutti gli schiavi della nostra civiltà: non può più esserci il lavoro, non perché qualche cattivone non vuole dartelo, ma semplicemente perché il lavoro dalle nostre parti non potrà mai più esistere, dobbiamo inventarci nuove forme di sopravvivenza se vogliamo occupare il tempo necessario a raggiungere la morte. Se guardiamo attraverso i secoli la migliore creatività umana si è spesso espressa nei momenti di maggiore difficoltà dando, paradossalmente, proprio in quelle situazioni i risultati migliori. Capita che  proprio quando sei spacciato, ti spingono alle corde, riesci a esprimerti al massimo, perciò, sono determinato a non darla vinta all’orrore democratico della società Kapò, alle assemblee carcerarie riformiste, ai nazi-clericali dei destini ultimi. 

 

carminavoxDa cioraniano cittadino del Nulla, quali progetti futuri ci riserva Cataldo Dino Meo, memore forse di quella sontuosa massima del geniale Carmelo Bene: “Coraggio, il meglio è passato” ?  

Il progetto futuro dei fratelli Meo è già in corso, si chiama "CARMINAVOX", una serie di video che continuerà anche per l’anno prossimo. Ancora una volta la letteratura proposta in maniera, io credo,  originale a forte impatto emotivo.

Coraggio, anche se non ce la facciamo a vivere, possiamo sempre esistere per sentito dire.

Consiglio agli amici di Distorsioni di leggere NIHIL, libro, e di guardare, gratuitamente, il DVD sul mio sito. Inoltre troveranno l’album degli ARASONUS sul sito delle nostre produzioni. Invece tutti i video di CARMINAVOX sono pubblicati su Youtube.

 

Rocco Sapuppo

Video

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