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9 Dicembre 2019

The Who Who

2019 - Polydor Records
[Uscita: 06/12/2019]

Se vogliamo scrivere di un nuovo album dei leggendari Who, nel 2019, senza tema di cadere nella facile tentazione di accostare sonorità insuscettibili di essere messe a paragone, dimentichiamoci di album che hanno segnato a lettere di fuoco, una volta e per sempre, la storia nobile del rock. Dischi quali “My Generation”, “Tommy”, “Who’s Next”, “Quadrophenia”, lasciamoli ben custoditi entro l’aurato scrigno del cuore come patrimonio inalienabile e incorruttibile della musica rock. Onestà intellettuale esige che si consideri una delle più grandi band di ogni tempo, nel 2019, come si trattasse di un gruppo all’esordio discografico. L’ottica giusta è questa. E allora, anche un album come quello confezionato dai ‘diarchi’ del marchio Who, Pete Townshend e Roger Daltrey (qui affiancati dal fido Simon Townshend alla chitarra, dal brillante Pino Palladino al basso, dal valoroso Zak Starkey alle pelli e dal valido John Corey alle tastiere), “Who”, assume una sua specificità di valore e una sua legittimazione artistica. D’altronde, è la storia stessa della musica di alto livello, artisti di questo lignaggio non rinunciano mai a comporre le proprie opere, perché il loro sangue stesso reclama ritorni di fiamma. Giusto o meno che sia per noi, occorre prenderne atto. Il presente album, uscito a tredici anni di distanza da “Endless Wire”, ricusando ogni coordinata concettuale precedente della band albionica, contempla un nucleo di canzoni variegate, composte in gran parte dai fratelli Townshend, che spaziano dal rock al folk con sufficiente disinvoltura. Certo, la voce di Daltrey non è più quella di una volta, ma il Nostro riesce con classe a padroneggiare ancora la sua leggendaria ugola con buono slancio, così come Pete Townshend martella sulla chitarra con ottima verve, e il resto della band si disimpegna bene nell’arduo compito di tenere alto il vessillo musicale degli Who. Brani come All The Music Must Fade, solido impianto ritmico, voce sostenuta, chitarre ben modulate, o Bed On One Street, cantata da Pete, dall’andamento sospeso tra la ballata rock e il folk filigranato e in pura dissolvenza, o, ancora, l’ossatura revivalistica di Hero Ground Zero, con qualche inserto d’archi tra le righe, o la superba struttura a incastro con ritornelli come coazioni a ripetere di Break The News, con la voce che tiene dignitosamente il punto, fugano, almeno in parte, il timore che, confessiamolo, molti di noi nutrivano in ordine alla effettiva tenuta dell’album a contatto con la materia ustoria della contemporaneità. Così come una traccia come Rockin’ In Rage ci riproietta ai tempi della swingin' London, voce ispirata, buona sintonia tra gli strumenti, struttura rock ruvida ed elegante a un tempo. Non mancano di certo i passaggi a vuoto, gli sbalzi qualitativi, certi ritmi da ballata sdolcinata e sghemba, ma nel complesso quest’album ci dimostra due cose: che la tenuta è ancora buona e che gli Who, sia pure non più ammantati dell’alone luminoso della leggenda, sono ancora in gamba. Lunga vita.

Voto: 6.5/10
Rocco Sapuppo

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