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13 Marzo 2021 ,

Steve Hackett Under A Mediterranean Sky

2021 - InsideOutMusic
[Uscita: 22/01/2021]

Chi segue l’infaticabile e inarrestabile Steve Hackett sa bene che diversi brani degli ultimi tre o quattro album del prolifico ex chitarrista dei Genesis sono ispirati dai viaggi intorno al mondo da lui compiuti negli ultimi anni insieme all’inseparabile moglie e musa Jo Lehmann. Chi segue Steve Hackett sa altrettanto bene che quegli album non erano proprio esaltanti, anzi, spesso erano fumosi calderoni con decine di variegati strumenti, arrangiamenti pretenziosi, pesanti e pacchiani e senza una forma unitaria che legasse in modo armonioso ogni pubblicazione. Chi segue Steve Hackett sa inoltre benissimo che il virtuoso chitarrista ogni tanto se ne esce con un disco esclusivamente strumentale per (quasi) sola chitarra acustica dove mette in luce il suo indimenticato amore per la musica classica. E’ anche il caso di questo nuovo “Under A Mediterranean Sky” nel quale Hackett imbracciata la chitarra classica si diletta da par suo nel reinventarsi musicalmente emozioni e suggestioni vissute sotto il cielo del Mediterraneo. Se l’iniziale Mdina (The Walled City), una mini suite un po’ pasticciata e slegata, di poco meno di nove minuti, non fa ben sperare proponendo in apertura un reboante e pomposo arrangiamento orchestrale di stampo mediorientale e cambiamenti di tempo e di atmosfere (citazione anche della famosa Limelight di Charlie Chaplin dal film “Luci Della ribalta”), è pur vero che l’ex Genesis aggiusta il tiro quasi subito ritrovando nel prosieguo dell’album una vena creativa di notevole fattura e valore. Non tutto è perfetto, ma almeno un manciata di brani sono dei gioiellini classico/acustici che spaziano dal folk inglese elisabettiano (Lorato) al “rock acustico” (Adriatic Blue) che ricorda la leggendaria Horizons sul quarto album dei Genesis, così come anche la deliziosa Joie De Vivre e The Call Of The Sea che, insieme alla rilettura di una sonata del settecentesco compositore italiano Domenico Scarlatti (Scarlatti Sonata), offrono il vero senso di una capacità tecnico-strumentale e una piacevolezza indiscutibile. E’ però quando si rifanno vivi gli archi e arrangiamenti più pretenziosi che il virtuoso chitarrista abbassa la quota che poteva pretendere a una sufficienza massima. La pur piacevole arabo-spagnoleggiante Sirocco si muove tra percussioni etniche, chitarra classica e archi da colonna sonora (Lawrence D’Arabia è dietro l’angolo), The Dervish And The Djin è pura world music arabeggiante che niente ha a che fare con il resto dei brani più classici sfociando addirittura in un contesto pseudo-jazz con sax solista, e la titolata in italiano La Casa Del Fauno con flauto etnico protagonista gli tiene incontestabilmente banco. E’ quando gli archi sono più discreti e si fanno leggero tappeto (Andalusian Heart o The Memory Of Myth) che il grande chitarrista dà comunque il meglio di sé anche se la propensione all’espansionismo sonoro che già in passato abbiamo criticato non riesce a scivolargli via di dosso. Un album con due facce, quindi, dove ancora una volta Hackett pasticcia un pochino senza riuscire a dare una continuità unitaria e un’identità precisa, al di là della geografia mediterranea, perdendosi ancora una volta tra le diverse propaggini musicali che gli girano in testa. Piena sufficienza comunque per quella manciata di notevolissimi brani più intimistici e solitari e per la perizia tecnica che al di là di tutto non è certo messa in discussione.

Voto: 7/10
Maurizio Pupi Bracali

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