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20 Marzo 2020

Stephen Malkmus Traditional Techniques

2020 - Domino Recording Co Ltd
[Uscita: 06/03/2020]

A un primo ascolto o a quello più distratto potrebbe sembrare un album piatto e monocorde questo “Traditional Techniques”, altro parto essenzialmente solista dell’ex Pavement Stephen Malkmus  che segue “Groove Denied” del 2019. In realtà non è proprio così; certo, si tratta di un album sommesso e tranquillo in cui non c’è nulla di gridato o di manifestato a gran voce come poteva accadere, più o meno, in un album di Leonard Cohen o in certi brani più intimistici di Lou Reed col quale in alcuni punti vi è una vaga somiglianza. Anche la strumentazione è scarna ed essenziale con, oltre la dodici corde acustica del leader, la chitarra elettrica di Matt Sweeny (già alla corte di Bonnie “Prince” Billy) che si produce in un magnifico assolo sghimbescio e à la Neil Young in Xian Man, il brano forse più rappresentativo dell’album, e la pedal steel di Chris Funk (Decemberists), anche produttore dell’album, che miagola in più di un brano (The Greatest Own In Legal History su tutti) mentre basso e batteria (rispettivamente Brad Trux e Jake Morris) lavorano sottotraccia e sommessamente come nella natura dell’album. Lo spettro sonoro è quello del songwriting semiacustico e sussurrato, il termine folk che potremmo usare per etichettare questa decina di brani sarebbe forse abusato anche se qualche sfumatura ci riconduce a quella formula, poiché in realtà trattasi essenzialmente di canzoni cantautorali tipiche americane dall’amarognolo gusto indie-rock. C’è però un’inaspettata sorpresa: lo sforamento in territori etnici e di eterea world music mai battuti prima dal Nostro affidati a musicisti afghani dai nomi di Qair Essar e Eric Zang che si manifestano nelle suggestive What Kind Of Person con percussioni leggere arabeggianti e un flauto che benché abbia un sapore “giapponese” è di natura afghana, in Shadowbanned che condotta da una sorta di bouzouki conferma le stesse caratteristiche e soprattutto nella bellissima ACC Kirtan che apre meravigliosamente l’album e che contiene un lungo intermezzo strumentale arabo-indianeggiante che riporta ad atmosfere hippieggianti e fricchettone anni ’70 e persino (sperando di non suscitare scandalo) ai momenti strumentali di un vecchio album italiano come “Volo Magico N° 1” del nostro compianto Claudio Rocchi. Chiusura affidata ad Amberjack altro ottimo brano, vagamente 'loureediano', che termina un album che merita e impone vari ascolti non approssimativi per coglierne tutte le ricche sfumature e la suggestione.

Voto: 7/10
Maurizio Pupi Bracali

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